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Il chemsex come strategia di coping

Il chemsex,  letteralmente “sesso chimico”, è un fenomeno nuovo che, nato a Londra e Berlino, si è diffuso rapidamente in molte altre città europee; ad oggi in Italia è praticato soprattutto a Milano, Bologna e Roma. Attualmente di chemsex si parla poco, tranne quando alcuni casi, legati alla morte per overdose oppure ad atti di violenza, lo portano temporaneamente e drammaticamente alla ribalta.

Nella definizione di  Bourne il chemsex consiste nel consumare sostanze (come per es. Mefedrone, GHb, ecc.) per facilitare, prolungare e/o intensificare l’esperienza sessuale prevalentemente tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (men who have sex with men definiti con l’acronimo msm, sono uomini che, anche se non si identificano come gay o bisessuali, a prescindere dall’orientamento sessuale, fanno sesso con altri uomini; alcuni msm hanno anche una doppia vita nel senso che si considerano etrosesssuali).

Nelle sessioni di  chemsex vengono utilizzate molte sostanze contemporaneamente per disinibirsi, per sperimentare nuove forme di sessualità senza alcun tabù, o per placare, almeno temporaneamente la propria omofobia interiorizzata (cioè i sentimenti di avversione e disprezzo verso l’omosessualità, propria e altrui).

Le sostanze psicoattive consentono di trascendere i limiti del proprio corpo; per esempio il mefedrone (chiamato in gergo M-Cat, Meow Meow ecc. ) fa sentire euforici, disinibiti, con un forte desiderio, sempre “chimico”, di socializzare e fare sesso. Anche la metanfetamina (in gergo Tina, Crystal, ecc.), che come il mefedrone ha un effetto stimolante sul Sistema Nervoso Centrale, rende molto euforici, disinibiti e consente di fare sesso a oltranza senza sentire la stanchezza o la fame. Queste sostanze possono essere assunte sia inalandole, sia iniettandole – direttamente in vena (modalità denominata in gergo slamming) o direttamente nel retto utilizzando la siringa senza l’ago (pratica denominata booty bump).

Per non sentire il dolore che si prova avendo rapporti sessuali, spesso anche estremi,  per più giorni (una sessione di chemsex può durare anche 72 ore consecutive) viene utilizzata la ketamina (special K o vitamia K) , che essendo un anestetico dissociativo, fa sperimentare il distacco della mente dal corpo.

Per facilitare i rapporti anali si utilizza il popper, che rilascia la muscolatura dello sfintere, mentre per avere un’erezione si fa un uso massiccio di Viagra, Levitra o Cialis. Spesso la persona, nei giorni successivi, non ricorda quasi nulla di quello che è successo durante una sessione di chemsex grazie al GHB, che è uno sciroppo  (Alcover) utilizzato in ambito medico per il trattamento della sindrome da astinenza negli alcolisti. In gergo il GHB viene chiamato gina o anche droga dello stupro: a bassi dosaggi incrementa le performance sessuali e intensifica il piacere ma a dosi maggiori può  indurre amnesie, convulsioni, depressione respiratoria e coma.

In aggiunta l’alcol, la cocaina e soprattutto il crack (in gergo basata) contribuiscono a creare un quadro di poliabuso che può anche portare alla morte.

Nonostante  il chemsex non sia percepito come un problema dalla maggior parte delle persone che lo praticano, alcuni studi hanno evidenziato delle conseguenze negative di questo modo di vivere la sessualità.

Nel  German Chemsex Survey, un sondaggio online rivolto a msm che usano sostanze in un contesto sessuale,  è emerso che le persone che praticano il chemsex riportano un numero significativamente maggiore di violenze sessuali e di atti non consensuali subiti. Tra le conseguenze negative ci sono anche l’aver sperimentato una perdita di controllo del tempo e del denaro, cioè aver speso più denaro e più tempo di quello previsto inizialmente (ad esempio una persona vuole trascorrere solo qualche ora per avere dei rapporti sessuali ed invece sparisce per tutto il fine settimana).  Il 41,2% delle persone che fanno chemsex ha riferito di essere sieropositivo, il 13,2% ha avuto dei sintomi psicotici (A. Boh et al. 2020).

Un altro studio recente delinea le caratteristiche del chemsex praticato in Italia. Come avviene anche all’estero, generalmente  le prima esperienze avvengono grazie alle applicazioni basate sulla geolocalizzazione (es. Grindr). Le sessioni si svolgono in luoghi privati, nelle case, cira 1-2 volte al mese. Le sostanze più utilizzate sono: metanfetamina, cocaina, GHB, mefedrone  (Nimbi et al. 2020).

Riassumendo:  nonostante le persone che praticano il chemsex nella maggior parte dei casi non lo considerino un problema, questo modo di vivere la sessualità può avere conseguenze negative come:

  • rischio di overdose e morte
  • rischio di contrarre Hiv, epatiti e malattie sessualmente trasmissibili
  • rischio di subire violenze e abusi sessuali
  • rischio di sviluppare una dipendenza psicologica da questo modo di vivere la sessualità
  • rischio di sviluppare, progressivamente nel tempo, dipendenza da alcune sostanze come (da cocaina per esempio).

Poiché questo modo di vivere la sessualità spesso è egosintonico, il primo step della terapia deve essere basato sulla riduzione del danno che consiste nell’accettare, in modo autentico e non giudicante, che la persona ancora non sia in grado di attuare un cambiamento. Alla luce di questo, l’obiettivo sarà quello di ridurre il più possibile i danni, ì. inviando, per esempio, il paziente presso un ospedale per assumere la PrEp o la PeP (profilassi pre-esposizione o post esposizione) per non contrarre l’HIV, oppure frequentare dei gruppi di auto-aiuto con persone che vivono la stessa situazione. L’obiettivo in questa fase è accogliere il paziente, ridurre i danni  che derivano dall’uso di droghe e dalla promiscuità sessuale cercando di evitare l’irreparabile, nella speranza che, in futuro, la persona possa intraprendere un percorso terapeutico.

Con il passare del tempo, alcune conseguenze del chemsex diventano progressivamente ed inesorabilmente egodistoniche: può succedere che la persona cerchi su Grindr qualcuno con cui trascorrere qualche ora “piacevole”facendo sesso ed invece è possibile che perda completamente il controllo e sparisca per 3-4 giorni; a volte in questi casi, può succedere che i familiari disperati ed angosciati si rivolgano alle forze dell’ordine, per denunciare la scomparsa del loro caro. Il senso di colpa per aver fatto soffrire ancora una volta le persone che si amano, ma anche la vergogna e la paura di perdere tutto, possono essere tra le ragioni che spingono a chiedere aiuto per smettere.

A lungo andare anche la vita lavorativa spesso viene intaccata dal chemsex perché  la persona dopo una sessione ha bisogno di qualche giorno per riprendersi dalle conseguenze dell’uso di droghe e dalla deprivazione protratta di cibo e di sonno (effetti che generano le sostanze psicostimolanti).

Anche aver contratto una malattia a trasmissione sessuale (come per esempio la sifilide) o ancora il non riuscire più a provare piacere né ad avere alcun interesse per la sessualità praticata nella vita di coppia con il/la partner, sono tra i fattori che spesso sono alla base dell’inizio di una psicoterapia.

Quando il paziente arriva a chiedere aiuto è spesso alessitimico, porta racconti di episodi frammentati e soprattutto poveri di riferimenti ai suoi stati interni.

Negli ultimi anni  la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) si avvale, all’interno della procedura decisionale per il trattamento dei pazienti, anche di tecniche corporee, immaginative e drammaturgiche (Dimaggio et al. 2019); quindi il corpo, martoriato e violato durante le sessioni di chemsex, può diventare il protagonista nelle sedute di psicoterapia grazie alle tecniche esperienziali.

Queste tecniche hanno obiettivi diversi in base alla fase del trattamento in cui vengono utilizzate.  All’inizio della terapia – nella parte della procedura denominata formulazione condivisa del funzionamento – , consentono di favorire l’accesso agli stati interni, migliorare le funzioni metacognitive e ricostruire gli schemi interpersonali.

Nella terapia con Manferdi, un professionista brillante e molto affermato, avevo difficoltà a comprendere  cosa lo portasse a fare chemsex. La sua vita apparentemente era perfetta: una bellissima casa, un ottimo lavoro e un compagno che lo amava moltissimo, ma, nonostante tutto, ogni due o tre mesi “all’improvviso impazziva  e spariva per più giorni” . Nelle prime sedute parlava del suo lavoro ed in generale della sua vita in modo astratto, raccontando dei fatti o degli aneddoti, delle teorie prive di qualunque riferimento psicologico.

Un giorno finalmente nella sua narrazione affiora un dettaglio di un’esperienza interna: Manfredi mi racconta di aver provato un po’ di fastidio mentre era a casa con il suo compagno; per cercare di dare un nome al fastidio che aveva sentito gli propongo di rivivere la scena  in immaginazione guidata. Mentre rivive l’episodio  Manfredi si sofferma sul volto di Flavio; gli chiedo di descrivermi quel volto:

Terapeuta:  com’è il volto di Flavio?

Paziente: sofferente e anche spaventato …. vedo la paura nei suoi occhi

Terapeuta: come si sente guardando quel volto?

Paziente: male … una schifezza!  Mi sento terribilmente in colpa perché un mese fa dopo essere uscito con una scusa sono sparito per due giorni. Lo capisco, ha perfettamente ragione! Ogni volta poi lui mi perdona … per evitare di farlo soffrire inutilmente decido di rimanere a casa.”

In questo episodio Manfredi è mosso dal desiderio di essere autonomo, vorrebbe andare a fare una corsa nel parco, il partner reagisce mostrandosi sofferente e il senso di colpa induce Manfredi a rinunciare al suo desiderio.

In questa prima fase della terapia, l’immaginazione guidata senza rescripting viene utilizzata solo per fini diagnostici; consente di accedere alle emozioni e di renderle oggetto del lavoro terapeutico; partendo da memorie recenti, dove spesso si annidano le emozioni non riconosciute che generano una grossa sofferenza, favoriamo l’accesso agli stati interni del paziente e promuoviamo il monitoraggio.

Mentre in una fase più avanzata della terapia, denominata promozione del cambiamento, le tecniche corporee ed esperienziali consentono di promuovere la differenziazione e di ampliare il contatto con le parti sane. Sempre all’inizio, nel contratto costruito con il paziente, consideriamo il chemsex come un comportamento disfunzionale che il lavoro terapeutico andrà a ridurre.

Il chemsex può essere considerato una strategia disfunzionale di coping, utilizzata per cercare sollievo dalla sofferenza correlata agli schemi interpersonali; è un tentativo di gestire la sofferenza, che il paziente attua per “spegnere il cervello”; per cui il nostro obiettivo sarà quello di accedere alle radici della sofferenza che lo genera.

Patrizio inizia la terapia perché a causa delle sue sparizioni causate dalle sessioni di chemsex rischiava di perdere il lavoro. Puntualmente si illudeva di controllarsi e di riuscire a trascorrere solo qualche ora piacevole; in realtà spariva  per 4 giorni consecutivi. La situazione ormai era diventata insostenibile; pur essendo un professionista molto stimato ed affermato rischiava di perdere tutto.

Per comprendere che cosa, a monte, genera il chemsex – e quindi dove agire in modo mirato con la terapia – , chiedo a Patrizio di fare un semplice esercizio:

“Senta Patrizio quando torna a casa dopo il lavoro, soprattutto venerdì sera sappiamo che le viene il desiderio di scrivere a qualcuno su Grindr perché avrebbe voglia rilassarsi solo qualche ora … provi a non farlo per 5-10-30 minuti solo per capire come si sente in quei momenti e cosa le passa per la mente … prenda nota di quello che le succede e poi ne parliamo la prossima volta … l’obiettivo non è non farlo ma capire cosa prova in quei momenti”.

Grazie a questo esercizio Patrizio ha contattato un’esperienza dolorosa che era l’antecedente della ricerca compulsiva delle persone in chat: si sentiva profondamente solo, diverso ed inferiore si vergognava e provava una tristezza profonda. Il chemsex aveva il potere di spegnere il suo cervello; quando iniziava a chattare tutto il dolore spariva magicamente, non esisteva più, ed il senso di inferiorità diventava onnipotenza – anche grazie al crack.  Patrizio si sentiva un Dio che, con il denaro, riusciva a possedere tutto e tutti.  Dopo ogni sessione di chemsex la paura di essere riconosciuto da qualcuno o di aver contratto una malattia, la vergogna profonda e la disperazione aumentavano notevolmente tanto da fargli desiderare la morte.

La TMI – utilizzando delle tecniche specifiche – , mostra al paziente che il chemsex è un comportamento che ha valenza di coping:  serve a ridurre la sofferenza ma, purtroppo, fallisce nello scopo e genera dei costi altissimi.  Attraverso la psicoterapia sarà possibile costruire lo spazio per esplorare i nuclei di sofferenza alla base del chemsex, con l’obbiettivo di comprendere e sospendere l’utilizzo di questa strategia di coping ad altro rischio.

 

Bibliografia

Dimaggio G., Ottavi P., Popolo R. & Salvatore G., (2019). Corpo, Immaginazione e Cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale. Milano: Raffaello Cortina Editore

Dimaggio G., (2020) Un Attimo Prima di Cadere la rivoluzione della psicoterapia Milano: Raffaello Cortina Editore

Bohn A.et al. Front Psychiatry 2020. German Chemsex Survey

Nimbi F. M. et al. J Sex Med. 2020 Chemsex in Italy: experience of men who have sex with men consuming illecit drugs to enhance and prolong their sexual activity

Maddalena D'urzo

Psicologa clinica, psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Esperta in dipendenze da sostanze e da comportamenti (dipendenza affettiva, chemsex, gambling ecc.) e disturbi di personalità. Svolge attività clinica a Villa Maraini e presso il Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma.

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