PsicoterapiaTerapia Metacognitiva Interpersonale

La schema therapy: una terapia centrata sui bisogni

Non importa come sei nato, importa quello che diventi

J. K. RowlingHarry Potter e il calice di fuoco, traduzione di Beatrice Masini, Salani, 2001, p. XX

Sin dal primo vagito che segna il nostro ingresso nel mondo siamo una compagine di bisogni. Se guardiamo da vicino un bisogno è approssimabile a qualcosa che manca, ad un trapezista sospeso in attesa di mani che lo afferrino. I bisogni psichici, negli anni, si susseguono e mutano con noi, col nostro temperamento, col manto relazionale e socioculturale che ci avvolge. Cosa accade, però, se un bisogno è a lungo insoddisfatto? Se il trapezista resta sospeso? Minimo minimo, gli viene un crampo. Nelle dinamiche della vita psichica si forma una sorta di previsione, un’anticipazione salvifica: l’altro non viene. Mi si imprime un segno, una memoria nel mentecorpo e la gestisco come posso. Ecco il primo vagito di uno schema. 

Secondo la Schema Therapy, lucidamente sintetizzata dal testo “Schema Therapy. Caratteristiche distintive”, di Tenore K. e Serrani M. F. edita da Franco Angeli, la frustrazione di uno o più bisogni psichici durante l’infanzia, in particolare, e in adolescenza, può minare il benessere mentale. Un chiaro spaccato della parte fondante del loro modello di psicopatologia. 

La Schema Therapy (ST), nel procedere della lettura del suddetto testo, ha un impianto corposo, essendo una miscellanea coerente di elementi di terapia cognitivo costruttivista, terapia della Gestalt, teorie dell’attaccamento e delle relazioni oggettuali, analisi Transazionale e Psicodramma. Il procedere terapeutico, poi, si cadenza in due momenti: una fase di assesment, in cui ci sono anche elementi di psicoeducazione e una fase di cambiamento, con un susseguirsi di strategie cognitive, esperienziali e comportamentali, in monitoraggio costante della relazione terapeutica e dello stato dell’alleanza (Young, 2018; Tenore, 2013). La Schema Therapy però, come direbbe David Berstein, un terapeuta ST, è A Need based Approach. Sin dal primo ingresso del paziente nella stanza di terapia il terapeuta si domanda, quale bisogno psichico è stato frustrato? Quale, soddisfatto?

Secondo il padre fondatore del pensiero della Schema Therapy, Joeffrey Young, discente dello stesso Beck, per dire un nome a caso nel panorama cognitivista, ci sono 5 campi, in cui ricadono i nostri bisogni psichici fondamentali, dalla cui frustrazione originano diversi schemi, diciotto per essere pignoli. Nel prossimo articolo esploreremo questi campi con la recente integrazione del team di ricerca di Arnould Arntz pubblicato su Cognitive Therapy and Research nel 2021. I bisogni psichici primari ricadono in questi campi: il bisogno di legami stabili, il bisogno di autonomia (per maturare senso di competenza e favorire l’autodeterminazione e la costruzione dell’identità), il bisogno di limiti realistici (per favorire l’autocontrollo), il bisogno di libertà di esprimere i propri bisogni fondamentali, il bisogno di spontaneità̀ e gioco (Young, 2018). 

Piccolo ma significativo inciso: il compito del terapeuta non è cercare il match preciso tra bisogno frustrato e schema interno e farlo corrispondere al foglietto illustrativo. Il foglietto illustrativo Schema Therapy è la mappa, non il territorio. Nei disturbi di personalità il lavoro con gli schemi lascia spazio all’esplorazione congiunta degli stati mentali. Gli stati mentali sono parti di sé. Parti che assumono i connotati mentecorpo dei bambini che siamo stati e delle rappresentazioni genitoriali interiorizzate (grazie per lo spunto Berne!). Gli stati mentali, definiti Mode, rappresentano le istantanee di stati emotivi, schemi e strategie di coping attive in un dato momento. Se gli schemi sono i tratti, come lunghi binari, i mode sono le stazioni dei treni. La terapia, così, diventa un “Arresto Momento” – cito l’incantesimo di rallentamento della caduta ideato dalla Rowling, con strizzata d’occhio alla storia di frustrazione dei bisogni e traumatizzazione del bambino con la saetta sulla fronte più famoso del suo mondo e, direi, anche del nostro. 

Nell’esperienza patologica i mode possono essere descritti come attori che si offrono al pubblico uno alla volta. Più è grave la patologia più tali attori non sono a conoscenza del copione degli altri protagonisti e meno risentono della regia che, mantenendo la metafora, è rappresentata dalla parte adulta di sé, quindi dall’adulto funzionale.

Pag 64, Schema Therapy. Caratteristiche distintive”, di Tenore K. e Serrani M. F. edita Franco Angeli

In terapia possiamo notare se i Mode sono dissociati o integrati, inconsapevoli o consapevoli, adattivi o disadattivi, estremi o lievi, rigidi o flessibili. Guardiamo per esempio cosa succede quando Harry si sente abbandonato, pur non avendo motivo di crederlo. Osserviamo, anche, come le sue strategie di coping mutino negli anni (da evitamento a iper-compensazione), con un pizzico di immaginazione.

T: “Harry cosa le passa per la testa quando Ginny arriva tardi da lavoro?” 

H: “Rimarrò solo”

T: “Che emozione prova?”

H: “Tristezza, altre volte una rabbia intensissima.”

T: “Dove la prova la tristezza?”

H: “Nelle braccia, nelle gambe.”

T: “Cosa nota nel corpo?”

H: “Si spegne, è meno vitale. Vorrei fondermi con il letto. “

T: “Immagino sia doloroso. Fa qualcosa quando si sente così?”

H: “Quando mi sentivo triste così, anni fa, guardavo spesso nello specchio delle Brame, fantasticando di stare con i miei genitori. Poi scrivevo molto spesso a Black, il mio padrino, prima che morisse anche lui, oppure stavo sempre con Ron ed Hermione e pretendevo che loro ci fossero e protestavo con rabbia quando non c’erano. Adesso, pur sapendo che Ginny mi è vicina, quando non torna, la soffoco con le domande e per evitarlo mi alleno per ore a Quiddich.” 

Poi, con l’Imagery, torniamo indietro, all’infanzia, facendo leva sull’emozione che fa da tramite temporale, e, come per magia, esploriamo da dove proviene questa predizione che adesso risulta inesatta. Da qui si delinea lo scenario della frustrazione in origine. Il primo vagito degli schemi di deprivazione emotiva e abbandono traumatico del maghetto che conosciamo. 

La frustrazione è un’esperienza che si sostanzia di diverse possibilità che possiamo rintracciare nella storia di vita: “manca troppo di una cosa buona”, mancano stabilità e prevedibilità dei legami, accettazione incondizionata, protezione, rispetto, riparazione delle rotture della sintonizzazione. Questo descrive storie di attaccamento insicuro o disorganizzato; esperienze in cui c’è “troppo di una cosa buona”, per esempio storie in cui figurano significativi eccessivamente protettivi che limitano l’esplorazione e l’autonomia; o storie in cui c’è molta esperienza di spontaneità e gioco e pochi limiti realistici. Accanto alle prime due esperienze, anche i traumi dell’attaccamento, che interessano il bisogno di sicurezza del bambino, consegnano a traiettorie di sviluppo con più rischi di esiti psicopatologici. L’identificazione con un genitore, per esempio, attraverso il meccanismo del modelling, può portare alla frustrazione dei bisogni. Come? Rappresentiamoci un genitore con standard severi, performante, sempre a lavoro, che cerca di eccellere in quello che fa, pur non avanzando richieste esplicite verso il bambino, come nella vita scolastica, chiedendogli di avere sempre dieci a scuola o dieci o sei è un perdente, può portare il bambino ad imitarlo, e a marginalizzare altri bisogni (Tenore, 2013).

La terapia diventa un arresto momento per il riconoscimento degli schemi o con più articolazione, dei Mode disfunzionali e quindi dei bisogni, un laboratorio relazionale autentico, con dosi di accudimento da parte di un terapeuta molto consapevole delle proprie grane interne. Queste quote di accudimento sono consegnate poi alla parte adulta “sana” del paziente stesso al fine che, in modo attivo, possa riconoscere e soddisfare con consapevolezza i propri bisogni e modificare i propri coping disadattivi. L’augurio è che Harry, dopo la terapia, quando Ginny non torna, riconosca e senta alleggerito lo stato interno, di cui il terapeuta per primo, e poi Harry stesso, si è preso cura ascoltando i suoi bisogni e abbassando il volume della tristezza e dell’angoscia, consentendosi così di partecipare ad altre versioni di sé e del suo benessere.

Certo che sta succedendo nella tua testa, Harry, ma perché diavolo dovrebbe significare che non è reale?

J. K. RowlingHarry Potter e i doni della morteSalani, 2007, Silente: cap. 35, p. 664

Bibliografia

  • Arntz, A., Rijkeboer, M., Chan, E. et al. Towards a Reformulated Theory Underlying Schema Therapy: Position Paper of an International Workgroup. Cogn Ther Res 45, 1007–1020 (2021). https://doi.org/10.1007/s10608-021-10209-5
  • Tenore, K., & Serrani, F. M. (2013). La schema therapy. Caratteristiche Distintive. Milano: Franco Angeli.
  • Young, J. E., & Klosko, J. S. (2014). Reinventa la tua vita. Raffaello Cortina Editore.
  • Young, J. E., Klosko, J. S., & Weishaar, M. E. (2018). Schema therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità. Erickson

Mariateresa Matera

Psicologa, psicoterapeuta cognitivista e sessuologa. Lavora come consulente presso la cooperativa CIRP

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