FilosofiaPsicopatologia

Il tempo: tra filosofia e psicopatologia

“[…]il tempo diviene tempo umano nella misura in cui viene espresso secondo un modulo narrativo e […] il racconto raggiunge la sua piena significazione quando diventa una condizione dell’esistenza temporale.”

– Paul Ricoeur

Il concetto di tempo è molto antico ed è stato forse uno degli oggetti di studio che più ha affascinato i grandi pensatori, al punto da volerne studiare ogni singolo aspetto.

Attraverso i secoli si sono susseguite teorie che hanno cercato di dare una definizione di questo misterioso concetto secondo il proprio paradigma teorico di riferimento e il proprio ambito di sapere. Spiccano tra queste la filosofia e la fisica[1], che a lungo hanno cercato di comprendere la natura del tempo, le sue caratteristiche e le sue forme. E la psicopatologia dove si colloca rispetto a questo tema? Che legame sussiste fra un disturbo psicopatologico ed il tempo?

Per rispondere a queste domande è necessario comprendere come e quando si sia passati da una concezione fisica ed assoluta del tempo ad una visione psicologica ed esistenziale, cioè quando il tempo sia divenuto a far parte veramente dell’esistenza umana in tutte le sue sfumature.

Una prima formale definizione di “tempo” la possiamo trovare nella filosofia aristotelica[2]. Aristotele, nella monumentale opera intitolata Fisica, definisce il tempo in questo modo:

“[…]Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e il poi.” (Abbagnano & Fornero 2006, pp. 384)

 La soluzione proposta risente della consapevolezza del filosofo circa la difficoltà insita nel tentativo di definire un’entità che, per definizione, si trova in continuo divenire. Dunque, lo scorrere del tempo, che viene necessariamente avvertito in presenza di un movimento, non coincide con il mutamento delle cose (intrinseco alle cose stesse) ma rappresenta piuttosto la “misura” del divenire stesso. In altri termini, il tempo fornisce un’idea di quanto qualcosa è cambiato, appunto, nel suo divenire (Abbagnano & Fornero, 2006).

Inoltre, Aristotele sostiene che per avere una percezione del tempo sia necessaria una mente capace di misurare, accentuando il nesso che intercorre tra tempo e anima. Dunque, il tempo si definisce ed esplicita solo in relazione al soggetto che ne fa esperienza:

“Se è vero che nella natura delle cose soltanto l’anima o l’intelletto, che è nell’anima, hanno la capacità di numerare, risulta impossibile l’esistenza del tempo senza quella dell’anima”. (Fisica, IV, 14, 223a)

Ad una prima impressione sembra che la concettualizzazione di Aristotele inserisca nel discorso anche l’essere umano e quindi avvicini il concetto di tempo all’esistenza. Tuttavia, come sottolinea magistralmente Ricoeur (1999, p. 17 Vol. III), il tempo, che “ci circoscrive, ci avvolge e ci domina, senza che l’anima abbia il potere di generarlo”, è ancora inteso in senso assoluto poiché l’ordine del divenire è indipendente dall’uomo. Il tempo continua pertanto ad essere qualcosa di percepibile nella vita umana ma che, in qualche modo, mantiene anche una sostanziale distanza da essa, riferendosi ad una realtà più grande ed oggettiva, coerentemente con la teoria ontologica aristotelica e con la tradizione filosofica pre-socratica.

La situazione rimarrà pressoché invariata ancora per alcuni secoli[3], fino a che l’avvento e il successivo prevalere del cristianesimo nel mondo occidentale determineranno nuove aperture della filosofia. In particolare, la nozione di tempo comincia ad assumere connotati “umani” per la prima volta con Agostino (354 – 430 d.C.), con il quale la speculazione teologica perde il carattere di oggettività saldandosi alla dimensione soggettiva e alla vita dell’anima. Se Dio è il creatore non solo di ciò che esiste nel tempo ma del tempo stesso[4], ciò significa che il tempo è un’entità in continuo divenire, pertanto non sussistente di per sé poiché creata. Dunque, come si giustifica il fatto che l’essere umano in qualche modo percepisca lo scorrere del tempo? E, soprattutto, dove si percepisce questo divenire? Agostino non può che rispondere, coerentemente alla sua riflessione teorica, che il tempo trova nell’anima la propria realtà: nel distendersi della vita interiore, lo spirito dell’uomo non solo misura il tempo, ma diviene esso stesso spirito temporale[5], la cui vita consiste nel ricordare, nell’essere attento e nell’attendere. In altri termini, la memoria (passato), l’attenzione (presente) e l’attesa (futuro) sono la misura interiore del tempo, che diventa così distensio animi (Abbagnano & Fornero).

Agostino offre una soluzione al problema lasciato irrisolto da Aristotele, cioè quello del rapporto fra anima e tempo, mantenendosi coerente alla prospettiva ontologica sostanzialmente cristiana (Ricoeur, 1999). Tuttavia:

“Il principale scacco della teoria agostiniana è quello di non essere riuscita a sostituire una concezione psicologica del tempo ad una concezione cosmologica […]. L’aporia consiste precisamente nel fatto che la psicologia si aggiunge legittimamente alla cosmologia, ma senza poterla dislocare e senza che né l’una né l’altra, prese separatamente, propongano una soluzione soddisfacente al loro insopportabile dissenso.”  (Ricoeur 1999, p. 17 Vol. III)

E ancora:

“Vedremo […] come sia importante per una teoria narrativa che vengano lasciati aperti i due accessi al problema del tempo: dal versante dello spirito e da quello del mondo.” (Ricoeur 1999, p. 20 Vol. III)

In altri termini, la questione del rapporto tempo-uomo deve essere posta in modo diverso per comprenderne il senso e ciò che serve è proprio la svolta ontologica introdotta dalla filosofia esistenzialista nel ‘900, momento in cui, per altro, possiamo anche cominciare a parlare del legame fra psicopatologia e temporalità[6]. Precursore di questa prospettiva è sicuramente Minkowski, esponente della psichiatria fenomenologica, il quale, riprendendo in modo originale la filosofia di Bergson[7], sostiene che la psicopatologia possa essere sempre spiegata tenendo conto della personale esperienza del tempo (Minkowski, 1968). L’influenza di Minkowski è soprattutto nota nel campo della psichiatria, in cui però viene accusato di essere portatore di un idealismo bergsoniano ormai desueto.

Ciò che ci interessa, come clinici, è che finalmente, grazie anche a Minkowski, il concetto di tempo entra a far parte di una dimensione più che umana, la psicopatologia. Il passo cruciale, però, è rappresentato dalla magistrale opera di Martin Heidegger, Essere e Tempo (1927), in cui il filosofo scardina completamente l’ontologia classica e la concezione della temporalità. Il tempo non è qualcosa che si aggiunge all’esistenza, cioè all’essere dell’uomo, come avevano pur acutamente pensato Aristotele e Agostino. La temporalità è ciò che rende possibile l’Esserci (il Dasein) nella totalità strutturale delle sue determinazioni e rappresenta l’orizzonte di ogni comprensione e di ogni interpretazione dell’Essere (Essere è Tempo). L’uomo è un progetto, vive sempre per il futuro e “fuori da Sé” e ciò che temporalmente da senso all’esserci è la morte, definita come “la possibilità più propria dell’Esserci”. In altri termini, l’uomo è temporalità e storicità e l’esistenza è la sua vera essenza[8].

Grazie alla svolta ontologica introdotta da Heidegger, cambia il modo di interrogarsi circa il rapporto fra tempo ed esistenza in un senso così radicale da influenzare le riflessioni di molti pensatori successivi. In questa sede, ne citeremo solo due per ragioni comprensibili, lasciando riferimenti bibliografici per ulteriori approfondimenti.

In ambito filosofico, tra tutti i pensatori spicca sicuramente Paul Ricoeur che riesce a far dialogare proficuamente la prospettiva fenomenologica, quella ermeneutica e le riflessioni aristoteliche ed agostiniane sul tempo. Poiché l’Esserci è anche tempo e poiché l’Esserci afferra sé stesso ogni volta, non solo nelle proprie esperienze (ipseità) ma anche con il proprio racconto, allora le riflessioni dovrebbero essere indirizzate sul rapporto tra Tempo e Racconto[9]. Infatti il tempo è il custode del racconto (Ricoeur 1999, p. 369 Vol. III) dal momento che:

“[…]il tempo diviene tempo umano nella misura in cui viene espresso secondo un modulo narrativo e […] il racconto raggiunge la sua piena significazione quando diventa una condizione dell’esistenza temporale.” (Ricoeur 1999, p. 91 Vol. I)

La narrativa diventa con Ricoeur la modalità riflessiva di cogliere l’esperienza[10], a livello della quale, come clinici, siamo chiamati a cogliere le incoerenze del racconto per far sì che il paziente conosca modi esperienziali più autentici.

La fenomenologia oggi si occupa soprattutto dello studio delle strutture pre-tematiche (pre-riflessive) dell’esperienza, dirigendosi sempre più verso una fenomenologia dell’ipseità.

Come sostiene Fuchs (2013), riprendendo alcune considerazioni di Husserl (Fuchs, 2007), tutte le esperienze che facciamo sono rese possibili da strutture pre-riflessive, grazie alle quali si accede al mondo e tra cui viene collocata la continuità temporale. Dunque, secondo le più recenti teorie fenomenologiche, la temporalità non solo è costitutiva dell’Esserci ma ne rappresenta anche una delle condizioni necessarie per fare esperienza del mondo: se le strutture dell’esperienza sono alterate a livello pre-tematico non può che esserci psicopatologia, poiché la mancanza dell’aspetto pre-riflessivo non può essere compensata con il tematico[11]. La struttura della temporalità diviene in questo modo centrale nella comprensione della Schizofrenia e dei suoi sintomi, così come di altre psicopatologie che implicano una diversa modalità di accesso al mondo e ai significati (Fuchs 2007, 2013). Le psicopatologie dell’ipseità, come vengono definite da Liccione (2019), non solo interrompono la continuità della vita quotidiana, ma conducono anche ad una frammentazione del Sé a partire proprio dall’esperienza della temporalità.

Il concetto di tempo è stato affrontato da numerosi pensatori, la maggior parte dei quali per ragioni di spazio non sono stati citati. Il tentativo di questo articolo è stato quello di delineare alcuni passaggi fondamentali che hanno avvicinato sempre di più il concetto di tempo alle riflessioni ontologiche sull’essere umano e alla dimensione psicopatologica. La temporalità è ciò che da direzione e senso all’Esserci, tanto quanto la sua destrutturazione è indicativa di una certa psicopatologia e di un certo modo difettivo di essere al mondo.

BIBLIOGRAFIA

Abbagnano, N., Fornero, G. (2006). Il nuovo protagonisti e testi della filosofia. A cura di Giovanni Fornero, Paravia Pearson.

Brezzi, F. (2006). Introduzione a Ricoeur. Editori Laterza.

Costa, V. (2015). Heidegger. Editrice La Scuola.

Fuchs, T. (2007). The Temporal Structure of Intentionality and its Disturbances in Schizofrenia. Psychopathology, 40, pp. 229-235.

Fuchs, T. (2013). Temporality and Psychopathology. Phenomenology and Cognivie Science, 12, pp. 75-104.

Minkowski, E. (1968). Il tempo vissuto. Giulio Einaudi Paperbacks, 1971.

Heidegger, M. (1927). Essere e Tempo. Oscar Mondadori, edizione 2006.

Liccione, D. (2019). Psicoterapia Cognitiva Neuropsicologica. Bollati Boringhieri, Torino.

Ricoeur, P. (1999). Tempo e racconto. Jaca Book, Vol. I.

Ricoeur, P. (1999). Tempo e racconto. Jaca Book, Vol. II.

Ricoeur, P. (1999). Tempo e racconto. Jaca book, Vol. III.

Russo, A., Longo, O., (2001). Aristotele. Opere. Fisica, Del Cielo. Edizione Laterza, Vol. III.

NOTE

[1] Si noti che la filosofia e la scienza a lungo hanno dialogato rispetto a questo tema. D’ora in avanti si presenteranno prospettive introdotte da filosofi lasciando sott’inteso il nesso che alcune di esse hanno con il sapere forte e rigoroso delle scienze naturali. Si pensi, a titolo d’esempio, al pensiero di Newton.

[2] Andrebbe comunque citato Eraclito, il filosofo del divenire.

[3] Si segnala comunque la teoria di Plotino, che per ragioni di spazio non si tratterà, e si rimanda per una sua consultazione al testo di Abbagnano e Fornero (2006).

[4] Secondo Agostino, Dio è “fuori” dal tempo poiché il suo essere è immutabile e la sua immutabilità è un eterno presente (Abbagnano & Fornero, 2006).

[5] Alcuni studiosi hanno individuato in questo passo un accenno alla prospettiva esistenzialista. Da notare, al di là della veridicità o meno di tale ipotesi, che Agostino giunge a questa conclusione da una prospettiva ontologica completamente diversa.

[6] Sembrerebbe sensato pensare che una storia vera e propria della psicopatologia nasca a ridosso del ‘900, certamente con Freud in un contesto storico decisamente particolare, influenzato anche dalle nuove teorie emergenti nel mondo della Fisica – vedi la teoria della relatività  (Abbagnano & Fornero, 2006).

[7] Di fatto, Bergson contribuì a questo dibattito sostenendo che il tempo della vita, cioè quello che appartiene all’essere umano, implica una coscienza che sperimenta la temporalità in maniera soggettiva a seconda della specifica esistenza.

[8] Per un approfondimento si consulti Costa (2015).

[9] Per un approfondimento si vedano Liccione (2019) e Brezzi (2006).

[10] Circolo delle Mimesis (Ricoeur 1999, Vol. I; Liccione, 2019)

[11] In un certo senso, già Minkowski, Strauss, Binswanger e altri avevano messo a tema questo punto, fermandosi però, all’aspetto biologico come aveva fatto, per altro, anche Jaspers (Fuchs, 2013).

Irene Sibella

Psicologa e psicoterapeuta. Lavora come libera professionista presso il proprio studio in provincia di Pisa trattando problematiche legate all’ansia nelle sue diverse manifestazioni, alle neurodivergenze in età adulta e ai disturbi ossessivi, e presso il consultorio privato Aied sezione di Pisa. Insegna presso la Scuola di Psicoterapia Lombarda e svolge attività di formazione in diversi ambiti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Back to top button