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La terapia della Gestalt ai tempi della quarantena: intervista a Gianni Francesetti

Intervista a Gianni Francesetti, psichiatra di formazione fenomenologica, psicoterapeuta della Gestalt e co-direttore della scuola di specializzazione Ipsig di Torino.


D’Amico : quali grandi differenze incontri tra la terapia vis à vis e quella online?

Francesetti : per quanto riguarda le differenze vorrei distinguere due livelli: c’è un livello di differenza paradigmatica e uno di differenza intraparadigmatica, come le differenze di setting.

Ci possiamo chiedere se per fare terapia online abbiamo bisogno di un altro paradigma, di un’altra teoria oppure no.  Il mio approccio è fenomenologico-gestaltico: all’interno di questa cornice non avvengono differenze di tipo paradigmatico nel passaggio dalla terapia dal vivo a quella online: la teoria della terapia rimane la stessa. Su questo eventuale cambio di paradigma in realtà c’è un grosso dibattito. Qui in Italia non così acceso, forse perchè abbiamo avuto un supporto da parte istituzionale (per esempio le raccomandazioni da parte degli ordini di passare online), quindi c’è un clima sociale che ci dice che si può fare. In altri paesi ci sono tuttora degli scontri molto forti tra chi sostiene che si possa fare terapia gestaltica online e chi ritiene che non si possa fare o abbia delle limitazioni tali da renderla diversa come terapia. La mia posizione è questa: essendo la terapia della gestalt prima di tutto una teoria dell’esperienza, una teoria di come si forma l’esperienza stessa, è applicabile a ogni esperienza, che sia online o dal vivo. Per arrivare a dire che non sia possibile o che ci sia una differenza sostanziale, costitutiva e paradigmatica, bisognerebbe sostenere che non è un’esperienza. Ma la terapia online rimane un’esperienza relazionale e quindi, dal punto di vista paradigmatico, non cambia nulla. Applico le stesse categorie di orientamento relazionale, diagnostico e di intervento che applico nella terapia vis à vis. Poi ci sono le differenze non paradigmatiche; anche qui vorrei fare una distinzione. Secondo me è presuntuoso il clinico che passa da terapia vis à vis a terapia online e dice “questa roba funziona diversamente in questo e quest’altro modo”; il carattere di presunzione sta nel ritenere che nel momento in cui passo a fare terapia online io abbia tutti gli elementi per valutare l’esperienza; e secondo me non li abbiamo. Nel senso che, in questo passaggio, c’è un tempo di apprendimento per il clinico e il clinico deve darsi questo tempo per apprendere come stare in questo ambiente diverso. Quindi la teoria della terapia non cambia, però l’ambiente è diverso e quindi è necessario un certo lasso di tempo per imparare ad abitarlo.

Un aneddoto di cui parla Agostino nelle sue confessioni: racconta dell’arcivescovo Ambrogio da Milano e della sua straordinaria capacità di leggere; Agostino scrive che Sant’Ambrogio faceva scorrere l’occhio sulla pagina, il suo cuore capiva il significato ma, sorprendentemente, la sua voce era muta e la sua lingua non si muoveva. In quel tempo leggere senza muovere le labbra, senza sussurrare era qualcosa meritevole di essere scritto nelle Confessioni, qualcosa di assolutamente straordinario per uomini dotati. Oggi è un livello base che si acquisisce alle elementari. Credo che sia un esempio di apprendimento sociale oggi dato per scontato; per cui parlare, oggi, di quali siano le differenze tra terapia online e dal vivo significa riflettere su qualcosa che è in via di sviluppo e fonte di apprendimento non solo per il singolo clinico ma anche a livello collettivo.

D’Amico : quindi mi stai dicendo che c’è una parte cristallizzata che è la teoria della tecnica che rimane quella e poi c’è una parte legata all’apprendimento che ci fa dire diamoci del tempo. Ma secondo te, questa fase di apprendimento potrebbe ricorsivamente avere delle conseguenze sulla teoria dell’esperienza della Gestalt? In più volevo chiederti se cambia qualcosa a livello dell’uso e del razionale delle tecniche esperienziali?

Francesetti : secondo me no, non rappresenta un passaggio di livello paradigmatico. La teoria  della terapia non evolverà perchè stiamo passando alla terapia online.

La terapia della Gestalt è diventata famosa negli anni 60 negli Stati Uniti proprio per le sue tecniche (quelle di drammatizzazione, quella della sedia vuota ecc) e sono quelle su cui sta facendo ricerca Lesley Greenberg negli ultimi anni. Però c’è stata una confusione di fondo: la terapia della Gestalt non è le sue tecniche. A un gestaltista togli tutte le sue tecniche e continuerà a fare terapia della gestalt; invece se uno ha solo acquisito le tecniche e gli togli le tecniche allora non farà  più niente. La terapia della Gestalt non è una modalità tecnica, si chiama terapia della Gestalt perchè non è una “terapia del paziente” ma del modo in cui insieme creiamo l’esperienza – il processo della Gestaltung – e insieme la possiamo creare sia vis à vis , sia attraverso uno schermo. Per cui, anche il lavoro online è un lavoro esperienziale e qui entra il gioco della corporeità.

D’Amico: Non c’è la possibilità che l’online ci porti più sul narrativo e ci faccia escludere gli aspetti più corporei dell’esperienza?

Francesetti: secondo me no, l’aspetto corporeo può essere tenuto fuori anche con un paziente che incontro vis à vis, magari ci mettiamo tre anni a far sì che il paziente abbia un certo tipo di esperienza corporea, mentre online con un altro paziente accade dopo una seduta. C’è una distinzione fenomenologica originaria che aiuta a capire questo passaggio che è la distinzione tra Korper e Leib che fa Husserl e che sviluppa successivamente in particolare  Merleau-Ponty. Certo è che quando stiamo nella stanza insieme i nostri Korper abitano lo stesso spazio-tempo e la stessa situazione cartesiana. Ma il Leib, il corpo vissuto, non è meno presente nella terapia online; gli aspetti sensoriali, affettivi, emotivi si muovono tanto online che dal vivo o, viceversa, non si muovono tanto online quanto dal vivo. Il parametro è un altro. I nostri corpi vissuti si incontrano nella comunicazione attraverso le risonanze corporee. Per esempio alcuni anni fa, quando cominciai le supervisioni e le psicoterapie online, mi accorsi che c’era una tendenza a portare l’attenzione alla parte più alta del mio corpo perchè, probabilmente, c’è un rispecchiamento della parte del corpo che vedo del mio paziente, e quindi c’è il rischio che io perda una sensibilità corporea più globale. Tendevo a perdere gli aspetti più indifferenziati, globali, atmosferici dell’incontro. Ma un tema che riguarda, di nuovo, l’apprendimento: ho appreso e sto apprendendo a focalizzare intenzionalmente la sensibilità corporea, estetica, quando lavoro attraverso lo schermo. Sono processi che devono entrare in gioco in maniera più intenzionale, devo ricordarmi di più di sentire cosa sento a livello delle mie gambe, della mia pancia; il rischio è di andare un po’ di più su aspetti sensoriali che sono visivi e meno cenestesici. Per cui, non è un cambiamento di paradigma, uso la corporeità allo stesso modo, ma devo farci più attenzione perchè ho un accesso sensoriale diverso.

D’Amico : mi incuriosiva la questione dell’atmosfera…

Francesetti : nella mia prospettiva, che è radicata appunto nella teoria delle Gestalt e nella fenomenologia, centrale è il concetto di campo, concetto portato in psicologia da Lewin; nel momento in cui incontro il mio paziente emerge un campo fenomenico, un orizzonte che rende probabile certi fenomeni e meno altri; si tratta del paesaggio che si disegna e nel quale mi trovo immerso con il paziente. Questo paesaggio è percepito come il clima, l’atmosfera della seduta, qualcosa all’interno del quale accade la comunicazione. Si tratta di un orizzonte che si disegna immediatamente, nel quale e dal quale emergiamo. Per cui se incontro un paziente che ha un’esperienza depressiva si costituisce un campo depressivo tra noi in cui, per esempio, vi è una forza spaziale implicita che tira verso il basso (de-prime), vi è forza temporale implicita che rallenta il tempo e in cui l’orizzonte si restringe; questo è il modo in cui posso percepire un campo depressivo: attraverso un’atmosfera che deforma lo spazio-tempo in cui è l’aria pesante, buia, scura.

D’Amico : questa esperienza di campo e di atmosfera risente un po’ dello schermo?

Francesetti : assolutamente sì, risente di ogni farfalla che passa ma non ne risulta impoverita. Buona  parte dell’arte è creare atmosfere; se tu vai al cinema hai uno schermo davanti ma tu ti aggrappi concretamente ai braccioli della poltrona quando vedi il protagonista che è minacciato da qualcosa. L’arte è in buona parte creazione di atmosfere, tanto che l’arte contemporanea è diventata sempre più installazione, cioè la possibilità di creare un ambiente in cui c’è un’atmosfera piuttosto che un contenuto. Un data atmosfera emerge nell’incontro online perché il corpo vissuto non trova una barriera nello schermo. Il sè è un processo di emersione momento per momento, il che vuol dire che io mi costituisco con te e tu ti costituisci con me diversamente da come mi sono costituito col paziente precedente o successivo. Quindi c’è qualcosa che si costituisce da un corpo vissuto che prende la sua forma qui e ora a partire dall’orizzonte fenomenico che si sta costituendo. E, in terapia online, non accade meno: le forze intenzionali che si muovono quando incontro il mio paziente sullo schermo sono le stesse forze intenzionali che accadono quando ci incontriamo corpo a corpo, certo con delle differenze, ma non nel senso dell’impoverimento. Non sento necessariamente una perdita; credo che chi pensa che ci sia una perdita, stia facendo confusione tra Korper e Leib; è come se io dovessi intervenire sul corpo anatomico per avere un effetto sul corpo vissuto e non credo sia così, questo è un problema del fisioterapista ma non dello psicoterapeuta. Non possono alcuni eventi accadere alcuni eventi corporei (per esempio l’avvicinarsi, l’allontanarsi, l’abbracciarsi) ma può accadere tutto ciò che è evento vissuto di questo. Il fatto che io dica in questo momento “sentirei il desiderio di avvicinarmi e non posso farlo e sento una mancanza per questo” fa sì che in quella mancanza ci sia tutta la presenza di quel gesto che farei se potessi farlo. Credo davvero che l’incontro umano passi attraverso il riconoscimento delle mancanze, e non necessariamente attraverso la concretezza delle presenze. Il corpo vivo continua a esistere anche nell’assenza; anzi l’assenza è un veicolo potente della presenza.

D’Amico : passando ad aspetti più organizzativi volevo chiederti come organizzi il set-setting? per esempio la questione del luogo, il paziente che fa la seduta in macchina ma viene disturbato dal passante, oppure la connessione non ottimale, oppure il partner nell’altra stanza, chiamo io (e quindi vado incontro al paziente come farei se fosse nella sala d’attesa) o aspetto che mi chiami lui? Tutti aspetti che ci fanno stare necessariamente nel non-sapere. Ma volevo sapere se utilizzi degli accorgimenti.

Francesetti : ci tengo a ripetere che questi aspetti, seppur significativi, non modificano la teoria della terapia, anzi è tutto materiale nuovo su cui lavorare ed il modo con cui ci lavori dipende dalla situazione. Il paziente chiama sempre lui prima o aspetta che chiami io? In entrambi i casi si tratta di  materiale di lavoro terapeutico che diventa materiale significativo perché siamo usciti dallo scontato rituale che fa sì che, per esempio, vada io incontro al paziente che aspetta in sala d’attesa. Tutto questo ci fa uscire da uno scontato rituale acquisito e dato per ovvio e quindi svela movimenti relazionali che altrimenti sarebbero coperti dalla ritualità su cui normalmente ci appoggiamo.

Entriamo in casa dei nostri pazienti o nella loro automobile; anche questo aspetto ci permette di avere accesso a molto più materiale. Un elemento significativo che vorrei notare è il luogo in cui il terapeuta fa la seduta online: per esempio, ora sono nella mia casa in montagna e sto vedendo i miei pazienti qui. Una delle cose che diamo per scontate è che la situazione terapeutica del nostro studio sia un supporto implicito e scontato alla nostra funzione di ruolo terapeutico. Noi gestaltisti la chiamiamo la personalità della situazione: la situazione ha una personalità, da’ limiti, possibilità,  confini, ruoli, definisce le cose in modo scontato, immediato e già dato. Il fatto di lavorare da casa  riduce un po’ la forza della situazione che ci costituisce  come terapeuti e questo può rappresentar una maggior fatica. C’è un costruirmi terapeuta che richiede un po’ di sforzo in più. Nella mia casa di solito io non sono sostenuto a relazionarmi come terapeuta, in genere mi relaziono come papà, marito, amico. Per cui l’aspetto più faticoso è questo venir meno del sostegno scontato di quella che abbiamo chiamato personalità della situazione.

Quando siamo online siamo un po’ più esposti, specie in questa prima fase di apprendimento collettivo; per esempio una collega in supervisione mi diceva: “ho visto che i miei pazienti sono più sciolti, meno difesi, come se si sentissero meno minacciati e quindi alcuni si sono aperti di più”. Allora le ho detto che è interessante vedere non solo cosa cambia nel paziente, ma anche cosa cambia in lei. Mi ha detto di sentirsi un po’ più vulnerabile essendo a casa, di sentirsi un po’ meno protetta dal ruolo professionale, dato che il paziente entra in qualche maniera nei suoi luoghi intimi. Quindi non accontentiamoci di dire che il paziente è meno difeso, ma arricchiamo questo quadro rendendoci conto che anche noi – direi innanzitutto – siamo meno difesi. Questo ambiente nuovo aveva ridotto un po’ il suo sentirsi sicura, ma questo comportava la possibilità di rivelare un po’ di più la propria vulnerabilità e quindi essere meno ‘minacciosa’ per il paziente.

D’Amico : è come se fosse una sorta di livellamento della naturale asimmetria che c’è tra paziente e terapeuta…

Francesetti : è piuttosto la perdita di quei riferimenti di asimmetria su cui il terapeuta e il paziente si appoggiano; non è una perdita dell’asimmetria perchè questa deve restare: io ho cura di te e questo non è reciproco ed è la base  del nostro contratto e della nostra alleanza;  ma si perdono quei modi scontati che dicevano della nostra asimmetria e la rendevano scontata. Anche questo diventa materiale interessante pur non modificando né  il paradigma né la teoria della tecnica.

Gianluca D'Amico

Psicologo, psicoterapeuta cognitivo-evoluzionista. Vive e lavora a Torino. Si occupa di sostenibilità delle cure in salute mentale, di storia ed epistemologia della psicoterapia e della psichiatria.

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