FilosofiaPsicopatologia

Il tempo ch’io sono. La psicopatologia del tempo interiore

“Si dice che il tempo guarisca ferite e dolori” 

– Paul Watzalawick

Introduzione

Praticando l’arte della psicoterapia e della cura psichica, è giusto affrontare alcuni importanti temi della ricerca psicologica e psicopatologica[1], centrali nell’ambito  delle prassi terapeutiche[2]. Tra questi argomenti sin dal secolo scorso, il concetto di tempo vissuto nei pazienti[3] occupa un ruolo di primo piano per la comprensione della sofferenza psichica: il dolore si conosce per esperienza (Natoli, 2007, 7).[4]

Il tempo, quindi, è al centro di una riflessione sulle prassi di cura che ci si augura abbia dei risvolti applicativi nel campo psicologico/psicopatologico. La cura della sofferenza oscura (nevrosi, depressioni psicogene e ontiche, tensioni emozionali) è, almeno inizialmente, una pratica temporale (che richiede tempo…) e una pratica intuitiva sulla percezione del tempo vissuto-interiore. Dunque, la «scientificità» della cura non è data né dall’attuazione di rituali e procedure, né dai concetti di Io, Sé, Identità ma dall’attenzione al tempo vissuto.

 

Tab.1 Tempo Patologico

Schizofrenia

(il tempo si frantuma in profondità, viene cancellato il presente e il futuro

Depressione

il tempo si spezza, il futuro si dissolve, il presente è divorato dal passato

Esaltazione maniacale

il tempo è bruciato da una euforia senza confini, il tempo si sfilaccia e si scompone in mille frammenti che non hanno né passato né futuro; presente senza storia

Ogni cura non si presenta diversa qualitativamente dalle relazioni della quotidianità e dagli interventi attivi di qualcuno verso altri, successiva e coeva a tutte le forme trasformazionali primitive, tradizionali, popolari, magiche, rituali.  Diviene una pratica piatta e vuota, senza potenzialità conoscitive autentiche, quando risponde al tentativo di massa di esorcizzare l’angoscia della coartazione, della limitazione esistenziale, della quotidianità avvilita, del vissuto d’opaca inutilità, attraverso il racconto pettegolo dei propri guai personali, sentimentali, relazionali, fatto a un «esperto» atto a risolvere taumaturgicamente il male e a iniziare il «paziente» alla felicità.  Ogni cura si lega al tempo interiore. Ma cosa lega il tempo alla nostra natura di persone? Durante la terapia il passaggio della sofferenza ad un momento successivo (guarigione, mutamento personale) può essere definito come una trasformazione complessiva della persona, del tempo interiore, e ciò varia da singolo a singolo[5].

1. Quel che è ora (presente) 2. Quel che è stato prima (passato) 3. Quel che potrà essere di me dopo (futuro)

Tab.2 Identità e Tempo  

Questo discorso zigzagante sul tempo vissuto nei pazienti cosa c’entra con la cura? La cura psichica non è trasformazione personale rispetto alla condizione di limitazione e danno psichico? Personalmente credo che l’attenzione sul come il paziente conviva con il tempo dell’orologio e il tempo interiore possa aiutarci a comprendere la fragilità umana. Vorrei soffermarmi sulla relazione “essere e tempo”, per dire qualcosa dei modi, delle forme in cui il tempo è vissuto in alcune delle emozioni umane che appartengono a tutti noi. Si tratta di un legame di appartenenza tra essere e tempo che produce emozioni normali e patologiche, che si legano alla percezione del tempo, alla fenomenologia del tempo, alle figure della temporalità (nostalgia, rimorso, rimpianto, gioia, attesa, speranza, preghiera), tutte condizioni esistenziali che possono, durante il tragitto, sconfinare nel dolore, nella sofferenza oscura, nelle fragilità umane, nelle situazioni in cui si vive nel presente che fiorisce e muore istantaneamente, senza passato e senza futuro. Ma come cambia il tempo interiore durante un disagio psichico o una malattia? Come muta la percezione del legame tra l’essere e lo scorrere del tempo interiore? Possono le esperienze del tempo nel corso di una sofferenza psichica[6] o, in genere, di una malattia, comportare un mutamento personale? Il tempo (non dell’orologio), il modo di vivere il tempo interiore, cambia nelle diverse fasi della vita e del dolore?

Tali questioni  appartengono al livello personale/soggettivo, e non è possibile  fornire una  spiegazione esauriente  ma sono possibili  alcuni spunti utili per la clinica.[7] In realtà   il tempo vissuto rimane un mistero per ogni ricercatore e ogni discorso sul dolore e la sofferenza oscura detta psichica, sulla esperienza soggettiva del patire, si confronta con gli orizzonti sconfinati dell’anima, dell’indicibile e dell’inesprimibile. Potremmo dire che ogni psiche racchiude in sé la percezione del tempo, il mistero della sofferenza, la proiezione verso un tempo infinito, il futuro.

«Cosa dire allora della esperienza umana della malattia, e del dolore che sono l’una intrecciata all’altro? Le cose cambiano nella misura in cui sia malattia grave, o malattia non grave, malattia che si muova ai confini estremi del dolore, o della morte, malattia acuta, o malattia cronica. Non cambiano in ogni caso alcune radici psicologiche e umane: la solitudine, l’esperienza dolorosa dello sradicamento (temporaneo, e allora sopportabile, o prolungato, e allora angosciante, se si è in ospedale), la percezione profondamente mutata del proprio corpo che si trasforma in un corpo estraneo e sconosciuto che ha bisogno di aiuto e non risponde più alle nostre richieste: anche le più banali. Sono cose queste, a cui non è possibile pensare, se non ci ricordiamo che il dolore, la malattia-dolore, cambia il nostro modo di essere nel mondo: cambiamo noi, e cambiano le attese e le speranze che sono in noi. Cambia anche la percezione del tempo, che smarrisce la sua naturalezza e la sua spontaneità, il suo movimento senza fine dal presente al passato e dal presente al futuro, il suo scorrere senza discontinuità fra il tempo dell’orologio e il tempo dell’io, il tempo vissuto, che a volte fugge con la velocità del suono quasi non consentendoci alcuna riflessione, e a volte si muove con lentezza esasperante immergendoci in vortice di pensieri immobili e pietrificati».[8]

«Impiegheremo sempre l’espressione comprendere (Verstehen) per la visione intuitiva dello spirito, dal di dentro, […] spiegare (Erklären) il conoscere i nessi causali obiettivi che sono sempre visti dal di fuori. […] Con il comprendere genetico – spiegare psicologico da contrapporre a ragione allo spiegare causale, obiettivo […] – si giunge, in psicopatologia, subito a un limite. Lo psichico emerge ed appare come qualche cosa di nuovo in modo del tutto incomprensibile per noi».[9]

Nel  mondo fenomenologico delle persone[10] non si scoprono né si ricostruiscono le origini del tempo ma ci si limita a descrivere i modi personali e vissuti interiori/intersoggettivi di essere della persona nel mondo.[11] La conoscenza dell’altro o di ciò che accade si lega pur sempre al tempo vissuto. Infatti, durante una relazione umana, il tempo diviene anticipazione dell’altrui azione (tempo anticipatorio), tempo vissuto dell’altro; è una comprensione intuitiva per ricorrenza (diacronica), conoscenza di massa (sincronica) o conoscenza di massa per ricorrenza (pancronica). Non vi è esperienza interiore che non si accompagni alla presenza o consapevolezza del tempo interiore, alla percezione della misura del tempo, alla costruzione di una immagine del tempo (metafora).

 

  

1. Sentimento della consapevolezza di esistere nel flusso del tempo 2. Sentimento di consapevolezza del tempo vissuto (qui ed ora) 3. Consapevolezza di unicità del tempo (ogni attimo è unico)
4. Sentimento di consapevolezza dei confini del tempo (distinzione tra presente e passato) 5. Sentimento di consapevolezza di identità nella crescita durante le fasi temporali (mutamenti personali)

 Tab.3 I sentimenti del tempo vissuto

Sappiamo della nostra temporalità eppure una parte di questa consapevolezza è sfuggevole. La coscienza, infatti, è sia coscienza del tempo, sia coscienza nel tempo.

  • COSCIENZA, INTUIZIONE E PERCEZIONE
  • Coscienza del tempo
  • Coscienza nel tempo
  • Sincronia – Diacronia
  • Passato, presente, futuro

Tab.4 Coscienza intuizione percezione

Nel tempo si incarnano i significati intenzionali e linguistici  che attribuiamo al mondo, agli eventi e alle persone con cui condividiamo il nostro destino.[12]

Ogni esperienza personale necessita degli altri, accoglie il tempo degli altri, del tempo vissuto oltre il tempo dell’orologio. Al tempo affidiamo il nostro destino (la scansione di ciò che programmiamo ed attribuiamo ad esso, quasi sempre, la buona o la cattiva sorte delle nostre azioni.  Il concetto di destino, non a caso, si rapporta al tempo che scorre, alla misura di ciò che vogliamo costruire per noi stessi. Ciò ci fa comprendere che non solo esiste il tempo dell’orologio, “afferrabile”, misurabile, ma  esiste il tempo interiore, il tempo vissuto dentro il corpo e per il corpo, che si incarna nei mille significati che cerchiamo di incardinare nel quotidiano.[13]

Il tempo interiore, a differenza del tempo misurabile dell’orologio (che ci aiuta ad orientarci nel mondo degli oggetti e delle persone), cambia per ciascuno di noi durante il passaggio dall’infanzia alla vecchiaia. Ed è sempre il tempo interiore (attimo) che ci conduce verso le varie figure della temporalità e dell’anima (nostalgia, speranza, rimpianto, gioia), che ci fa rivivere nei ricordi oppure ci conduce verso l’ignoto futuro, fatto di attese e speranze mentre il flusso del tempo, che dal passato defluisce nel presente e dal presente si trascende nel futuro, che vive in noi in maniera misteriosa e sfuggente (a tratti inconsapevole), che scorre senza che ne abbiamo coscienza piena.

Sin dalla loro nascita le scienze umane conoscono bene il problema del tempo vissuto, così diverso da quello delle lancette dell’orologio. Le esperienze del tempo accompagnano la nostra vita, ci aiutano a comprendere la vita stessa.

«L’esperienza del tempo, cui solo le indagini daseinsanalitiche hanno consegnato importanza psicopatologica, consente ad esempio di  ‘interpretare’ psicologicamente alcuni fenomeni  psicopatologici che non sarebbero altrimenti comprensibili…ogni manifestazione della vita è come sorretta dal flusso del divenire e che la inibizione del werden è alla radice esistenziale del vissuto malinconico, si apre anche ad una ‘riverberazione psicologica».[14]

Quindi non c’è esperienza psicologica che non si accompagni alla presenza del mutamento del tempo e alla percezione del tempo interiore.

Non sono pochi coloro che vivono uno stato di nostalgia (il presente del passato) o smarrimento, che soffrono di malinconia ovvero di un “tempo fermo” nel passato, privo di futuro.  In alcuni casi assistiamo impotenti alla vittoria del tempo passato sulla persona: è il caso della depressione. Anche il tempo della nostalgia ci mostra come una sofferenza oscura legata ad una malattia sia sempre legata alla storia personale (anche attuale e non solo passata), alla percezione di sé stessi, al tempo vissuto, al mondo delle relazioni intersoggettive. In alcuni casi il legame con la triade passato-presente-futuro appare alternato: la persona non riesce ad abbandonare il pensiero di una unica dimensione del tempo (o presente, o passato o futuro). Nello stato malinconico, ad esempio, viene a mancare un tempo condiviso con il presente, fatto di scambio con l’altro, con il presente. Il tempo vissuto nella malinconia cancella la presenza dell’altro e si affossa nei ricordi del passato.

«Ora, la forma di esistenza maniacale è incapace di articolarsi in una relazione significativa con gli altri-da-sé e di comportarsi tenendo presenti i fatti del passato e quelli possibile del futuro: si realizza (destorificata) solo in un qui – e – ora slegato e privato di ogni prospettiva temporale. Da essa è possibile dunque risalire alla tesi di matrice fenomenologica-trascendentale…che nella mania la temporalità sia coartata e immersa in una istantaneità inautentica: essendo in essa indebolite e poi annullate sia la protentio sia la retentio. L’esperienza maniacale non riesce più a costituirsi in un tempo comune a ciascuno di noi, non essendo più capace di collegare il passato con il presente, e il presente con il futuro: La praesentatio diviene quasi un’isola sprofondata nella sua solitudine de-finalizzata».[15]

In alcune forme di psicopatologia (depressione) il legame al tempo appare diversamente costituito.

«La retentio, la praesentatio e la protentio non sono fenomeni isolati della temporalizzazione ma sono momenti della sintesi unitaria delle operazioni intenzionali  costitutive dell’oggettività temporale: Nella melanconia…la sintesi unitaria è diversamente difettosa: in essa non si indeboliscono e non si annullano contestualmente retentio e protentio, come avviene nella mania, ma di volta in volta la protentio è infiltrata di momenti retentivi, e la retentio di momenti protentivi…Si deve allora parlare di un difetto della struttura degli atti intenzionali temporali; e, in fondo, di una perdita da parte dell’esperienza di possibilità temporali intenzionali, o trascendentali».[16]

Appare chiaro che esiste, in ogni persona, un modo soggettivo di conservare dentro di sé i momenti difficili o felici della vita, il flusso del tempo trascorso (memoria del passato rispetto al presente, brandelli di ricordi). L’essere umano è l’unico ente vivente  che può porre domande su sé stesso e su ciò che lo circonda,  che può prendere consapevolezza del tempo vissuto, che può analizzare il proprio mondo interno tramite la coscienza (la consapevolezza), la parola (il linguaggio), tramite il suo vissuto del tempo e le relative mutazioni nell’intersoggettività (tali mutazioni possono essere descritte mediante strumenti tecnici o neurobiologici e strumentali oppure mediante prassi psicologiche/intuitive).[17]

Rispetto   all’interpretazione del vissuto del tempo occorre tenere presente gli atti intenzionali messi in atto dai pazienti. Infatti l’intenzionalità della coscienza costituisce un livello importante nella relazione terapeutica poiché anticipa e precede ogni riflessione, concettualizzazione e categorizzazione. Tale intenzionalità appare anteriore a qualsiasi astratta separazione tra noi e il mondo, tra il soggetto (io) e l’oggetto percepito (ciò che mi appare e si presenta dinnanzi alla persona).[18]

Il tempo interiore, interpretato a partire da un evento o vissuto interno, prende il significato che il vissuto emotivo o evento gli assegna (ci si può chiedere, rispetto ad un accadimento, se è un tempo sprecato, conquistato, piacevole, triste, allegro, condiviso, solitario?).  Ogni momento della vita è connesso alla triade temporale che si compone del passato-presente- futuro mentre la vita umana si organizza tenendo presente i ritmi diversificati del tempo esterno (durata dell’orologio) e del tempo interno. Ovunque ci troviamo o siamo percorriamo il tempo. Ogni origine è legata al tempo.

«Da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo».[19]

Basta dire che il tempo vissuto ci appare, quindi, diverso nel corso dell’esistenza o di una malattia, poiché diversi sono i significati (e le percezioni) che applichiamo alla realtà percepita, a noi stessi. Le dimensioni molteplici del tempo ci accompagnano nel quotidiano: il tempo viene percepito, vissuto, interpretato, rappresentato mediante le figure della nostalgia, speranza, rimorso, rimpianto.

«La topica del tempo si dispone secondo tre dimensioni ed è perciò articolabile in tre schemi: 1) percezione del tempo; 2) strutture del tempo; 3) figure del tempo…Il primo modo d’esperienza si riferisce all’esperienza quotidiana del tempo, ossia al tempo descritto a partire dalla percezione immediata del divenire e quindi del trapassare. L’esperienza del tempo, così intesa, può essere quella continua dell’avvicendarsi e quella discreta dell’accadere. È, comunque, un’esperienza che si colloca nell’ambito del rammemorare e dell’attendere. La percezione immediata del tempo non considera in sé la memoria e l’attesa, bensì semplicemente ricorda e attende, e quindi è attenta ai contenuti del trattenere e del trapassare. La quotidianità è intessuta da tali modalità percettive o, più propriamente, viene tessendosi e si produce in tali percezioni…La seconda dimensione entro cui si configura l’esperienza del tempo ha carattere fondativo ed epistemico. Essa intende attingere gli elementi ultimi della temporalità o, altrimenti detto, i caratteri costitutivi del tempo: appunto, le strutture della temporalità: si tratta di chiarire i nessi tra tempo e movimento, tempo e misura, tempo e durata. In questa prospettiva s’intrecciano ontologia, cosmologia e logica…Le figure del tempo non sono altro che espressioni  qualitative della temporalità stessa».[20]

Basta dire che possediamo tre diversi luoghi (possibilità) entro cui ogni persona può concentrarsi sul tempo (percezioni soggettiva del tempo, rappresentazione delle strutture del tempo, costruzione di figure del tempo). In tali dimensioni si configura l’esperienza illimitata del tempo/divenire (presente e futuro), si compongono, unendosi, persona, mondo/ambiente, esperienza vissuta.[21]

Tutto si lega al tempo: le percezioni quotidiane legate all’alternarsi delle stagioni, agli addii, alle speranze di guarigione durante una cura psichica, se non aspetti di un’unica dimensione temporale. L’ambiente umano che abitiamo e l’emotività sono impregnati di tempo. Tale temporalità si complica nella vita delle persone poiché in essa il tempo del mondo (dell’orologio e della programmazione delle cose da fare) si interseca con il tempo interiore (che segue le sue direttive). L’esperienza del tempo non è solo di tipo percettivo-emotivo ma anche storico-epocale.  Indubbiamente il tempo vissuto interiore rappresenta la risorsa   naturale preziosa per un paziente (e quindi da valorizzare nella clinica), per chi vive e deve fronteggiare una condizione di dolore o sofferenza oscura. Tale risorsa si presenta come la fonte vitale, ineliminabile, di cui disponiamo e il nostro rapporto con esso ha conseguenze dirette sulla percezione di noi stessi e sulla nostra identità, sull’azione quotidiana, sul mondo dell’intersoggettività. Crediamo che il tempo, così come lo viviamo e rappresentiamo, condiziona la qualità di vita e le nostre relazioni umane, si lega ad ogni decisione importante che assumiamo nel quotidiano, soprattutto dinnanzi alla scoperta di una malattia.

«Perché ricordiamo il passato e non il futuro? Siamo noi a esistere nel tempo o il tempo esiste in noi? Cosa significa davvero che il tempo “scorre”? Cosa lega il tempo alla nostra natura di soggetti? Cosa ascolto, quando ascolto lo scorrere del tempo».[22]

«Adesso non è mai questo semplice adesso che c’è, eppure non sarebbe se non fosse adesso; ma vale anche l’inverso: adesso non sarebbe adesso ove mancasse l’adesso che c’è…L’adesso è nel tempo e lo misura. Ne sta fuori e dentro, gli sta innanzi e prima. Lo coglie e manca».[23]

Visto come principio attivo il tempo interiore garantisce il pieno possesso di noi stessi (cosa saremmo senza la dimensione e le figure della temporalità?), consente di costruire la nostra identità, di avere accesso a noi stessi e agli altri, di sviluppare solidi legami d’appartenenza, di costruire identità stabili, coerenti, basate sulla crescita personale lineare e continua, fatta di esperienze reali. Tutto ciò al di là di ciò che accade oggi in cui tutte le coordinate del mondo sociale – tempo, spazio, coscienza, alterità – subiscono un mutamento: si intuisce oggi come il tempo percepito  non sia più orientato al futuro, bensì insista sull’istante presente; ciò sta comportando una vera e propria mutazione del sentire comune e della coscienza: la coscienza non è più rappresentabile spazialmente come un centro da cui si diparte una freccia temporale  che si muove articolando il proprio passato con la possibilità del futuro (il passato del futuro secondo Agostino), bensì come una presenza diffusa e dispersiva in una rete. Ecco, quindi, come l’altro diviene come colui con cui essere, costantemente, connesso. L’altro diviene l’unico mezzo che, in quanto testimone oculare delle mie azioni e della mia presenza, può darle una qualche forma di concretezza e di esistenza reale. Ciascuna persona ha appreso, nel corso degli anni o intuitivamente, uno stile personale di vivere il tempo.  Alcuni, infatti, possiedono una memoria forte rispetto al tempo passato mentre altri una forte propensione all’immaginazione/aspettative verso il tempo futuro. Due condizioni diverse rispetto al futuro e al passato che formano la personalità e i modi di vivere le relazioni umane e con sé stessi. Esistono infatti persone che tendono a focalizzare, in maniera prevalente, la propria persona verso una o più di queste dimensioni temporali e meno in altre (alcune persone, ad esempio, possiedono uno stile depressivo e sono concentrate su eventi legati al loro passato negativo).

«Nell’irrompere del tempo l’eternità viene sentita come un arresto del tempo, come un “nunc stans”. Passato e futuro sono diventati così presenti in una visione chiara…L’universalità dello spazio e del tempo induce a fraintenderli come essere fondamentale; ma è errato assolutizzare spazio e tempo come l’essere stesso e la loro esperienza come l’esperienza fondamentale».[24]

Gli aspetti maggiormente evidenti nella pratica terapeutica sono costituiti da una serie di elementi che si legano al tema della sofferenza psichica: la sofferenza psichica è scontro di linee importanti della storia singolare e plurale, è contrasto di nuovi orizzonti ampi dell’accadere antropico, è legame epocale contraddittorio, è scontro tra “essere e tempo”. Gli accadimenti psicologici (intimi, privati, segreti) sono segni legati alla percezione del tempo, intuizioni e anticipazione di un tempo futuro (attesa, speranza), barlumi di «conflitti» tra la persona e il tempo vissuto. Conflitti e contraddizioni che assumono, in alcuni casi, il carattere di uno scontro tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Uno scontro che coinvolge la vita, il quotidiano, le relazioni umane, il livello temporale (tempo dell’orologio) e il tempo vissuto. Forse, in un futuro prossimo, sarà possibile, a partire dal tempo vissuto, comprendere fenomenologicamente la sofferenza oscura, attuare una sperimentazione e una prassi della cura basata sulla percezione del tempo. Mi auguro in futuro che i «curanti», possono con gli altri, i «curati», condurre una ricerca lunga e comune sul tempo vissuto per porsi al di là del dolore, una ricerca sugli svolgimenti della vita, sulle trasformazioni e i mutamenti personali (non solo clinici), sui sentimenti, sulle passioni, sulla sofferenza che s’irrigidisce e sulla sofferenza che si fa fluente e così ritorna alla vita.

 

Bibliografia

  • Agostino, Le confessioni, Einaudi, Torino, 1966.
  • Anassimandro, cit. in Rovelli C., Rovelli C., L’ordine del tempo, Adelphi, Milano, 2017.
  • Boncinelli E., Il male. Storia naturale e sociale della sofferenza, Mondadori, Milano, 2007.
  • Borgna E., Il tempo e la vita, Feltrinelli, Milano, 2018.
  • Borgna E., Nei luoghi perduti della follia, Feltrinelli, Milano, 2020.
  • Binswanger L, Melanconia e mania, Studi fenomenologici, Boringhieri, Torino, 2015.
  • Errico G. Le dimensioni molteplici della pratica sociale, La città del sole, Napoli, 2005.
  • Freud S., L’elaborazione del lutto. Scritti sulla perdita, Rizzoli, Milano, 2013.
  • Heidegger M., Essere e tempo, Oscar Mondadori, Milano, 2011.
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  • Masullo A., Il tempo e la grazia, Donzelli, Roma, 1995.
  • Masullo A., Paticità e indifferenza, Il melangolo, Genova, 2003.
  • Natoli S., La felicità. Saggio di teoria degli affetti, Feltrinelli, Milano, 2008.
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  • Natoli S.  L’esperienza del dolore, Feltrinelli, Milano, 2016.
  • Piro S., Antropologia Trasformazionale. Il destino umano e il legame agli orizzonti subentranti del tempo, Franco Angeli, Milano, 1993.
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  • Piro S., Introduzione alle Antropologie trasformazionali, La città del sole, Napoli, 1997.
  • Piro S., Trattato della ricerca diadromico – trasformazione, La città del sole, Napoli, 2005.
  • Rovelli C., L’ordine del tempo, Adelphi, Milano, 2017.
  • Seneca, La brevità della vita, Loescher, Torino, 2001.

Note

[1] Nel lavoro non si considera la nuova scienza della Cronopsicologia in relazione alla psicologia del tempo: i ritmi delle attività fisiologiche e delle funzioni mentali, i ritmi ultradiani, circadiani e infradiani, le differenze interindividuali nei ritmi circadiani, il ruolo di fattori quali l’alimentazione, l’età, il genere, la personalità, la cronotipologia, le conseguenze psicologiche delle modificazioni dei ritmi biologici (turni di lavoro, jet lag).

[2] Si concorda con Piro (1997) che: «La cura è una limitatissima dimensione operativa, di cui si possono variare le forme, inventandone delle nuove. Quello che non varia è il processo d’intersezione di due o più traiettorie antropiche e dunque l’evento trasformazionale che ne deriva per un processo di mescolamento delle interiorità che si confrontano (ciò che coincide con molte tesi note e importanti in campo psicodinamico, come, ad esempio, la tesi della «presenza dello psicoanalista» da Nacht). Certamente si possono porre in atto molte tattiche per disturbare questo svolgimento e l’interpretazione» esplicativa … è un ottimo esempio di questo tipo di disturbo. Tuttavia, in genere, se non viene troppo disturbata, la sequenza trasformazionale segue allo stesso modo, quale che sia la forma esteriore dell’intervento e quali che siano i contenuti dialogici del copione» (Piro S., Introduzione alle Antropologie trasformazionali, La città del Sole, Napoli, 1997, p.541).

[3] Il concetto di tempo vissuto sembra aver sostituito e rigenerato il lavoro sull’introspezione ampliandone il valore e gli orizzonti epistemologici poiché analizza gli scenari e le percezioni legate agli accadimenti umani.

[4] Non possiamo, sul tema del tempo in campo psicopatologico, fenomenologico e filosofico, non tener presente gli studi di Husserl, Jaspers e Heidegger. Per quanto attiene alla tematica della temporalità interiore, soggettiva e personale, è opportuno ricorrere al metodo della riduzione fenomenologica di Edmund Husserl che pone e  mette tra parentesi (epochè) il mondo esterno per giungere ad una sorta di estraniamento da quest’ultimo. Lo scopo è di consentire di comprenderlo nel suo significato originario. Abbandonando perciò i procedimenti esplicativi della psicologia classica tesi a fornire una spiegazione causale, è possibile abbracciare la sfera della soggettività restituendole il dovuto valore e dettare le basi per una psicologia squisitamente umana.

[5] Ci interessa comprendere, fenomenologicamente, le modalità umane e comportamentali su come si rapporta il paziente rispetto alle figure del passato, del presente e del futuro durante una fase di sofferenza psichica o una malattia organica.

[6] La sofferenza ci collega al tema del dolore. Il dolore ci conduce ad una “situazione – limite nella quale la vita ci appare fragile e vulnerabile: limitata dalle quotidiane speranze”.

[7] Secondo tale approccio il soggetto/persona sarà descritto, fenomenologicamente, non come “possessore” di capacità mentali ma come persona che intrattiene un rapporto immediato con le cose (e con il tempo) in quanto queste hanno un senso per lui. Mentre un approccio scientifico si occupa sempre delle mediazioni (mira agli ingranaggi non visti da me), la fenomenologia parte dal fatto che quando desidero, penso, amo o odio, ipso facto so che cosa desidero, penso, amo o odio. Insomma l’inconscio non è visibile. Per inconscio possiamo solo intendere l’insieme di ingranaggi psichici che spiegano molti nostri vissuti di cui non sappiamo darci ragione. Invece la fenomenologia cerca di reintegrare nell’intenzionalità — nell’Esserci — ciò che per Freud è possibile cogliere solo attraverso complesse mediazioni interpretative come «macchine psichiche». La fenomenologia definisce Erlebnis — coscienza vissuta –  questa immediatezza dell’essere-nel-mondo di ogni persona.

[8] Borgna E., Il tempo e la vita, Feltrinelli, Milano, 2018, p.111.

[9] Jaspers K. (1913 – 1959) Psicopatologia Generale. Il Pensiero Scientifico, Roma 1965, pp. 29-30.

[10] Jaspers nella Psicopatologia Generale (1913) si sofferma sul tema dell’Identità e appare centrale che: “il fatto che lo psichico, sia esso percezione, sensazione del corpo, ricordo, rappresentazione, pensiero, sentimento, acquisti questo speciale tono del Mio, dell’Io, del Personale, del proprio operare”. Inoltre per Jaspers la Coscienza dell’Identitàè la “Coscienza di essere identici nel susseguirsi del tempo”: l’Identità infatti può entrare in crisi per il proporsi di un elemento diverso, di un cambiamento troppo rilevante e repentino per essere riassorbito e rielaborato.

[11] Sicuramente ciò potrà esasperare alcuni psicoanalisti i quali pensano invece di possedere una teoria esplicativa delle vere cause delle psicosi e delle nevrosi.

[12] Sulle questioni del tempo e sul tempo, su cosa sia e su come scorra nella vita delle persone, si espresse Seneca, filosofo romano. Nel testo La brevità della vita ci narra dell’importanza che ha il tempo nel dare un senso o nel negare la vita.

[13] La relazione con il tempo dell’orologio (tempo durata) e con la temporale interna, costituiscono campi di ricerca, al fine di individuare  obiettivi terapeutici importanti rispetto ai pazienti, per pianificare i  ritmi temporali di una narrazione umana (la narrazione stagnante dei nevrotici, la narrazione triste dei depressi, la narrazione altalenante degli ossessivi, la narrazione fluttuante dei maniacali), le parole della cura individuale, le principali variabili cliniche, le caratteristiche  delle persone e dell’esperienza nella cura, nonché le maggiori categorie di classificazione della personalità e della psicopatologia.  Descrivere e spiegare il tempo vissuto dei pazienti non è una cosa semplice. Lo sforzo è quello di far comprendere che il tempo interiore (diverso dal tempo come durata e calcolo) può divenire un parametro importante per un percorso di cura.  Può significare, prima di tutto, concentrarsi sul “come” (non sul perché) viene immaginato ed inglobato un vissuto durante la terapia. L’adesso ovvero l’immediatezza del vissuto individuale può essere il principio descrittivo del cambiamento dalla modernità alla contemporaneità ed è una mutazione che riguarda la nostra condizione emozionale, la percezione del mondo, la sensibilità.

[14] Borgna E., Nei luoghi perduti della follia, Feltrinelli, Milano, 2020, p.29.

[15] Binswanger L, Melanconia e mania, Studi fenomenologici, Boringhieri, Torino, 2015 p. 11.

[16] Binswanger L, Op.cit., 2015 p. 12.

[17] Una strada interessante di studio e di lavoro potrebbe consistere nel concentrarsi sui modi di essere-nel-mondo rispetto alle dimensioni del tempo, in particolare rispetto a chi manifesta comportamenti e pensieri malati.

[18] Si ricorda che la fenomenologia ha esercitato un’influenza profonda sulla psicologia e sulla psichiatria proprio perché, paradossalmente, è nata sulla base di un programma radicalmente anti-psicologico: la fenomenologia nega che ci si possa occupare dell’anima, psyche, indipendentemente dal suo essere-nel-mondo, dal suo tendere alle cose e stare in mezzo alle cose stesse. Sartre disse di Husserl «ci ha liberato dalla vita interiore».

[19] Anassimandro, cit. in Rovelli C., Rovelli C., L’ordine del tempo, Adelphi, Milano, 2017.

[20] Natoli S.  Natoli S.  Teatro filosofico. Gli scenari del sapere tra linguaggio e storia, Feltrinelli, Milano, 1991, pp.10-12.

[21] Il riferimento di tale unione persona-mondo (esserci) va ascritto ad Husserl che vede la coscienza o il pensiero umani come inscindibili dalla loro intenzionalità, dal fatto cioè che siamo coscienti sempre di qualcosa e sempre secondo un certo modo. La nozione di intenzionalità lega inscindibilmente il soggetto pensante e agente a ciò ch’egli pensa e fa. Quindi l’intuizione fenomenologica è assolutamente anti-analitica: si sforza di non dissociare mai il soggetto dai suoi oggetti. Ma d’altro canto questi oggetti mi appaiono solo come senso, mai come cose in sé: il senso è quel che fa apparire le cose come le cose che sono.

[22] Rovelli C., Op.cit., 2017, p.14.

[23] Husserl E., La coscienza interiore del tempo, Filema, Napoli, 2002, p.167.

[24] Jasper K, Op.cit., p. 86.

Giuseppe Errico

Psicologo e psicoterapeuta, è attualmente presidente dell'Istituto di Psicologia e ricerche socio sanitarie (Formia, Italia) e ricercatore nel campo delle scienze umane ad indirizzo Antropologico-Trasformazionale. Svolge attività di psicologo volontario presso l’Azienda dei Colli di Napoli–Centro regionale malattie rare (CRMR).

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