PsicopatologiaPsicoterapia

Vitale, Pulsione, Desiderio

Un invito al dialogo

Mirko è un ventenne autistico con una compromissione moderata/grave dell’intelligenza e del linguaggio, che partecipa a un progetto volto al suo inserimento come lavapiatti e cameriere nella sala per ricevimenti afferente all’associazione per cui lavoro. Nel corso degli ultimi due anni molta era stata l’autonomia conquistata, al punto da diventare un esempio positivo per i suoi compagni. In pochi mesi però è spaventosamente regredito senza che si potesse identificare in modo inequivocabile la causa. L’equipe ha ipotizzato che le richieste sul lavoro, sebbene siano aumentate gradualmente di complessità, l’abbiano spaventato, o che possa giocare un ruolo il fatto che Mirko negli ultimi mesi si sia innamorato di un operatore e abbia scoperto l’autoerotismo. Spesso capita che improvvisamente Mirko si aggrappi a me con le sue mani sudate e piangendo mi stringe con forza, e come se sotto i suoi piedi sentisse che a momenti il pavimento crollerà mi trascina verso il basso.

Quando però faccio appello a tutta la mia forza fisica per poterlo sorreggere e far sì che entrambi non cadiamo a terra, sento la sua angoscia: è il mio corpo che cambia battito e respiro, si irrigidisce, suda. Sono io in tutto il mio corpo che devo regolare il respiro e il tono della voce, tenere i piedi ben saldi, sforzarmi di aver consapevolezza del mio sguardo e dell’espressione del viso quando è a un soffio dal suo, perché in questo corpo a corpo Mirko non ascolta le mie parole. Deleuze (1981) dice del corpo che esso è ciò “in cui [si] affonda o [si] deve affondare, per raggiungere l’impensato, cioè la vita. Non che il corpo pensi, ma, ostinato e testardo, forza a pensare, e forza a pensare ciò che si sottrae al pensiero, la vita.” Riporto in questa sede questa esperienza corporea, forse vitale, perché mi forza a pensare.

Con le parole vorrei trasformare l’angoscia di Mirko in “paura di”, ma è una bugia a cui non crederebbe. Lopez Ibor (1950) riportando la distinzione tra paura e angoscia, sottolinea come “nell’angoscia si teme lo sconosciuto, per questo di fronte alla paura si hanno reazioni concrete. Di fronte all’angoscia, al contrario, il soggetto sente più che mai la solitudine spaventosa e trova affannosamente la comunione con il tu, posto che questo possa aiutarlo nella trance angosciosa.” Quando si alza “la marea angosciosa” (Lopez Ibor, 1950) per Mirko io sono lo scoglio.

Riprendendo la stratificazione dei sentimenti di Scheler citata da Lopez Ibor (1950), mi chiedo di che natura sia l’angoscia di Mirko. Egli si pone angosciato rispetto agli eventi che a lui appaiono indefiniti? Mirko sta angosciato, in una forma endogena ed autonoma? O Mirko è angosciato? Ed io? Mi pongo angosciata rispetto a Mirko oppure il mio stare angosciata risuona quando Mirko si aggrappa a me? Oppure io sono angosciata e forse questa lettura dello stato di Mirko è forzata? Posto il problema della qualità della sua angoscia, che ruolo gioca il suo desiderio sessuale verso il mio collega? Questo tipo di esperienze spingono ad anelare a un dialogo senza resistenze tra le teorie psicologiche.

Lopez Ibor, con il concetto di vitale, tenta di costruire un ponte teso a unire la scissione tra corpo e mente, similmente al concetto di pulsione psicoanalitico.

Vitalità e Pulsionalità non sono sovrapponibili ma potrebbe essere possibile metterli in dialogo.   Rifacendosi a Ortega, per Lopez Ibor la vitalità è il fondamento della persona, un’anima corporale in cui si fondono radicalmente il somatico e lo psichico, e di questa si nutrono. I sentimenti vitali hanno una natura endogena autonoma, e in merito a ciò Lopez Ibor rimanda allo stare, dimensione che per essere compresa necessita di una distinzione tra io e me: “io non sono comodo o scomodo, ma mi sento comodo o scomodo con tutto il mio corpo, fino all’ultima cellula. In questo me si ritrova espressa la corporeità dei sentimenti vitali,con questo carattere autonomo postulato da Scheler […].”  Questo aspetto del vitale, come qualcosa che mi prende da dentro e mi invade, richiama in qualche modo ciò che in altri territori della psicologia è stata definito Es.

La parola Es, che in tedesco si riferisce alla sfera dell’ impersonale, fu usata da Groddeck, autodefinitosi “analista selvaggio”, con questa accezione passiva del venire vissuti: “Io sono dell’idea che ogni uomo è vissuto da uno sconosciuto. […] La frase “Io vivo” è corretta soltanto nella misura in cui essa esprime un piccolo, parziale fenomeno della verità fondamentale: l’uomo è vissuto dall’Es.” (Groddeck, 1923). In quegli anni ci fu un intenso carteggio tra Groddeck e Freud (Freud, Groddeck 1917-1934), e quest’ultimo fece dell’Es una delle tre istanze psichiche della seconda topica, nel modello dinamico quella che ospita il pulsionale.

La pulsione è definita come “il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche, come una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea”. (Freud,1915).

Non pare che Lopez Ibor faccia una netta distinzione tra pulsione e istinto: “Trieb” giunge alla nostra traduzione come “impulso istintuale” o “pulsione istintuale”; ciò sembra non sia un caso isolato in quel periodo, è di pochi anni dopo la traduzione dell’opera freudiana a cura di J. Strachey (1953-1974), dal tedesco all’inglese, che diffuse la teoria psicoanalitica sotto la  stessa erronea indistinzione. In questa famosa edizione, infatti, la pulsione viene tradotta in instict invece che in drive. 

L’istinto è un comportamento animale ereditario, preformato e rivolto ad un oggetto definito (Brenner, 1976). A differenza dell’istinto, la pulsione non ha un oggetto definito, in tal senso devia da un percorso già tracciato, e si potrebbe dire che il concetto colga maggiormente la dimensione corporea di quello che è il desiderio su un piano psicologico più elevato. Similmente Lopez Ibor, riprendendo il pensiero del filosofo Unamuno, traccia un filo conduttore dal vitale alla voglia (in spagnolo gana): “al contrario, quando qualcuno dice che ha voglia di mangiare, esprime un desiderio diffuso in tutti i suoi plasmi […]. La voglia è un sentimento plasmatico, un flusso della vitalità, e per questo ha questo carattere diffuso ed atmosferico. Quando si parla della voglia di mangiare e della voglia di bere, tuttavia si esprime uno stato limitrofo a quello degli istinti; succede qui come nel resto della vitalità, nella quale istinti e sentimenti vitali giacciono in stati prossimi.”

Quelli che possono essere concetti intesi come cardini di teorie indipendenti sembrano, nel fare un passo indietro e assumendo una prospettiva teorica più aperta e distaccata, punti di una costellazione. Nel loro essere concetti dalla natura sfuggente, pulsione vitale e voglia tendono verso l’impensabile della vita dell’uomo, quello a cui una visione psico-fisica dell’essere umano di quel “” è di fatto miope. Così le parole di Freud sulla pulsione potrebbero in effetti descrivere anche la vitalità: “le pulsioni sono entità mitiche, grandiose nella loro indeterminatezza. Non possiamo prescindere, nel nostro lavoro, un solo istante, e nel contempo non siamo mai sicuri di coglierle chiaramente.” (Freud, 1932).

L’invito in questa sede è quello di desiderare un dialogo, pensare che sia possibile che la cacofonia di questa babele delle lingue teoriche non vada certo verso un appiattimento al pensiero unico, ma sappia trovare l’accordo, e forse ciò è possibile solo per mezzo di una direzione dell’orchestra perversa. A tale proposito si conclude ricordando un’interpretazione particolare della radice etimologica latina di de-siderare[1] che, in contrapposizione a “con-siderare” inteso come “fissare le stelle” con lo scopo divinatorio di prevedere il fato, significa “cessare di contemplare le stelle a scopo augurale”: questo perché si pensa che nel campo dell’umano il “progetto vitale”, come direbbe Lopez Ibor citando Ortega, inizia quando al salire della marea si rinuncia alla rotta già solcata, e si accetta anche il rischio di perdersi perché fiduciosi del legame con l’umano altro.

Bibliografia

Brenner, C. (1976) Psychoanalytic Technique and Psychic Conflict. International Universities Press, New York.

Deleuze, G. (1981). Spinoza. Filosofia pratica. Te, It. Guerini e Associati, Milano 1991.

Freud, S. The standard edition of the complete psychological works of Sigmund Freud a c. di J. Strachey, 24 voll., Macmillan, (1953-74).

Freud, S. (1915). Pulsioni e loro destini. O.S.F., Vol. 8, Bollati Boringhieri.

Freud, S., Groddeck G., (1917-1934.) Carteggio. Adelphi, 1973.

Freud, S., (1932). Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, vol. 8, Bollati Boringhieri, (1989).

Groddeck, G.W. (1923). Il libro dell’ Es. Lettere di Psicoanalisi ad un’ amica. Adelphi, Milano 1961.

Lopez Ibor, J. J. (1950). La angustia vital (Patología general psicosomática). Madrid: Editorial Paz Montalvo (trad. it. L’angustia vitale (Patologia generale psicosomatica), a cura di G. Ceparano in press).


[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/desiderio_(Universo-del-Corpo)/

Manuela Batà

Psicologa clinica. Specializzanda in psicoterapia a orientamento antropologico-trasformazionale presso la Scuola Sperimentale per la Formazione alla Psicoterapia ed alla Ricerca nel Campo delle Scienze Applicate. Vive e lavora a Napoli, impegnata nell'ambito dei disturbi del neurosviluppo.

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