Recensione del testo La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive di Paul Gilbert, edito da Franco Angeli (2017).
Sam: “(…) Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l’hanno fatto… Andavano avanti,
perché loro erano aggrappati a qualcosa.”
Frodo: “Noi a cosa siamo aggrappati Sam?”
Sam: “C’è del buono in questo mondo, padron Frodo… è giusto combattere per questo!”
Il dialogo che intratteniamo con noi stessi è un movimento intestino che compiamo quotidianamente. Il terapeuta, come un voyeur curioso, scoperchia e disvela col paziente questo movimento. Sembra l’inizio di una storia che si compie in un campo relazionale in cui ciò che accade è un’occasione di viaggio, unica. Una danza intersoggettiva tra sicurezza e rischio (Odgen, 2016). Una parabola di terapia che mi piace molto rappresenta Sam, terapeuta e Frodo, paziente, che si attrezzano per affrontare, insieme, con “coraggio gentile” i Nazgûl interni. I Nazgûl, nell’epopea Fantasy di Tolkien, sono uomini che sono diventati spettri che minacciano il cammino di Frodo e Sam. Che succede, però, se i Nazgûl li si riconosce nel cammino verso Mordor, si coglie da dove provengono, si modulano i loro effetti nel corpo, ma i loro urli agghiaccianti riverberano comunque nella mente, diventano uno stato interno, un personaggio, una parte di sé? Forse, come contrappeso per regolare il volume delle voci dei Nazgûl interni, bisogna imparare a maturare anche quote di compassione.
Attingendo ad una proposta edita Franco Angeli “La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive” (2016) che trovo chiara e concisa, utile per gli psicoterapeuti, in questo articolo faccio cenno ad alcune caratteristiche che hanno impressionato il mio diaframma mentale per la loro specificità in tema sicurezza. La sicurezza è un caposaldo imprescindibile, nel viaggio Sam-con-Frodo, che consente alla diade e soprattutto al paziente, di sostare ed esplorare come alleati. Lo professa Waiss, nel modello della “Control Mastery Theory”, in un’accezione più ampia: noi esseri umani tendiamo a realizzare scopi sani e cerchiamo un senso di sicurezza (Gazzillo, 2016); lo cita Porges col concetto di neurocezione (2018), lo implementa la Odgen con la terapia sensomotoria, ne fa il primo luogo in cui rifugiarsi la terapia EMDR prima di evocare episodi con connotati traumatici, ne parlano ampiamente i teorici dell’attaccamento. Il quadro è più variegato, ma mi soffermo a queste pennellate. Nella sintonizzazione mutevole e continua Sam-con-Frodo la sensazione di sicurezza viene rispecchiata dall’ inibizione dei sistemi di difesa (attivi e passivi) di Frodo, ovvero: il paziente nella relazione col terapeuta esplora e comprende come la spinta a scappare, aggredire, congelarsi, devitalizzarsi e distaccarsi da sé o dalla realtà siano delle strategie evolutive molto sagge. Portano con sé un messaggio in bottiglia: stai al sicuro. Il terapeuta coglie i segnali di attivazione delle difese e strategicamente orientato, lavora col paziente per inibirli, se necessario, o chiamarli in causa al bisogno. Un primo distinguo che suggerisce Gilbert, “morbido” padre della Compassion Therapy, sulla sicurezza è che la sensazione di sicurezza (safeness) è diversa dalla ricerca di sicurezza (safety seeking). Se da un lato la ricerca di sicurezza è connessa al sistema di protezione della minaccia, che per Porges è rappresentato dalla neurocezione, la sensazione di sicurezza è uno stato in cui l’individuo si sente appagato, in connessione con sé stesso e il mondo, ed è caratterizzato da uno stile attentivo rilassato che nutre la motivazione ad esplorare. È una sicurezza compassionevole. È uno stato di benessere per le cose come esse sono, diverso dal desiderio- eccitamento dell’euforia della conquista, della realizzazione di scopi, che è più vicino al sistema di ricerca di stimoli. Diverso a sua volta dall’ inibizione del sistema di difesa, atto a fronteggiare la minaccia. Questa sicurezza compassionevole attiene il sistema calmante dell’appagamento e inerisce le relazioni sociali di tipo affiliativo e di accudimento improntate alla vicinanza e mediate dal sistema ossitocina-oppiacei (Gilbert, 2016). Questo sembra una chiara prerogativa del cervello destro (McGilchrist, 2009). È uno stato più evoluto a livello cerebrale del sistema che sonda le minacce nel contesto, è quel “buono” nel mondo e in noi a cui accenna il fiducioso Sam, simile alla “mamma sufficientemente buona” di matrice winnicottiana, che mutuata anche da fuori potrebbe vivere in noi, in altre forme, e alla quale “aggrapparsi.
La gentilezza può presentare quote di accudimento, se non a tratti ne è un’espressione, e può riattivare memorie di attaccamento. Negli itinerari in cui prevale la disorganizzazione il discorso si complessifica e merita un altro spazio per essere sviscerato (Liotti, 2011). Lo stesso vale per il lavoro sulle credenze patogene sul benessere e il senso di colpa da odio di sé (Gazzillo, 2016).
Nella cornice della Compassion, il terapeuta Sam potrebbe agire come corteccia ausiliaria (Diamond et al, 1963), non solo come regolatore emozionale interattivo sui sistemi di ingaggio sociale, ma anche come regolatore compassionevole, che lascia spazi di riflessione.
“La compassione, però, non è semplicemente essere carini, in modo sottomesso può essere dura, definire confini, essere onesti, non disposto a dare i clienti ciò che vogliono, ma piuttosto ciò di cui hanno bisogno.” P.Gilbert (2012)
Parafrasando, non è un terapeuta in resa, ma è interessato, consapevole dei propri giudizi, presente e attivo, giocoso, non freddo, non distanziante e non tecnico. Secondo questo approccio il cambiamento è generato da due percorsi: riconoscere, entrare in contatto e regolare gli stimolatori interni ed esterni dello stato di minaccia con un atteggiamento compassionevole verso di sé, e, intanto, maturare abilità processuali di defusione, decentramento e mindfulness – in continuità con altre terapie della terza ondata del cognitivismo che sodalizzano col Buddismo-. Le minacce che provengono dai nostri Nazgûl interni ed esterni, non sono solo episodi, credenze, divengono processi ed emozioni prevalenti. Si possono intravedere i Nazgûl di ruminazione, autocritica, rabbia verso di noi, senso di colpa e vergogna. Questi Nazgûl sono trans-diagnostici, riscontrabili nei profili di diverse manifestazioni di sofferenza psichica. L’ attività ruminativa, per esempio, che si potrebbe attivare dopo che abbiamo commesso un errore, può essere in relazione alla paura/minaccia di essere considerato incompetente o venire rifiutato, appresa nel corso della vita. In questo processo, non solo è attivato il sistema di minaccia, ma esso è ancor di più alimentato dalla ruminazione: se penso e ripenso a come ho sbagliato, anche come forma di padroneggiamento dell’errore, alimento l’attivazione delle sensazioni di inadeguatezza e minaccia e rifaccio esperienza del malessere psicofisico che ne deriva.
Questa cornice suggerisce di imparare a mobilitare l’accudimento verso di sé. Questo cosa implica? La consapevolezza del bisogno che deve essere soddisfatto, l’espressione di emozioni di saggezza intuitiva, il coraggio di tollerare le emozioni negative, il calore e la gentilezza senza la condanna del tribunale interno. Tutto questo, però, richiede pratica. Questo processo è mediato da esercizi già noti in psicoterapia cognita, ma imbevuti della cornice centrata sulla compassione, atti a ridurre l’attivazione del sistema di protezione della minaccia, e, favorire nel tempo, specifici sistemi regolazione affettiva, quello calmante nello specifico, presenti nel nostro cervello. Quello a cui tende questa cornice consentendo di attingere, se non imparare, questo stato di sicurezza compassionevole è creare: “le condizioni che facilitano lo sviluppo di abilità di auto-rassicurazione che indeboliscono l’autocritica e promuovano il comportamento esplorativo, che, a sua volta, facilita la maturazione cognitiva ed affettiva e la mentalizzazione”.
Bibliografia
Gazzillo F., Fidarsi dei pazienti, Introduzione alla Control-Mastery Theory, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016.
Gilbert P., La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive, FrancoAngeli, Milano, 2012.
Liotti G., Farina, B., Attaccamenti traumatici, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011.
McGilchrist I., The Master and His Emissary, Yale University Press, New Heaven and London, 2019.
Ogen P., Fisher J., Psicoterapia sensomotoria. Interventi per il trauma e l’attaccamento. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016.
Porges S., La teoria polivagale, Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2018.