- Introduzione
Mi presento, mi chiamo Michele Penzo e sono uno tra i tanti psicologi psicoterapeuti che nel nostro paese si occupa da anni, a vari livelli, di salute mentale. Scrivo il seguente articolo nel tentativo di descrivere ciò che vedo accadere nelle realtà cliniche nelle quali mi sono trovato a lavorare. Nello specifico mi riferisco all’attività psicologica e clinica svolta presso quelle che ad oggi vengono definite RSA; ovvero dei centri servizi per persone anziane non autosufficienti che rappresentano la traduzione contemporanea della già nota casa di riposo.
Il focus del presente lavoro sarà il tentativo di portare il lettore ad osservare ciò che potrebbe accadere, ad un libero cittadino italiano, portatore di sofferenza psichica a vari livelli, se si dovesse trovare al cospetto della procedura burocratico sanitaria di valutazione del grado di autonomia della persona considerata ora anziana. Nell’analisi critica che segue cercherò di descrivere gli scenari burocratici e clinico sanitari che caratterizzano quello che definisco uno “spiacevole ed inconsapevole salto nel passato”.
Lavorando prevalentemente in Veneto mi rifarò alle informazioni ed alle burocrazie che nella mia regione vengono utilizzate. Il documento sanitario che si utilizza nella valutazione multi-dimensionale del grado di non autosufficienza della persona oltre i 65 anni d’età si chiama Scheda SVAMA. Tale documento multidimensionale, tentando di fornire una fotografia della persona sotto i suoi vari aspetti di funzionamento, non solo, come vedremo, corre il rischio di riesumare gli antichi concetti di pericolosità sociale e capacità di intendere e volere, ma fa coincidere una misurazione di tali costrutti teorici con importanti prese di decisione, reali e a lungo termine che possono tradursi in percorsi di istituzionalizzazione.
1.1 L’ambiguo passaggio burocratico sanitario dalla Psichiatria alla Geriatria al compimento dei 65 anni d’età
Dopo la legge 180 ed il suo processo di applicazione a livello nazionale, ad oggi nella salute mentale del cittadino, prima del compimento dei 65 anni d’età, eventuali problematiche relative alla sintomatologia sopra elencata, vengono “teoricamente” assorbite dal sistema sanitario nazionale.
Il tutto si traduce nella valutazione diagnostica degli psichiatri, nell’impostazione di una terapia farmacologica e psicoterapeutica andando a creare una presa in carico con obiettivi apertamente psico-socio-riabilitativi. Altra funzione di tali servizi è quella di gestire quelle che vengono definite cronicità; ovvero quei pazienti che da molti anni frequentano a vario titolo il servizio e che conservano sofferenza psichica e aspetti psicopatologici definiti dalla tradizione psichiatrica cronici ed in fase di remissione. In Italia il mandato socio-sanitario della psichiatria dura per legge fino al compimento dei 65 anni d’età giorno in cui la persona non è più considerata paziente psichiatrico ma diviene paziente geriatrico.
Il geriatra, il medico di medicina generale a domicilio, il medico ospedaliero post ricovero e lo psicologo che lavora nei servizi si trovano nella condizione di operare la valutazione circa la possibilità del soggetto di comprendere la situazione che lo circonda alla luce dei disturbi psicopatologici che lo affliggevano o lo affliggono a livello della percezione, del pensiero, dell’umore e manifestazioni comportamentali di sorta.
1.2 Differenti utilizzi della valutazione ed inquadramento psicopatologico e comportamentale nei pazienti under 65 e over 65.
Riporto di seguito, a scopo puramente esplicativo, il testo contenuto nel portale della Regione Veneto relativo ai disturbi del comportamento nella demenza.
https://demenze.regione.veneto.it/come-assistere/disturbi-del-comportamento
Cosa sono I disturbi del comportamento sono manifestazioni che possono presentarsi nel corso della malattia e che non riguardano la sfera cognitiva. Consistono in sintomi psichiatrici e disturbi del comportamento che possono variare a seconda della persona, della fase di malattia e delle diverse forme di demenza.
I sintomi comportamentali possono inoltre essere determinati da molteplici fattori, che possono essere interni alla persona malata (ad esempio, dolore, paura) o provenire dall’esterno (ad esempio, eccesso o carenza di stimoli nell’ambiente, comunicazioni complesse); è importante precisare che alcuni di questi fattori sono potenzialmente modificabili.
Come si manifestano Le manifestazioni possono riguardare la percezione (allucinazioni), il contenuto del pensiero (deliri), l’umore (depressione, ansia, euforia, irritabilità/labilità), il comportamento motorio e/o verbale (agitazione/aggressività, apatia, disinibizione, attività motoria aberrante). A questi si aggiungono i disturbi del sonno e dell’appetito.
Dall’estratto integrale, contenuto nel sito della Regione Veneto, viene presentato al cittadino cosa sia il “disturbo del comportamento”.
Nelle prime battute si sostiene che tali disturbi siano di natura organica connessi alla demenza e che tuttavia non riguardino la sfera cognitiva; successivamente vengono divisi in due macro-categorie, sintomi psichiatrici e disturbi del comportamento; vengono definiti profondamente variabili e multifattoriali.
Addentrandoci nella descrizione delle manifestazioni notiamo come le aree psicopatologiche descritte, (disturbi della percezione, disturbi del pensiero, dell’umore e del comportamento), vengano generalmente utilizzate dai professionisti della salute mentale che si approcciano alla psicopatologia dell’infanzia e dell’età adulta con il fine terapeutico di comprendere e sostenere la persona attraverso le varie fasi della presa in carico.
Nell’area dell’anziano tali costrutti vengono invece ri-utilizzati partendo dalla necessità di costruire una fotografia, circa la condizione cognitiva e funzionale della persona a vari livelli; la valutazione in tal senso servirà a capire se la persona gode dell’autonomia psichica e fisica che lo rende ancora in grado di prendere importanti decisioni, che vanno dalla salute, alla gestione del patrimonio, alle scelte di eredità, alle scelte relative al dove vivere, compatibilmente con le proprie difficoltà intervenienti nel processo di invecchiamento psico-fisico.
Confrontando le due applicazioni dell’inquadramento psicopatologico, notiamo come la prima sia mossa dal comprendere quali siano le difficoltà e le sofferenze della persona in quel dato momento storico e contestuale della sua esistenza, nel tentativo di attivare un percorso di aiuto attraverso la presa in caricoa scopo riabilitativo; la seconda sembra mossa dalla necessità dei familiari, del clinico e delle istituzioni che si occupano della persona di comprendere se la stessa sia ancora in grado di gestire la propria vita e se nel farlo non rischia di arrecare danno a sé o ad altri con problematiche comportamentali di sorta.
La seconda valutazione, là dove le condizioni cliniche lo rendano necessario, prevede l’attivazione di progetti di presa in carico graduale: (assistenza domiciliare, centro diurno, ricovero definitivo presso un centro servizi, ricovero presso reparti definiti Nuclei Protetti), quest’ultimo nel caso in cui la persona appunto manifesti o abbia manifestato una problematica comportamentale che lo rende incompatibile con la vita comunitaria all’esterno degli istituti dedicati alla gestione di tali casistiche.
Una differenza profonda che possiede la seconda applicazione riguarda il fatto che, tra le varie forme di presa in carico è previsa anche l’istituzionalizzazione previo ricovero definitivo.
Nel paragrafo seguente verranno brevemente descritti i documenti socio-sanitari sui quali tale valutazione viene effettuata.
1.3 La Valutazione cognitiva Over-65
All’interno della scheda SVAMA spetta all’elenco di professionisti sopra citato la compilazione del foglio n° 9 che contiene appunto la (Valutazione Cognitiva e Funzionale).
Di seguito riporto il documento integrale a scopo esplicativo:
In alto sono visibili i 10 item del test di valutazione cognitiva denominato SPMSQ, attraverso la somministrazione il clinico ottiene un punteggio; al numero di errori totalizzato dal paziente corrisponde un profilo che consiste in una denominazione della condizione della persona ipotizzata dal clinico. Fino a tre errori viene considerata lucida, dal 4 errore viene considerata confusa, da 8 a 10 errori la persona viene considerata molto confusa/stuporosa. Valutare se il soggetto over 65, con sintomatologia psichiatrica pregressa, (ex paziente psichiatrico ora geriatrico), comprenda la situazione che lo circonda, ipotizzando un progetto di inserimento definitivo presso un centro servizi, rappresenta un potente e pericoloso richiamo a quella valutazione della capacità di intendere e volere associata alla sofferenza mentale che precedeva i percorsi di istituzionalizzazione manicomiale, considerata superata dalla legge 180.
Definendo se la persona risulta lucida o confusa lo psicopatologo attribuisce, più o meno involontariamente, alla persona la capacità o meno di gestire gli aspetti fondanti il suo stare nella propria comunità d’origine.
Faccio presente, come nota a margine, che nei casi di pazienti che si trovano nella condizione di “soli al mondo”; ovvero pazienti che non hanno né parenti in vita né conoscenti che abbiano espresso il desiderio formale di occuparsi della persona; l’assistente sociale che apprende della valutazione cognitiva che definisce la persona come confusa ha l’obbligo morale e professionale di informare il giudice della situazione; lo stesso, una volta accertata la condizione di solo al mondo e confuso procede con la nomina di amministratore di sostegno.
1.4 La valutazione comportamentale Over-65:
Successivamente lo psicopatologo deve valutare la possibile presenza di un disturbo del comportamento; l’importanza di valutarlo nasce dalla necessità di comprendere il livello di rischio possibile che la persona è in grado di produrre, nello stare in società, alla luce della sua condizione clinica. I comportamenti denominati “disturbo” sono 2:
- Rischio Fuga: inteso come allontanamento involontario e inconsapevole da un dato luogo, come conseguenza del disorientamento spaziale e temporale connesso alla patologia in atto.
- Aggressività fisica verso sé o altri: azioni fisiche che possono ledere a sé o ad altri a conseguenza dell’attivazione di azioni comportamentali non sorrette da una consapevolezza cognitiva delle conseguenze delle proprie azioni a causa della compromissione organico degenerativa in atto.
Tale rischio sociosanitario dal punto di vista burocratico viene diviso in tre livelli di intensità: lieve, moderato e grave. Di seguito un estratto del documento che descrive i tre livelli d’intensità:
2. Demenze Vs Psicopatologie nella valutazione della capacità del soggetto di comprendere la situazione che lo circonda
2.1 Valutazione nei casi di pazienti over-65 colpiti da forme di grave demenza:
Nell’osservazione e valutazione dei fenomeni comportamentali tipici nelle gravi demenze di carattere organico multi-infartuale e senile si registra la dolorosa perdita della franca intenzionalità. In tali difficili casi la gestione dell’aspetto corporeo richiede alcune modificazioni ambientali che mettano la persona in sicurezza da un mondo che si muove con delle regole e dei ritmi che sembra non comprendere più; tale distonia pone la persona, se lasciata sola, in condizione di rischio si in termini personali che collettivi.
In tali casistiche la valutazione della presenza della condizione di rischio sopraggiunto, per crescente inattendibilità cognitiva del soggetto, consente di prendere delle decisioni a carico, e si spera a beneficio, della persona colpita programmando l’ingresso in una struttura dedicata a tali condizioni cliniche. Tuttavia, tale dolorosa condizione rappresenta fortunatamente una minoranza rispetto la popolazione complessiva di persone affette da demenza. Nelle condizioni più diffuse (fase lieve e moderata del percorso demenza), difficoltà nel ricordare le cose recenti, rallentamento nel pensiero e difficoltà di orientamento di moderata entità consentono di rimanere al domicilio con l’ausilio di un servizio di assistenza e trasferirsi nelle strutture di lungo degenza dedicate solo nel caso in cui si verifichino ulteriori aggravamenti del quadro clinico. Nel complesso si parla di ricovero definitivo a scopo di tutela della condizione di sopraggiunta fragilità psico-fisica dell’anziano cittadino.
2.2 Valutazione nei casi di pazienti over 65 con manifestazioni psicopatologiche connesse alla sofferenza psichica.
I pazienti in questione, nell’arco della loro vita, hanno sofferto dal punto di vista mentale e tale sofferenza li ha condotti a rivolgersi ai servizi territoriali preposti che attraverso un iter diagnostico ed una successiva presa in carico li hanno sostenuto la nella gestione della loro situazione psicosociale.
Si consideri che tali casistiche, in parallelo all’aumento dell’aspettativa di vita media, stanno componendo una popolazione considerevole; spesso tali persone si trovano, all’alba del percorso d’invecchiamento, con una serie di problematiche che vanno dalla povertà economica alle criticità rispetto la condizione abitativa, alla gestione complessiva della persona nel territorio da parte dei familiari e dei servizi coinvolti (salute mentale, servizio sociale del comune ed altri enti collaterali al singolo progetto).
Quando la gestione di tali individui diviene eccessivamente onerosa, in termini di risorse familiari, economiche e territoriali, una delle possibilità, data l’età della persona (over 65), è costituita dall’avvio della procedura burocratica per la richiesta di inserimento presso un centro servizi per non autosufficienti essendo venuta a mancare la possibilità di gestione della persona all’interno del suo naturale contesto sociale di provenienza.
In tale fase o il medico di medicina generale al domicilio o il medico ospedaliero al momento della dimissione del paziente o lo psichiatra/geriatra in consulenza avvia la valutazione, previa compilazione scheda SVAMA rispetto due principali ambiti:
- Valuta se il paziente risulta lucido o confuso nell’ottica di una permanenza al domicilio oppure l’avvio del percorso di istituzionalizzazione.
- Valuta la pericolosità nell’atteggiamento sociale connessa ad una eventuale problematica comportamentale in atto (Nota: se il paziente non dà segni di aggressività comportamentale in sede di colloquio ci si confronta rispetto le informazioni contenute nella documentazione pregressa).
2.3 Inattendibilità e Pericolosità presunta nella persona over-65 con sofferenza psichica:
La legge 180 oltre a determinare la conclusione dell’atroce esperienza manicomiale in Italia ha riscritto l’impostazione dei servizi territoriali che nacquero come soggetti istituzionali che sostituivano la funzione sociale dei manicomi proponendo una gestione territoriale del fenomeno salute mentale.
La profonda trasformazione culturale riguardava l’abbandono di alcuni stereotipi che stigmatizzavano la persona che soffriva mentalmente additandola in due modi:
- Inattendibilità della persona colpita da patologia psichica: “Siccome non stai bene con la testa, che è la sede del raziocinio umano, ciò significa che non sei come tutti noi (codificabile e prevedibile), quindi sei imprevedibile, inattendibile quindi ciò che dichiari va preso relativamente sul serio perché riletto alla luce del tuo essere malato.”
Tali visioni stigmatizzanti a carico della persona con sofferenza psichica possono apparire ad un primo sguardo banali, assimilate ormai da tempo dalle nostre coscienze; date le mie osservazioni sul campo vi propongo di considerarle drammaticamente sopravvissute tra le pieghe della nostra società.
Il rischio che riaffiorino in percorsi burocratici dove il senso delle cose e la ricerca della verità clinica vengono superate dalla necessità di prendere delle decisioni circa la gestione della persona a livello territoriale è molto alto.
Nello specifico, da addetto ai lavori, testimonio di essermi trovato in svariate situazioni di valutazione nelle quali sintomatologie pregresse di carattere psicopatologico venivano impugnate, da colleghi appartenenti alle istituzioni, per sostenere l’inattendibilità delle dichiarazioni del paziente nel tentativo di descrivere la persona non più in grado di comprendere e gestire la realtà che lo circonda, così da ignorare la sua aperta contrarietà ad un percorso di istituzionalizzazione definitivo in casa di riposo.
Informazioni cliniche provenienti dallo storico della persona venivano riprese sostenendo che, ad esempio, una persona che presenta delle ideazioni deliranti, pregresse o croniche, risulta in ultima analisi confuso; che tale confusione fa ipotizzare una demenza incipiente e che tale condizione rende la persona non più in grado di vivere in società, rendendo necessaria l’attivazione di un percorso di tutela dell’individuo previo ricovero presso centro servizi per persone non autosufficienti.
In tale contesto il concetto di non autosufficienza viene nuovamente associato alla sofferenza mentale, che sembrerebbe andare tutelata in forza di ciò che rappresenta e della fragilità che esprime. La tutela sociale bipartisan, cittadino e persona colpita da una malattia, come spesso è accaduto nella storia dell’uomo, assume le forme dell’esclusione dalla sfera sociale in favore del ricovero definitivo presso un’istituzione preposta.
In alcune situazioni di fragilità esistenziale, la caratteristica definitiva e difficilmente ritrattabile, del ricovero, trasforma la struttura che ospita la persona in una istituzione totale.
Considerare il fenomeno psicopatologico una forma di confusione cognitiva sopraggiunta su base organica oltre a essere un concetto che non poggia su alcuna evidenza scientifica nè tantomeno metodologica, rappresenta un importante rischio alla libertà di ogni singolo cittadino che si trovi in difficoltà da questo punto di vista.
La questione della pericolosità presunta della persona possiede i medesimi rischi impliciti.
- Pericolosità della persona colpita da patologia psichica: Siccome i pensieri che fai sono imprevedibili perché non simili ai nostri allora ciò significa che anche il tuo comportamento potrebbe esserlo; in questa sregolatezza potresti fare del male a te stesso o ad altri. A riprova di questo le tue reazioni comportamentali sono spesso improvvise dirompenti e non pre-intuibili.
Nella mia esperienza clinica ho visto utilizzare la pericolosità presunta di un dato soggetto per costruire un corredo di documenti clinico-burocratici finalizzati nella proposta di inserimento presso reparti protetti per gravi demenze che hanno come caratteristica prevalente le porte chiuse elettronicamente con dei codici che impediscono al paziente di uscire dal reparto.
Come detto in precedenza là dove la sfortunata persona riversi nelle condizioni cliniche associate alla demenza grave, la porta chiusa del reparto rappresenta non un vincolo ma una protezione nei confronti del suo vagare a-finalistico proteggendola da un mondo esterno che non comprende ne padroneggia più e contemporaneamente lasciarle la libertà di continuare a muoversi in uno spazio fisico sufficientemente ampio; in tali casi il reparto diviene una micro-società nella quale tali pazienti trovano generalmente abitudine, calma e serenità.
Immaginiamo ora che la persona chiusa in tali reparti sia lucida e che il motivo per il quale si trova lì sia rappresentato dal fatto che la documentazione clinico-sanitaria che lo precede descrive la sua pericolosità e reattività comportamentale sulla sola base di una condizione psichiatrica, stigma purtroppo associato alla sofferenza psichica; tale documentazione crea una sfiducia ed una allerta sistemica nel personale della struttura che accoglie la persona. La persona viene percepita come pericolosa ancor prima di essere incontrata dal personale.
3. Considerazioni conclusive:
Visto e considerato quanto detto in precedenza emerge la necessità di sottolineare quanto il fenomeno psicopatologico, e la sofferenza psichica che ne è espressione, non mutano la loro natura e andamento dopo i 65 anni d’età.
Le variazioni clinico-patologiche avvengono in tutto l’arco del ciclo di vita esponendo l’individuo a sempre nuove necessità di adattarsi al mutare delle condizioni interne ed esterne.
La tradizione clinica di alcune discipline mediche e psicologiche e la burocrazia sociosanitaria che ne è espressione diretta dividono arbitrariamente i saperi e le professionalità che si devono occupare della persona. Dallo psichiatra passi al geriatra, da una patologia psichiatrica passi ad una patologia psicogeriatrica; dallo psicopatologico al sintomo connesso al danno organico (forme di demenza).
Come abbiamo visto, nel passaggio dalla psicopatologia dell’età adulta alla psico-geriatria cambia anche la finalità della valutazione professionale; dalla presa in carico dell’adulto a scopo di cura e riabilitazione alla presa in carico dell’over 65 per capire se la persona è ancora in grado di stare in società con lucidità e senza dare problemi con il proprio comportamento.
Nei casi in cui non si ritiene sussistano queste condizioni il progetto di presa in carico può tradursi in un ricovero a tempo definitivo presso un centro servizi.
Tale irrazionale divisione ritengo sia in parte espressione della difficile relazione tra le istituzioni sanitarie e l’aumento vertiginoso della popolazione di anziani.
Nell’ultimo trentennio abbiamo visto consolidarsi la presenza della popolazione degli anziani; tutta la società è stata chiamata ad assimilare questa massiva modifica strutturale. In ambito clinico vediamo un metaforico protendersi della psichiatria, sia come sapere clinico che come gestione sociale della persona nel territorio, fino ai 65 anni d’età, da lì in poi il testimone passa alla geriatria.
La geriatria dal canto suo possiede tradizionalmente strumenti per la valutazione delle patologie organiche con esiti cognitivi, comportamentali ed emotivi a carico dell’encefalo tipiche di un’età anziana dove la persona è interessata da processi di deterioramento organico. Le persone che dopo i 65 anni continuano a soffrire dal punto di vista psichico, ma che non hanno una componente organica di deterioramento, rischiano di non avere un servizio sanitario che si occupi della loro problematiche e dal punto di vista burocratico sembrano cessare di esistere e cambiare nome ed epigenesi.
Sempre all’interno di tale sanguinosa frattura teorica, clinica e burocratica, gli strumenti valutativi a nostra disposizione non consentono di capire cosa prevale tra gli elementi psicopatologici pregressi e attuali e gli aspetti di deterioramento organico interveniente nel determinare una data variazione nello stato d’animo o nella condotta di una persona.
All’interno della SVAMA, il solo test cognitivo obbligatorio per legge per stabilire se la persona sia lucida o confusa, non consente neanche di valutare con precisione i soli aspetti di deterioramento cognitivo in atto. Nessun cenno o metodo di valutazione degli aspetti psicopatologici è presente nella documentazione ad eccezione delle schede contenenti le patologie mediche e medico-psichiatriche con i relativi codici sanitari siglati dal medico inviante come pregresso del paziente.
Sembra assurdo e paradossale ma dal punto di vista psicopatologico se eri un adulto che soffriva mentalmente che per cercare di stare meglio frequentava la psichiatria prendendo medicine e facendo i colloqui clinici, ora invecchiando la tua patologia non richiede più i colloqui in psichiatria. Passerà il geriatra al domicilio a modificarti la terapia e vedere come stai.
Quando le difficoltà proprie della persona, unite all’assenza di sostegno o peggio alla presenza di qualche parente non proprio ben intenzionato, creano una situazione di problematica sociale che va gestita dai servizi, gli stessi non sono più quelli che ti aiutavano nel territorio, ma possono diventare servizi che considerano un ricovero definitivo una soluzione al problema sociale che in quel momento rappresenti. In casi come questi la salute mentale viene trattata come demenza e non autosufficienza clinica o economica; gli spazi delle ex case di riposo vengono percepiti dai servizi come luoghi facenti parte del progetto territoriale quando nella realtà sono palazzi chiusi nei quali serve compilare un modulo ed identificarsi per entrare ed uscire.
I nuclei protetti o chiusi creati per contenere l’imprevedibilità motoria drammatica e ancora non compresa clinicamente che si registra nella grave demenza vengono percepiti ed utilizzati come luoghi entro le cui mura confinare la persona depotenziandone l’azione sociale. Quest’ultimo aspetto richiama una gestione della pubblica sicurezza declinata nella custodia sociale che i manicomi garantivano.
In altri due contributi, che appariranno nelle prossime pubblicazioni e ai quali vi rimando, ho cercato di narrarvi le vicende del Sig. D. e del Sig. M. ma vi garantisco che ce ne sono state molte altre. Queste tristi storie si concludono spesso con il decesso per vecchiaia del paziente dopo anni di degenza presso il centro servizi che era diventato la sua nuova, non richiesta casa
Concludo accennando al lettore l’esistenza di altri pazienti che ho visto arrivare nelle ex case di riposo che hanno meno di 65 anni d’età: casi di emergenza sociale, di detenzione cautelare di pazienti non più autosufficienti su piano fisico o psichico. Le loro dinamiche esistenziali rappresentano altri giganteschi paradossi istituzionali che vanno portati a galla e compresi.
Ad oggi sappiamo che anche negli ultimi due casi il centro servizi per anziani non più autosufficienti contiene la persona, in alternativa al carcere mentre sconta la pena, per conto delle istituzioni preposte, ministero di grazia e giustizia e servizio pubblico nazionale.