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La psicologia clinica come sapere fondamentale per (saper) vivere e (saper) morire

La fenomenologia è un metodo di indagine del reale volto a comprendere i fatti dell’esistenza. Per certi versi inverte il metodo di lettura della realtà attualmente più utilizzato, quello della verifica delle ipotesi teoriche su di un determinato campo dell’esperienza, proponendo di guardare alla manifestazione più immediata di ciò che c’è.

Ovvero, non si tratta qui di aggiornare i filtri percettivi rendendoli più sofisticati nel cogliere il reale, oppure aggiornare gli schemi emotivi o cognitivi generali in cui ricadono i dati, bensì si tratta di intrattenere con i contenuti del mondo un rapporto tale da farli venire allo scoperto. Mentre, fino ad ora, la posizione emergente e dominante è stata quella di privilegiare il soggetto nel postulare il suo indissolubile legame all’oggetto, la prospettiva fenomenologica, viceversa, privilegia l’oggetto nel suo indissolubile legame con il soggetto. Nel senso che qui si ipotizza che sia l’oggetto, il contenuto, a non essere posto adeguatamente per cui ‘colpisce’ il soggetto in modo parziale, pre-fenomenico o, in sintesi, pre-umano.

La ricerca, qui presentata, in modo iniziale, vuole rappresentare  il tentativo di accedere al contenuto per sollecitarlo ad esprimersi maggiormente, un accesso attraverso un metodo, uno dei possibili, per ricevere un fondamento diverso  dagli argomenti che trattiamo nella clinica

Le premesse da cui partiamo sono quindi partigiane. L’obiettivo è dimostrare come, per avere a che fare con le questioni della cura, bisogna prima rendere ‘fenomeno’ l’oggetto che vogliamo indagare poiché spontaneamente gli oggetti si presentano a noi in uno stato ‘pre-fenomenologico’ (Heidegger direbbe in uno stato inautentico). Diremmo, con termini meno complicati, in uno stato non umanizzato donde, quindi, partire per una preliminare questione: cosa si intende per stato umanizzato?

Iniziamo dal concetto di tutela e ristabilimento della salute umana così come avviene nei Servizi di cura (e di cui oggi si parla molto). La pandemia in corso ci viene incontro come un epocale evidenziatore e fattore di umanizzazione del processo che si intende esporre. I servizi di tutela e ristabilimento della salute pongono le fondamenta sul mantenimento in vita delle persone che accedono alle loro prestazioni. La vita quindi è l’elemento essenziale, a cui può accadere di aggiungere altri fattori che ne favoriscano la qualità (in genere i famigerati fattori psicosociali).

Già a questo primo livello di tutela della vita è possibile notare come il semplice sostentamento di parametri biologici congrui con la sua continuità non sia sufficiente a rendere ‘umana’ una vita.

Tentiamo una preliminare definizione di ‘vita umana’: un movimento storico e identitario che caratterizza un soggetto che fa esperienza, un soggetto capace di ‘essere colpito’ dall’esperienza umana, esserne assoggettato, in modo tale da poter intervenire nella propria vita attraverso la realizzazione o meno di progetti tesi ad attuare se stesso, principalmente tramite il linguaggio che raccoglie la possibilità di ‘essere colpito’ e di progettarsi in un racconto.

Questa articolazione non viene tenuta in considerazione nel processo di monitoraggio dei parametri biologici che finiscono per essere considerati le uniche premesse per il mantenimento dello stato in vita: in realtà costituisce ciò senza cui una vita non può definirsi ‘umana’ e non esiste come tale.

Il concetto nasce dall’applicazione di un metodo fenomenologico denominato da Heidegger indicazione formaleche prevede tre semi di senso o momenti dell’esplicitazione in fenomeno di un oggetto.

  1.  Il primo senso è quello del contenuto: un oggetto che si manifesta, che ci colpisce.
  2. Il secondo senso è quello del riferimento, la rete potenziale e differenziale dei rimandi a cui quell’oggetto è relato, compreso il modo in cui colpisce il soggetto di esperienza, l’orizzonte delle significatività
  3. Il terzo senso, quello dell’attuazione, è il modo concreto in cui si realizza nella storia quell’oggetto.

 

Per quanto riguarda l’indicazione di contenuto, l’oggetto ‘vita’, l’esser vivi, si impone come lo stato spontaneo di una qualsiasi persona ma non lo mettiamo a tema, non diciamo mai di tizio che è vivo, questo dato viene premesso: è un evidenza. Diverso è se andiamo al funerale di tizio, il suo stato ci colpisce come mancanza di vita connotando questa mancanza come condizione biologica. Difatti, se pensiamo ad una persona in vita, pensiamo ad una persona i cui processi biologici sono funzionanti, supponiamo qualcosa su cui in genere in prima battuta non riflettiamo esplicitamente. Ma si è visto dall’indicazione suggerita che non è questa una definizione ‘umana’ della vita.

Attraverso il secondo senso, quello di riferimento, possiamo ricollocare la vita dentro un quadro articolato secondo un modo di incontrare questa vita specifica che mi colpisce, più evidente nella sua mancanza che nella sua presenza.

Attraverso il terzo senso, quello dell’attuazione, è possibile osservare cosa fa una vita nella propria esistenza, nella propria storia che è a sua volta dentro una struttura storica più generale, ovvero l’articolazione delle possibilità d’essere che una determinata epoca offre al soggetto dell’esperienza.

Per una lettura ‘clinica’ di questi momenti dell’esperienza, di seguito verranno presentate alcune ipotesi riguardo ai Servizi che hanno l’obiettivo di tutelare e ristabilire la salute a partire dal tutelare e ristabilire la vita, passando da un modo ‘pre-umano’  ad un modo ‘umano’.

Innanzitutto va data una cornice ‘fenomenologica’ (in questa sede usata come sinonimo di  ‘umana’ nei termini simili a quelli usati per definire la vita) all’oggetto ‘farmaco’ che, a livello preliminare, è un oggetto che ha ricadute biologiche sul corpo in vita. In termini ‘umani’, invece, il farmaco è il tempo sottratto al meccanismo patogeno, che consente al soggetto di ristabilirsi dentro il contesto dei suoi abituali incontri significativi con l’esperienza.

Un qualsiasi farmaco salvavita mette facilmente in evidenza questa correlazione, non a caso, perché si situa al limite con la dimensione in cui la vita appare come oggetto preliminare: il rapporto con la morte. Come nell’esempio di Tizio che, se lo incontriamo per strada, non mettiamo a tema che lui sia vivo ma se dovessimo malauguratamente recarci al suo funerale ci troveremmo a rimpiangerne la vita. Così il farmaco è il primo intervento, chimica che agisce sul tempo vissuto dal soggetto che  fa  esperienza. In termini ‘umani’ il suo compito, evidentemente, non ha a che vedere con il dato biologico ma con cosa quel farmaco consente di fare.

A partire dal farmaco, inteso come elemento ‘pre-umano’, si sono strutturati tutti i Servizi riguardanti la salute, basti pensare ai Centri di Salute Mentale ma anche ai Centri di Diabetologia territoriale, agli Ambulatori di cardiologia, nefrologia, oncologia e via dicendo. Sono tutti luoghi che hanno una molecola o un insieme di molecole che li definiscono, in cui l’umanizzazione delle cure è ridotta alle presenza di uno psicologo, qualora ci sia, a presidiare il versante ‘psicosociale’ del paradigma biopsicosociale.  A quel livello, però, la cura potrebbe esaurirsi già a livello ‘bio’ perché ad essere insignito del merito guaritivo è la molecola, che non ha in sé nessuna peculiarità umana e, quindi, prerogativa curativa

A ben vedere, quindi, i Servizi di cura, ma forse anche i dispositivi (su cui però bisogna fare un discorso più ampio), sono tutti generati da oggetti pre-umani ovvero pre-fenomenici.

A partire dalla differenza ontologica che, per Heidegger, installa una irriducibilità del mondo umano, una discontinuità estrema tra l’umano e l’animale e l’ambiente, abbiamo la possibilità di reinserire la cura della salute in un discorso ‘umano’.

In questo la psicologia clinica offre una dimensione potenzialmente evolutiva per la medicina: è l’unica disciplina clinica che può ricondurre la medicina (non le tecnologie mediche) in una dimensione umana.

A breve, in una sintesi storica-epistemologica, Parmentola metterà in evidenza come le necessità di contrattualizzazione professionale, dopo l’istituzione dell’ordine degli psicologi, abbia sopravanzato la definizione delle correlazioni tra soggetti e oggetti della professione, di fatto anticipando la definizione normativa sindacale a quella professionale[1]

Difatti, un intervento psicologico può salvare una persona da un infarto, dalla complicanza di una malattia cronica o consentire di vivere, in termini umani, una condizione terminale. In questi termini la psicologa cura i cuori, cura gli organi e cura anche il cancro, restituendoli, con un metodo rigoroso, alla dimensione umana.

È evidente che non li curi da un accesso tecnico diretto, nessuno psicologo potrà mai avere un organo  “in mano” e “ripararlo” ciò che può ripristinare uno psicologo è l’appartenenza di un organo al funzionamento di un mondo in cui il soggetto, che ha un organo, si trova e in cui si genera nelle possibilità che un’ epoca e una storia gli destina, consentendogli attraverso il funzionamento di quel dato organo o la terapia di quella data malattia, garantita dalla tecnica e dai dispositivi medici, di poter fare esperienza nel silenzio del proprio corpo, altrimenti interrotto dalla malattia che esclude l’ uomo dal suo mondo impedendogli dall’ appropriarsene

Nei Servizi la psicologia non può essere evocata, ad esempio, come supporto di umanizzazione delle cure in quanto mero fattore protettivo subordinato al farmaco ma è quell’intervento che, rendendo ‘umano’ il farmaco, lo fa funzionare. Una psicologia che sappia rendere fenomeno gli oggetti che incontra, che si attribuisca la lettura di questi oggetti e li trascriva per esplicitarne l’umanità a cui essi ambiscono. Così come si deve attribuire ai professionisti il mandato di erogare interventi tesi a ristabilire la vita attraverso la parola, per raccogliere insieme la biologia e la storia di una vita: esito di un movimento che rilancia verso la completezza di una visione che intenda gli organi di un corpo funzionanti in accordo con un mondo storico di cui sono parte.

Recuperare proprio questa appartenenza della biologia umana ad una esperienza, ad una storia ed alla storia, è il compito della psicologia, oggi più che mai, attraverso la parola, che possa diventare, laicamente, corpo, mondo e storia.

In conclusione, quindi, dobbiamo ripensare i manufatti specifici, che sono i Servizi per la cura della salute, inserendoli tutti, indipendentemente dal settore in cui operano, in un’ottica metodica di umanizzazione. Nella prospettiva qui proposta si tratta di passare da un lettura pre-fenomenica ad un’ottica fenomenica attraverso il metodo fenomenologico dell’indicazione formale, metodo trasversale impiegabile sia per la lettura dei contesti sia come metodo per l’intervento, in modo specifico per gli interventi di tipo psicologico e psicoterapeutico. Sarebbe, quindi, auspicabile che premesse condivise, generate da quelle discipline più adatte alla lettura dell’esistenza umana, potessero generare delle prassi terapeutiche integrabili, a prescindere dalla connotazione tecnica di provenienza. Viceversa, nei Servizi e nei dispositivi terapeutici, attualmente, si assiste ad un’integrazione difficile perché non sono condivise le premesse, potremmo dire gli orientamenti ontologici, a partire dai quali, a manifestarsi sono oggetti completamente diversi ma appartenenti ad uno stesso dominio del reale.

Soprattutto in quest’ epoca specifica, quella del covid, dove le strutture sanitarie  hanno  assunto una funzione centrale nel definire tutti gli ambiti di vita individuali e comunitari,  abbiamo assistito ad una vicenda giocata molto sui livelli pre-umani generati dalla tecnica biomedica. Al livello pre-umano degli interventi tesi a prevenire la pandemia, si è associato un livello pre-umano con cui si è gestito il ricorso ai vaccini. In questa dimensione, la psicologia clinica non ha saputo far fare il salto verso una dimensione umana delle cure o dei vaccini. La psicologia, in un certo senso, avrebbe avuto le competenze per curare il covid. Evidentemente non entrando dall’ accesso biochimico alla malattia causata dal virus. Dimensione verso cui la psicologia non può avere un approccio, bensì provando ad accedere alla malattia causata dal virus dal punto di vista che le compete, quello dell’ esistenza, restituendogli la dimensione di fenomeno umano, piuttosto che lasciare prioritario il punto di vista “del virus” che giustificato da un’ emergenza inaspettata, la messa in questione della soglia biologica della sopravvivenza, ha dovuto richiedere una risposta che dovesse tralasciare necessariamente la dimensione umana della soglia, quella esistenziale, altrettanto vitale ma meno urgente

Molte persone in questi anni si sono ammalate, sono morte, sono guarite, hanno riportato danni permanenti, ma tutto ciò ad un livello in cui non è stato possibile restituire uno statuto umano alla loro sofferenza. Sono stati ristabiliti valori sufficienti al funzionamento di vari organi, ma lo strappo nell’esistenza delle persone non è stato preso in considerazione. Non ci si è preso cura degli esiti successivi per cui la psicologia è attrezzata o si può attrezzare. Gli interventi psicologici ‘riparativi’ hanno una portata limitata, il monitoraggio della salute dovrà avvenire in maniera strutturalmente diversa nei decenni a venire, perché lo strappo nelle nostre esistenze, dalla pandemia in avanti, ci imporrà un itinerario alternativo, in modo radicale. Questi anni vissuti in modo pre-umano non saranno recuperati: il tempo umano, in quanto vissuto nel flusso di una storia individuale, non  è addizionabile o sottraibile. I minori che hanno perso semestri di scuola, i pazienti che hanno ritardato le cure, gli incontri non avvenuti, le esperienze non fatte non saranno rinviate, sono perse, determineranno la qualità della vita in una direzione peggiorativa se non si raccoglie quel che è accaduto dentro un’ipotesi che ne umanizzi la lettura per offrire alle persone un intervento dedicato.

Quelli che ci attendono sono gli anni del lutto, gli anni del superamento di una visione pre-umana, attraverso un metodo rigoroso.

 

 

Bibliografia

Conti – G. Arciero, PERCORSI DI CURA. PSICOTERAPIA FENOMENOLOGICA E PSICOANALISI: L’IMPRATICABILE INCONTRO, Vita e Pensiero Editore, ricerche psicologiche 2021;

Arciero – G. Bondolfi – V. Mazzola, FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA FENOMENOLOGICA, Bollati Boringhieri 2019;

Arciero – G. Bondolfi, SE, IDENTITÀ E STILI DI PERSONALITÀ, Bollati Boringhieri 2010;

Arciero, SULLE TRACCE DI SE, Bollati Boringhieri 2009;

Arciero, STUDI E DIALOGHI SULL’IDENTITÀ PERSONALE, Bollati Boringhieri 2006;

Parmentola, LA STORIA DELLA PSICOLOGIA ITALIANA,  Pisoconline  editrice,   in corso di stampa

Vincenzo Costa, ESPERIENZA E REALTA’. LA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICA, Editrice Morcelliana2021;

Vincenzo Costa – Luca Cesana – Davide Liccione – Luca Vanzago, IL MONDO ESTRANEO. FENOMENOLOGIA E CLINICA DELLA PERDITA DELL’ EVIDENZA NATURALE, Scholé Editrice Morcelliana 2021;

Vincenzo Costa – Luca Cesana, FENOMENOLOIGIA DELLA CURA MEDICA. CORPO, MALATTIA, RIABILITAZIONE, Scholé Editrice Morcelliana 2019;

Martin Heidegger, ESSERE E TEMPO, Longanesi 1971;

Martin Heidegger, FENOMENOLOGIA DELLA VITA RELIGIOSA, Edizioni Adelphi 2003;

Aldo Masullo, PATICITÀ E INDIFFERENZA, Il Melangolo 2003.

 

Note:

[1] C.Parmentola compie un excursus storico della vicenda della psicologia, dall’ inizio del secolo passato ad oggi nel suo testo di prossima uscita “Storia della psicologia italiana” in cui le vicende storiche sono manifestazioni delle cornici epistemiche che hanno caratterizzato la disciplina e viceversa, ovvero di come la storia della psicologia abbia inclinato la struttura epistemologica al netto del contesto generale in cui essa si è sviluppata nelle varie epoche

Stefano Marchese

Psicologo e psicoterapeuta, docente IPRA (Istituto di Psicologia e Psicoterapia Post-razionalista, operatore nelle dipendenze.

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