RecensioniRubriche

Quel misterioso dare e ricevere tra uomo e animale

Recensione del docu-film Wildcat a cura di Marco Nicastro

I felini, si dice, sono animali affascinanti: vuoi per la loro eleganza e agilità mescolate alla letalità, vuoi per l’aria sorniona e misteriosa che li caratterizza. Diffidenti nei confronti dell’uomo (diffidenza che non di rado coglie anche gli esemplari più addomesticati), spesso solitari e amanti degli agguati silenziosi, contribuiscono con questa loro indole a quell’aura di mistero che alcuni gli attribuiscono.

Risulta dunque ancora più strano e per certi versi entusiasmante osservare alcune esperienze di felice convivenza e di rapporto intriso di reciproco rispetto, nonché di autentico affetto, tra uomo e grandi felini come quelle documentate da Kevin Richardson, studioso dei leoni lei cui eccezionali esperienze con questi animali sono da tempo liberamente visualizzabili sul web.

Può essere almeno altrettanto importante, se non altro per i risvolti psicologici che se ne possono trarre, osservare altre esperienze di felice rapporto come quella raccontata in Wildcat, film-documentario uscito a dicembre 2022 su Amazon Prime (in lingua inglese con sottotitoli in italiano). I protagonisti della storia sono un giovanissimo ex militare inglese, tornato dall’Afghanistan con un disturbo post-traumatico da stress, e un ocelot, felino di medie dimensioni della foresta peruviana (una sorta di giaguaro in miniatura, mai addomesticato dall’uomo né allevato in cattività).

Il giovane militare, per tentare di uscire da quel vortice nero in cui stava affondando fatto di cali depressivi e impulsi autolesionistici, parte come volontario per una missione nella foresta peruviana che si occupa di salvataggio e protezione della fauna selvatica e finisce per vivere un’esperienza capace di rompere il suo assetto mentale, aprendo una nuova prospettiva di senso nella sua vita. L’altro protagonista di questa storia è, come abbiamo detto, un ocelot, che trovato cucciolo e orfano da alcuni volontari viene affidato alle cure del giovane, con cui instaurerà un rapporto di amore filiale che gli insegnerà a essere indipendente e capace di tornare libero.

Si diceva della particolare significatività di questa esperienza di rapporto uomo-felino selvatico rispetto ad altre da tempo consultabili sul web. Qui, a dare spessore al tutto, è l’esito del rapporto tra l’uomo e l’animale: chi dovrebbe essere curato e poi rimesso in libertà non è solo il felino quanto il protagonista umano, che attraverso il prendersi cura dell’animale – orfano, fragile, dipendente e in balia degli eventi, ma potenzialmente forte e selvaggio per natura –  si ritrova capace di affrontare le sue parti più deboli e disperate che vengono curate dall’amore e dall’attaccamento esclusivo del piccolo ocelot. Si tratta di un processo esemplare di identificazione proiettiva, quel meccanismo psichico primitivo, ma sempre funzionante e attivabile in noi, attraverso il quale un essere umano proietta inconsciamente (e quindi non verbalmente) parti di sé non integrate in un altro essere umano, facendolo partecipare alla propria condizione interiore al fine di liberarsene ma anche di comunicarla e condividerla. Nel caso specifico, il protagonista proietta le proprie parti più sofferenti sul felino abbandonato, il quale le accoglie e le incarna perfettamente grazie alla sua fragilità temporanea di orfano; al contempo l’animale, stabilendo con l’uomo che se ne prende cura un legame di dipendenza e fiducia assolute, consente a quest’ultimo di aprirsi per riaccoglierle proprio in quanto condivise (lui non è più solo nel suo dolore) e in parte depurate dalla vitalità e della forza vitale di un cucciolo che cresce e si affaccia alla vita, diventando ogni giorno più forte e indipendente, in un processo di identificazioni incrociate.

Il docu-film riesce nell’impresa di descrivere questo gioco interpsichico in modo sorprendente, meglio di quanto non facciano molte descrizioni cliniche presenti nei manuali di psicoterapia. Frutto concreto di questa identificazione, giocata a livelli molto primitivi attraverso il contatto pelle a pelle (uomo e cucciolo che stanno spesso l’uno addosso all’altro), è alla fine un grande tatuaggio raffigurante il felino che il protagonista si farà sulla schiena al ritorno in patria, a sigillare in modo indelebile ciò che aveva ricevuto ma anche chi in parte era diventato.

Se arte è quel processo capace di condensare molteplici contenuti fino a superarli attraverso la realizzazione di un significato nuovo e permettendo a chi ne fruisce di percepire quei singoli contenuti, ma anche la realtà nel suo insieme, in un modo diverso e più ricco, credo si possa dire che Wildcat rientri a buon diritto all’interno di questa categoria concettuale.

Per questo motivo, e anche più semplicemente per la rappresentazione che riesce a dare della profondità cui può giungere il rapporto uomo-animale, un documentario da non perdere.

Marco Nicastro

Psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, è dirigente psicologo presso l'Ulss di Padova. Ha pubblicato diversi articoli di argomento clinico su riviste scientifiche nazionali, i saggi: Il carattere della psicoanalisi (2017), Pensieri psicoanalitici (2018), La resistenza della scrittura. Letteratura, psicoanalisi, società (2019), Psicoterapia come esperienza umana (2022), La valutazione delle capacità genitoriali (2022), Non di solo pane. L'uomo e la ricerca del senso (2022).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Potrebbe interessarti
Close
Back to top button