*articolo scritto in collaborazione con Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta fondatore del centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma.
Se chiedessimo quale è l’esperienza nucleare del funzionamento narcisista alcuni risponderebbero che ruota intorno alla vergogna, basandosi sulle osservazioni di Heinz Kohut, l’autore che ha reso possibile il trattamento di queste personalità (Kohut, 1971; 1977). Ed è vero, il narcisista in fondo, dietro manifestazioni che appaiono arroganti, dietro l’apparente sovrano disprezzo per quello che gli altri pensano, prova vergogna. Eppure l’osservazione clinica ci fa notare che un’altra emozione sociale ha un’importanza rivelante nel narcisismo patologico: il senso di colpa. Narcisismo e senso di colpa? Sembra un’associazione stridente, neanche cioccolato e acciughe, ma l’ascolto dei pazienti narcisisti in seduta ci mostra che la colpa c’è, e pesa. Ed è un’emozione che i narcisisti non sono molto capaci di fronteggiare.
Il senso di colpa ha molte declinazioni. Possiamo distinguerne due macro tipi: altruistico e deontologico. Del primo parlano autori come Weiss (1983, 1986, 1993) Neiderland (1961, 1981), Modell (1984). Più recentemente, nel filone della Control Mastery Theory di Weiss, Francesco Gazzillo (2021) distingue varie tipologie di colpa altruistica: da separazione, da danno arrecato, del sopravvissuto, da responsabilità onnipotente. Fondamentalmente in comune c’è l’idea di aver danneggiato in un qualche modo l’altro che, quindi, soffre. La colpa altruistica nasce dall’idea che quella sofferenza sia causata da proprie scelte di vita, comportamenti, azioni che erano guidati dal tentativo di soddisfare spinte motivazionali del tutto umane, quali dell’appartenenza al gruppo, attaccamento e ambizione. “Io faccio e tu soffri. Tu soffri, io ne sono responsabile e provo senso di colpa”. L’equazione fila.
Sul senso di colpa morale e deontologico si sono concentrati Mancini e Gangemi (Mancini, 2007, 2008; Mancini e Gangemi, 2018). È quel senso di colpa instillato dentro di noi da prescrizioni, dall’idea di cosa è giusto e cosa è sbagliato, quello che si fa e quello che non si fa e che descrive quello che siamo dal punto di vista etico e morale. I pazienti ci dicono che hanno imparato, per esempio al catechismo, o dai valori del paese, dai comportamenti dei genitori, a distinguere il bene e il male: “Se faccio questo sbaglio, sono una persona indegna, sporca e provo senso di colpa perché ho trasgredito alla norma e non sono più un membro del gruppo degno”. Anche qui l’equazione fila.
Proviamo a illustrare come si manifesti il senso di colpa nel narcisismo attraverso il caso di Enza, una paziente di 47 anni in terapia con la prima autrice di questo post. Per motivi di sintesi, non possiamo analizzare sia il senso di colpa altruistico che deontologico per cui ci focalizzeremo solo sulla colpa di primo tipo. Il funzionamento che descriviamo rispecchia la concettualizzazione del caso della terapia metacognitiva interpersonale (TMI; Dimaggio et al., 2013; 2019) che parte dell’idea che gli schemi interpersonali maladattivi siano al cuore della patologia.
Enza chiede una terapia perché si arrabbia di frequente con gli altri ed è molto sola. Inoltre si sente depressa da mesi e spesso non riesce a dormire bene. La paziente trascorre molto tempo a iper investire nel lavoro per brillare, entrando in un territorio agonistico in cui spesso non presta attenzione all’altro, lo sminuisce, lo tiene a debita distanza, se considera qualcuno è perché lo invidia. Effettivamente Enza, pochi mesi dopo la laurea, ha subito trovato collocazione all’interno di una casa editrice e al momento è capo di un team di sviluppatori di grafica. Nell’insieme, tutte queste evidenze, supportano la diagnosi di disturbo narcisistico di personalità.
Enza ha una rappresentazione di sé che le dice che è una donna di scarso interesse e proprio per questo, quando le si attiva il desiderio di sentirsi apprezzata, soffre. La regola interna di Enza recita un’aspettativa, spesso confermata, secondo la quale chiedere riconoscimento significa essere ignorata e l’essere ignorata è la prova di quello che lei già pensa di stessa. La paziente racconta un momento in cui chiede al compagno un feedback sul progetto presentato al capo e lui risponde, senza neppure guardarla: “Quale?”. Allora Enza si vergogna (eccola la vergogna che tutti si aspettano) e se ne va a letto abbattuta e triste trovando conferma del suo scarso valore. Non dorme tutta la notte e nelle ore insonni alla vergogna si affianca la rabbia, perché una parte di lei, seppur piccola, si percepisce di valore e alla luce di quella parte di sé il trattamento ricevuto le sembra ingiusto. Una volta sveglia Enza ritorna a uno dei suoi coping usuali, il perfezionismo.
Il successo reale però non basta mai, Enza è guidata da dinamiche narcisistiche (Dimaggio, 2016) e oscilla continuamente tra stati di grandiosità, di vuoto, di vergogna e di depressione e, a causa delle disfunzioni metacognitive, non riesce a comprendere cosa le succede. Proprio per questo Enza descrive successi che risuonano dentro di lei per una manciata di secondi perché ad ogni vittoria subito segue l’esigenza di fare ancora, altro e meglio senza riuscire veramente a godere di nulla incappando, quindi, in uno stato generale di anedonia (Dimaggio & Semerari, 2003). Focalizzandosi solo sul lavoro, Enza non ha rapporti interpersonali significativi, non ha mai coltivato hobby né passioni, allontana sistematicamente tutti e prova rabbia verso coloro che contestano il suo stile di vita, diventando sprezzante e giudicante verso chi proprio non comprende quanto per lei alcune cose siano più importanti di altre. Il senso di colpa, apparentemente, ancora non affiora.
In terapia Enza è collaborativa, riporta gli episodi significativi ma, a causa dello scarso monitoraggio interno, non sempre afferra le emozioni che prova. Infatti, mentre racconta di un avvenimento che sembra averla colpita notevolmente, Enza si abbatte, il corpo si affloscia e sente una sensazione di pesantezza al petto. La terapeuta propone di esplorare il suo stato interno attraverso un’immaginazione guidata ed Enza accetta. Enza ha dimenticato la cena di compleanno della nipote perché presa dal lavoro, esce molto tardi dall’ufficio, legge i messaggi estremamente critici sulla chat di famiglia e lì sembra accadere qualcosa d’ interessante: Enza si sente in colpa. La scena termina con la paziente che non risponde ai messaggi e prova, invano, ad addormentarsi perché presa da una ruminazione rabbiosa molto intensa verso il compagno che non l’ha difesa e verso la sorella che non si è limitata a sottolineare la collera della nipotina. Enza continua a leggere la chat ritrovando solo messaggi accusatori: nessuno è stato clemente e ormai è “la zia cattiva”, capace di far soffrire tutti. Non può fare a meno di immaginare tutte le conversazioni che si sono svolte in sua assenza, colmi di critiche e giudizi, vede chiaramente i volti di ognuno dei presenti alla cena e in ognuno ritrova delusione e collera. Più di tutti, però, vede sua nipote che non si capacita della sua assenza, la vede mentre piange pensando di essere stata dimenticata nel suo giorno più importante. Enza proprio non riesce a interrompere questo flusso di pensieri e immagini che la dipingono sempre più di cattiveria e che ingigantiscono a dismisura la sua colpa. L’indomani non dà alcuna spiegazione, non sente nessuno della sua famiglia e va in ufficio come se nulla fosse, portando con sé una parte della ruminazione della notte precedente.
Esplorando meglio il vissuto di Enza notiamo che prova senso di colpa tutte le volte che si rende conto che il suo comportamento può ferire l’altro, rappresentato sempre come estremamente incollerito, sofferente a causa sua e critico. In terapia Enza comprende che questa dinamica è stata sostenuta dalla relazione con la madre la quale si è sempre mostrata arrabbiata quando aveva bisogno della figlia e lei non c’era. Enza a quel punto si percepiva cattiva e provava senso di colpa del tipo altruistico.
Il paradosso finale è questo: Enza si sente priva di valore, la vergogna nutre questa immagine e la prova a regolare con il perfezionismo, aggiungendo severità ai suoi standard nella speranza di eccellere e attivando il sistema motivazionale del rango con non poche ricadute sul piano interpersonale. D’altro canto, quando Enza nel tentativo di rincorrere la sua immagine brillante fa qualcosa che gli altri non condividono, non capiscono e non approvano si sente subito causa della sofferenza altrui e prova senso di colpa. A quel punto vede sfuggirle di mano la possibilità di essere impeccabile e in più si vede cattiva, più rumina sugli eventi e si arrabbia verso l’altro che non comprende, accusa e giudica. La rabbia, di conseguenza, la porta a inasprire le relazioni, ad allontanare gli altri e a sentirsi sempre più sola. A fronte del suo bisogno di riconoscimento, bisognava: regolare il suo vedersi priva di valore e responsabile per la sofferenza altrui, la vergogna e la colpa.
In conclusione, il senso di colpa si declina in modo velato nelle narrazioni dei pazienti narcisisti ma è possibile rintracciarlo, a volte a partire da piccoli segnali, come nel caso descritto. I pazienti, preda di questi affetti, soffrono, sviluppano strategie nel tentativo di riparare o espiare le colpe e talvolta sviluppano veri e propri sintomi. Tali strategie rappresentano il tentativo di non sostare sull’immagine in cui ci si vede colpevoli e, invece, consentono di accusare l’altro ingiustamente ed eccessivamente critico e questi continui shift emotivi tra colpa e rabbia inaspriscono la patologia tanto quanto le relazioni. Affrontare il senso di colpa può essere centrale nella psicoterapia del narcisismo: alleviare la colpa aiuta il paziente a percepirsi in modo nuovo e diverso, più benevolo e leggero così da avere meno necessità di attribuire intenzioni giudicanti, costrittive, punitive agli altri e, a quel punto, anche le relazioni interpersonali possono migliorare.
BIBLIOGRAFIA
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