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Gli spettatori interni

Siamo sempre davanti ad un pubblico. Anche quando siamo soli. Lo dimostra D. e il suo episodio narrativo. Emblematico.

Seguo D. da un po’. Motivata. Gentile. Collaborativa. Arriva da me con la richiesta di gestire gli attacchi di panico. Presto rintracciamo i suoi schemi maladattivi interpersonali e i suoi coping preferiti (Dimaggio et al., 2013; 2019): controllo ossessivo e perfezionismo. Questo le garantisce di non incorrere in errori e di non ricevere critiche dall’altro che la farebbero sentire inadeguata e fallimentare. Un tipico schema interpersonale maladattivo, mosso dal wish di riconoscimento, che ha alle spalle una storia di vita basata su ripetuti eventi di critica e giudizio: l’apprezzamento era garantito solo a fronte di un risultato positivo. Durante una seduta D. esordisce dicendo che non ha di che parlare, che è stato un periodo tranquillo e che le sue vacanze natalizie sono state serene e divertenti. Si è sorpresa nel notare di essere riuscita a regolare la necessità di dover organizzare sempre tutto in modo impeccabile (ad esempio durante la cena della vigilia di Natale) ma, mentre me ne parla, improvvisamente sgrana gli occhi, acciuffa un momento difficile e mi porta su una scena.

“È mattina presto” dice. “Mi sono svegliata come al solito prima di tutti. Alzo le tapparelle e non posso credere a quello che vedo. I miei ciclamini letteralmente congelati. Il gelo li ha distrutti. Sono inguardabili. Il mio davanzale non è più bello senza dei ciclamini così colorati. Mio marito non li ha coperti la sera prima. Eppure lui ha sempre l’app del meteo a portata di mano. Aveva visto che avrebbe fatto particolarmente freddo. Appena sveglio gli urlo che avrebbe dovuto proteggere quei ciclamini. Che è una catastrofe… inveisco contro di lui…sono arrabbiatissima…non so che fare”.

Le chiedo di tornare al momento esatto in cui la tapparella lascia intravedere i ciclamini e di provare ad indentificare quello che sente. Spulciamo l’episodio narrativo con una tecnica immaginativa (Dimaggio et al., 2019): un ciclamino morente è molto lontano dalla perfezione che D. cerca continuamente e si sente a rischio umiliazione. Emerge una forte vergogna e rabbia con una morsa all’imbocco dello stomaco. Ormai la conosciamo bene: è il connotato somatico del suo schema. Uno schema maladattivo interpersonale, infatti, non appare nella nostra mente solo dal punto di vista cognitivo, con idee, pensieri e rappresentazioni negative di noi stessi. Esso contiene anche aspetti affettivi, emotivi e corporei-fisiologici (Dimaggio et al., 2019). D. senza saperlo sente di avere un fitto pubblico pronto a criticarla e deriderla per quei ciclamini.

Dopo l’immaginazione guidata D. si blocca e scoppia a ridere. Mentre lo fa, noto il suo corpo allontanarsi dalla scrivania e da me, si copre il volto e la bocca con le mani, sposta la conversazione su un altro argomento. Improvvisamente. Non ricordo neppure quale fosse, lo ammetto, perché in realtà la mia mente era sul processo attivo: il corpo, il suo modo di ridere, la virata improvvisa su altri temi. Stava succedendo qualcosa e probabilmente aveva a che fare con me. Le chiedo cosa stesse accadendo e mi dice che si sente stupida nel raccontarmi dei ciclamini e che si vergogna. In quel momento, mentre raccontava di quella mattina, io stavo incarnando l’altro dello schema, un comune altro spettatore che, nella sua mente, la critica, rafforzando la rappresentazione di sé negativa. L’aspetto curioso è che mi dice, con molta convinzione, che sa (cognitivamente) che io non la sto giudicando né sto pensando che l’episodio dei ciclamini fosse sciocco. “Mi sto vergognando di me stessa” ripete più volte. Ovviamente, la prima cosa operazione che ho messo in moto è stato il monitoraggio della relazione terapeutica. Per farlo ho chiesto a D. di osservarmi, di intravedere nella mia postura, voce e nel mio volto le prove di un reale pensiero giudicante o critico verso di lei. L’obiettivo è stato farle rendere conto che in quel momento, attraverso le lenti attive dello schema, stava provando la stessa vergogna che provava in molte altre situazioni, come quello di cui stavamo parlando e che lei stessa si sentiva fallimentare. Il secondo obiettivo di questo intervento è stato svelarle la mia mente, rendergliela chiara così che lei potesse accedere alla realtà dei fatti, diversamente dalla sua aspettativa. Tutto ciò ha permesso a D. di differenziare e di tornare a sentire la sintonizzazione con me che, tra le altre cose, la stavo davvero capendo fino in fondo.

 

Ecco qui, succede molto spesso: proviamo delle emozioni negative anche quando facciamo qualcosa e siamo soli, come D. sul balcone, oppure siamo con qualcuno di rassicurante, come D. in seduta con me. Accade a tutti noi. Io, ad esempio, se mi rendo conto di aver utilizzato male un congiuntivo, magari mentre sto scrivendo questo articolo, mi sento arrossire leggermente. Eppure intorno a me non c’è nessuno. Forse il mio gatto che dorme, ma anche se fosse sveglio non starebbe a dirmi “se avessi, dai!!!! Non se avrei!!!”. Tuttavia, in questi momenti, il corpo ci segnala che c’è un pericolo, un pubblico immaginario. Anche nel mio caso, lo si intuisce, il pubblico è critico, umiliante, sprezzante. Nel caso di D. c’era un pubblico fuori il balcone alle 6 di mattina ad osservare i ciclamini e ce n’era uno nel mio. Ed io lo stavo rappresentando in carne ed ossa.

I pazienti restano estremante sorpresi quando apprendono questo. In primis capiscono perché, anche quando sono soli, temono l’errore e provano automaticamente delle emozioni ad esempio di paura o vergogna. Inoltre comprendono ancora più a fondo come la rappresentazione dell’altro venga talmente tanto interiorizzata che il confine sé-altro immaginato-altro reale sparisce.

Al termine della seduta con D. abbiamo compreso, insieme, come né il davanzale né i ciclamini congelati fossero il vero problema. Assieme, poi, ci siamo soffermati su quello che stava succedendo in seduta, nel presente e nello spazio tra di noi. Cyclamen: dalla parola greca Kyklos, ovvero cerchio. Chissà se D. chiuderà nuovamente il cerchio e comprerà nuovi e luccicanti ciclamini per il suo balcone e per il suo teatro interno. Quasi quasi vado a comprarne pure io!

 

 

Bibliografia

Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale. Raffaello Cortina Editore.

Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R., Salvatore, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Raffaello Cortina Editore

Virginia Valentino

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Collabora col centro tmi di Roma ed è una delle fondatrici del centro tmi di Avellino. I suoi ambiti di interesse principali riguardano i disturbi della personalità, disturbi d'ansia e trauma correlati e le neuroscienze.

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