Costruttivismo fenomenologicoPsicoterapia

La tecnica della moviola come rielaborazione delle narrative personali – 3

La tecnica della moviola come rielaborazione delle narrative personali

PARTE TERZA

Conclusioni

4.Verso una caratterizzazione conversazionale della tecnica della moviola nel continuum

degli approcci cognitivisti

 

La struttura basilare di una particolare metodologia di intervento cognitivista può essere caratterizzata descrivendo le attività conversazionali con cui terapeuta e paziente realizzano i due momenti cardine del percorso terapeutico cognitivista ovvero l’elicitazione/monitoraggio e la modificazione degli elementi dell’attività cognitiva del paziente[1].

Le attività della conversazione iniziano con l’esposizione del problema, in cui il paziente, su invito del terapeuta, presenta liberamente il suo problema e il terapeuta si limita ad ascoltarlo, al più chiedendo qualche precisazione e chiarimento, senza assumere la guida dell’esposizione del paziente. All’esposizione del problema segue un momento di accordo su come procedere, indicato solitamente con il termine tecnico di contratto terapeutico. L’esposizione del problema da parte del paziente ha anche una funzione di richiesta all’esperto di un suo ‘servizio’ riguardo al problema esposto: se l’esperto ritiene, eventualmente dopo una breve indagine preliminare, di poter accettare la richiesta, egli pone delle condizioni relative allo svolgimento della terapia, che a sua volta il paziente potrà accettare o meno.

La terapia inizia poi con l’attività di indagine vera e propria, in cui il terapeuta con le sue domande sceglie i temi del discorso e in questo modo guida l’esposizione del paziente articolandola secondo diverse modalità di esposizione e di elaborazione e producendo di conseguenza tipi diversi di resoconto.

Successivamente alla fase di indagine il terapeuta procede ad una ridefinizione della difficoltà e della situazione problematica del paziente in cui il terapeuta dichiara il suo punto di vista, approdando generalmente ad una riformulazione del problema, per poi sviluppare eventuali altre attività, presentate come conseguenti alle ridefinizioni proposte.

Ovviamente una seduta di psicoterapia cognitiva e a maggior ragione un insieme di sedute hanno un andamento più articolato e complesso rispetto allo schema presentato per una serie di ragioni. Innanzitutto occorre osservare che l’indagine non è nettamente separata dalla rielaborazione. La stessa sequenza delle domande rivela quali aspetti specifici della vita del paziente siano ritenuti dal terapeuta più rilevanti ai fini della riformulazione del problema. Infatti certe domande del terapeuta– le domande informative – presuppongono qualcosa che il paziente non ha effettivamente detto. Si tratta di una sorta di ‘scorciatoia’ dell’indagine, che un terapeuta esperto usa con cautela, ma non raramente.

Un secondo ordine di fenomeni per cui le attività di indagine e rielaborazione nel corso di una seduta di psicoterapia non hanno generalmente una successione così lineare riguardano la possibilità di realizzare le ridefinizioni e la riformulazione nel corso dell’indagine stessa. Le domande dell’indagine ad esempio possono essere introdotte da riformulazioni, in cui il terapeuta “ridice” in modo variamente modificato quanto già detto dal paziente. Una forma di riformulazione può consistere nel ripetere un enunciato del paziente, dandogli risalto. Ancora il terapeuta può riassumere varie informazioni fornite dal paziente, tralasciandone alcune come irrilevanti, evidenziandone altre ed eventualmente sottolineandone la possibile connessione; oppure può rielaborare più attivamente e specificamente quanto detto dal paziente man mano che si affrontano i diversi temi di indagine senza aspettare il finale della seduta o comunque un momento più avanzato della conversazione.

Un terzo ordine di ragioni di articolazione delle attività è quello inerente alle modalità di rielaborazione. Il terapeuta può fornire il suo parere di esperto in modo unilaterale, oppure invece indurre progressivamente il paziente a dire cose che poi il terapeuta può limitarsi a confermare, riformulandole solo parzialmente (rielaborazione co-costruita da entrambi). La ridefinizione può arrivare presto in una forma breve e enfatizzata che potremmo denominare responso, dopo un’indagine breve, oppure venir differito anche per varie sedute. La riformulazione del problema può essere inoltre espressa dal terapeuta in modo più o meno ipotetico, da un estremo in cui abbondano formule dubitative e cautelative ad un estremo opposto di dichiarazione senza incertezze. Il terapeuta può fornire il suo parere con una certa solennità, marcandolo fortemente come ridefinizione finale -responso- o invece ‘buttarlo lì’ informalmente.

Un ulteriore fattore che contribuisce all’andamento complesso delle sedute riguarda le attività conversazionali non canoniche, che possono intralciare l’andamento di base a causa delle cosiddette insubordinazioni del paziente oppure essere introdotte per iniziativa del terapeuta in affiancamento alle attività di base. Ad esempio l’intervento di terapeuta può essere rivolto direttamente a modificare aspetti considerati disfunzionali dell’attività cognitiva del paziente (intervento sui prodotti conoscitivi tramite esercitazione).

Queste nostre elementari osservazioni sull’integrazione di indagine e ridefinizione contribuiscono all’individuazione alcuni aspetti rispetto a cui la conversazione terapeutica può differenziarsi intorno alle due attività di base, caratterizzando le diverse tipologie di approccio cognitivista:

  1. la libertà che il terapeuta lascia al paziente nell’organizzare l’esposizione dei suoi resoconti (direttività del T),
  2. la distinzione fra i diversi elementi dell’attività cognitiva del paziente e il loro rispettivo peso e ruolo nell’indagine (per esempio grado di dettaglio dei resoconti, distinzione tra valutazioni da elementi fattuali),
  3. la collocazione delle ridefinizioni fornite dal T, specialmente come sua visione complessiva del problema del P,
  4. il rapporto fra il tipo di ridefinizione utilizzato e la soluzione diretta del problema,
  5. la gamma degli ulteriori tipi di attività svolti in seduta e i modi della loro integrazione.

La metodologia di intervento guidaniana si colloca in queste dimensioni articolando le attività di base, indagine e ridefinizione, secondo specifiche modalità di cui individuiamo sinteticamente gli aspetti che ci sembrano più significativi e di cui discuteremo nel prossimo paragrafo le valenze terapeutiche:

  1. viene lasciato uno spazio solo iniziale all’esposizione spontanea del problema da parte del paziente[2]
  2. il paziente viene condotto attraverso specifiche modalità conversazionali da resoconti autobiografici generalizzati, specialmente intorno a routine ed eventi di vita connessi al problema, a resoconti puntiformi della sua esperienza soggettiva relativa a singoli episodi significativi (gli aspetti di contenuto dell’indagine sono riassunti nella tabella 2) per poi tornare a resoconti di carattere più generali
  3. il terapeuta guida strettamente lo sviluppo dei resoconti generalizzati in modo da selezionare col paziente gli episodi in cui si collocano esperienze soggettive rilevanti rispetto al problema
  4. il terapeuta estrae gli elementi che sostengono la sua riformulazione del problema principalmente dai resoconti episodici particolareggiati del comportamento e dell’esperienza immediata del soggetto
  5. il terapeuta lega la riformulazione del problema (un resoconto generalizzato finale) ad un confronto integrativo fra i resoconti generalizzati esposti dal paziente nella prima fase dell’indagine e i dati di esperienza situata, emersi nella fase successiva dell’indagine come resoconti puntiformi;
  6. il terapeuta utilizza una attività non canonica ovvero la prescrizione di compiti di autoosservazione della propria esperienza soggettiva, da svolgere fuori seduta.

 

 5.La tecnica della moviola come rielaborazione delle narrative personali

La metodologia della moviola mette in grado il terapeuta di selezionare, attraverso il gioco delle domande e degli apprezzamenti delle risposte, oltre che i contenuti anche il tipo di conversazione, tenendola lontana da quelle modalità di presentazione di sé e di attività linguistica che sono tipiche della conversazione ordinaria, pur mantenendone i medesimi contenuti, ovvero vicende e aspetti della propria esperienza personale.

Questa modalità di “parlare e raccontare di sé interloquendo con un esperto del funzionamento del sé”, risulta caratterizzata ora da un atteggiamento osservativo che implica da parte del terapeuta nei confronti del paziente l’attribuzione di una competenza conoscitiva sulla propria esperienza, ora dalla possibilità di commentarla e rivalutarla sotto la guida del terapeuta. In tal modo essa sicuramente favorisce una alternanza di diversi Self[3] inscenati in seduta, competenti in diverse maniere, con l’effetto terapeutico di smuovere il paziente innanzitutto da modalità coinvolgenti di espressione quali la lamentela, la recriminazione ecc, nonchè da stili eccessivamente distanzianti di racconto e di conseguenza dall’incapacità di saltare agilmente a livelli metacognitivi più astratti e integranti, tipici invece di un funzionamento cognitivo più equilibrato.

Inoltre gli specifici formati conversazionali di seduta realizzano una particolare modalità di trattare l’esperienza sintomatica che rappresenta a nostro parere uno dei principali fattori terapeutici propri di questo approccio. In sostanza possiamo dire che attraverso le attività conversazionali che terapeuta e paziente realizzano in seduta i sintomi e gli aspetti problematici vengono rielaborati come un insieme di pensieri, emozioni e comportamenti – il cosiddetto tema – che trovano senso nell’ambito della narrativa personale del paziente. “Il setting –operativo cruciale per citare direttamente le parole di Vittorio Guidano– si situa nell’interfaccia tra l’esperienza immediata e il suo riordinamento esplicito. La procedura di base consiste nell’addestrare il paziente, attraverso il metodo di autoosservazione, a differenziare la percezione immediata di sé dalle spiegazioni che se ne dà e dalle convinzioni che ne ricava, ricostruendo quindi i pattern di coerenza che egli impiega per rendere coerente ciò che sente”.

Questa rielaborazione o ricostruzione del tema personale si realizza in modo specifico in primo luogo attraverso la ricostruzione degli eventi – l’indagine su come sono andate le cose – e soprattutto con l’ausilio della modalità di rievocazione degli episodi, che consente di elicitare in seduta aspetti dell’esperienza soggettiva che non venivano in precedenza esplicitamente presi in considerazione dal paziente nelle narrazioni spontanee delle problematiche in questione o che venivano trattati diversamente. Abbiamo visto infatti che il frame di rievocazione dell’episodio consente di focalizzare a lungo la conversazione e quindi l’attenzione e la memoria del paziente su aspetti e dettagli che normalmente non vengono rievocati. Focalizzando sé stesso e il paziente su questa attività, il terapeuta facilita l’attivazione prolungata e condivisa di specifici sistemi di memoria situata (procedurale e per immagini) rendendo questi accessibili alla conoscenza riflessiva in un modo tale da consentire una diversa organizzazione narrativa dell’episodio stesso.

La particolare posizione in cui il paziente si viene a trovare, cioè di essere sia il soggetto che l’oggetto dell’indagine, facilita la costruzione di una più articolata competenza narrativa, in quanto contribuisce a creare, attraverso il decentramento favorito dalla condivisione conversazionale dei contenuti, uno spazio di rielaborazione e reinterpretazione dell’esperienza stessa realizzando una integrazione di diverse prospettive di narrazione. La nuova versione narrativa viene così più facilmente arricchita e aggiornata attraverso gli interventi di ridefinizione del terapeuta, interventi che talora vengono a contraddistinguere specifiche sequenze della conversazione in seduta e che culminano nella cosiddetta riformulazione del problema in termini di tema personale, che a conclusione di seduta – ma anche a conclusione di terapia – richiama l’iniziale presentazione del problema da parte del paziente.

La procedura di interconnessione tra indagine e ridefinizione sembra dunque ricalcare da un lato quella che secondo il modello post-razionalista è considerata la processualità basica che presiede alla auto-organizzazione del sistema conoscitivo e alla costruzione dell’identità personale, cioè la ricorsività tra esperienza immediata e rilettura esplicita di tale esperienza, dall’altro risulta evidente come possa favorire l’integrazione tra i diversi sistemi di memoria in relazione alla costruzione delle narrative personali. Da tale considerazione risulta dunque efficacemente evidenziata e teoricamente giustificata la valenza terapeutica della sequenza dei frame di seduta.

Se da un lato la metodologia della moviola trae origine da un preciso orizzonte teorico, quello dell’impostazione sistemico processuale, l’analisi delle sue modalità conversazionali di realizzazione consenti di rilevare alcuni aspetti critici dell’inquadramento teorico da cui questa metodologia trae origine.

Fin dal suo volume del 1987, Vittorio Guidano proponeva un modello a doppio livello dei processi conoscitivi, focalizzando l’intervento terapeutico sull’interfaccia tra quella che allora chiamava conoscenza tacita e la sua rielaborazione esplicita (pag. 99 dell’edizione italiana, ma anche Guidano 1995 pag 155[4]). Nei lavori successivi le denominazioni di questa dialettica fondamentale – la “processualità basica” – dei processi conoscitivi sono mutate ma questa è rimasta al centro della riflessione del nostro autore. Per certi versi questa prospettiva, pur essendo stata rivoluzionaria rispetto allo stato del cognitivismo clinico di allora e per certi versi, verrebbe da dire, anche rispetto a quello di oggi, non è scevra dal rischio di alcuni fraintendimenti o semplificazioni eccessive.

Come ad esempio nota Arciero (2006)[5], la visione di una relazione fra unità pre-riflessiva del flusso soggettivo e la sua riconfigurazione simbolico narrativa, non vanno confuse con o ridotte ad una prospettiva in cui l’esperienza acquista significato a posteriori attraverso la riflessione, quando essa cioè diventa oggetto di uno stato cosciente di livello più alto. Questo porterebbe da un lato ad un problema di regressione ad infinitum, mentre dall’altro diventerebbe difficile rendere conto dei processi conoscitivi e di costruzione dell’identità vendendo a mancare, o per lo meno essendo poco e non appropriatamente considerato, uno dei poli della dialettica[6].

Per rispondere adeguatamente al rischio di tali semplificazioni teoriche occorre a nostro parere fare costante riferimento ad una modellizzazione più precisa, e per certi versi anche più valida, della metodologia terapeutica della moviola, in modo da poter osservare e quindi rendere conto nel dettaglio dei processi di organizzazione della conoscenza personale, così come questi si mostrano nel concreto delle specifiche interazioni linguistiche in seduta. Ciò consentirà una più valida comprensione di alcuni aspetti fondamentali del dispiegarsi del personale conoscere e del processo terapeutico. Basti pensare a come l’azione terapeutica si eserciti anche su aspetti non semantici delle narrative personali tramite il riordinamento che via via si realizza in seduta durante le procedure di indagine, attraverso la regolazione di immagini e memorie situate attraverso i processi di sintonizzazione interattiva[7]. Ancora sarà possibile prendere in esame nel dettaglio, e non solo in termini di dichiarazioni programmatiche, le modalità di integrazione nelle procedure di intervento di azioni terapeutiche direttamente rivolte alla modificazione di aspetti rappresentativi non verbali della conoscenza personale, quali le tecniche di stimolazione sensoriale bilaterale come l’EMDR (Lenzi 2001) o le tecniche schermo (Giannantonio, Lenzi 2009).

Ecco dunque i risultati del nostro riferirci alla moviola nei termini dell’analisi dei trascritti secondo la prospettiva cognitivo-conversazionale: l’evidenziarsi da una parte dell’attivazione e integrazione dei sistemi di memoria in relazione alle diverse attività terapeutiche di esplorazione e riordinamento e dall’altra dei giochi linguistici, dei più fini aspetti interattivo-interpersonali relativi all’attuazione della procedura terapeutica che testimoniano tra l’altro come ogni rilettura e rielaborazione innovativa dell’attività cognitiva si verifichi nell’ambito e come conseguenza di uno specific contesto interattivo-conversazionale. Crediamo che tale prospettiva di applicazione e di studio della metodologia guidaniana ci consentirà da un lato di approfondirne e articolarne maggiormente gli ambiti di applicazione, dall’altro ci offrirà la possibilità di condividerli con colleghi di altri approcci a partire da una documentazione puntuale e basata su elementi empirici.

[1] La descrizione realizzata da una prospettiva conversazionale può essere così riassunta: “Il paziente espone un problema, su cui il terapeuta indaga interrogandolo, per poi riformulare il problema sulla base di ciò che è stato espresso dal paziente stesso”. Lo slogan si compendia quello che coglie il punto di vista del paziente: “Parlare sentendosi capiti dei propri problemi e dei fatti che li costituiscono” (Lenzi Bercelli 2002).

[2] Una maggiore importanza data alla esposizione spontanea del paziente è caratteristica dello stile di indagine di altri terapeuti cognitivi costruttivisti (Bercelli Lenzi 1988, Lenzi Bercelli in press). Inoltre nel trattamento dei cosiddetti pazienti difficili viene ad essere più curata la sintonizzazione procedurale nel corso di tali esposizioni spontanee fino ad individuare una seconda espansione della metodologia cognitivista che mette al centro gli aspetti posizionamento interattivo e di incassamento (embeddedness) con altre attività linguistiche dei resoconti del paziente. (Giannantonio Lenzi 2009).

[3] Il modello goffmaniano dei giochi di faccia sottolinea l’esigenza di presentare nelle diverse interazioni quotidiane una particolare immagine di sé anche attraverso il riarrangiamento della propria esperienza passata (Goffman 1959, 1974, 1981). Secondo questo autore ogni riflessione e rielaborazione della propria esperienza avviene nell’ambito interpersonale ed è essa stessa azione e interazione a tutti gli effetti. A tali dinamiche di rielaborazione in un contesto interattivo si riferisce il concetto di self proiettato in seduta largamente utilizzato nell’analisi dei frame.

[4] “Self observation provides the raw materials that are necessary in the attempted reconstruction of events of therapeutic interest, working at the interface between immediate experiencing and symbolic explaining. It permits the exploration and

analysis of three levels of processing: immaediate awarness, mediated explanations, and the dynamic and ever –developing

relationship between these basic contrasts” (Guidano 1995).

[5] Va detto che Arciero (2006) introduce un ulteriore punto di novità rispetto all’impostazione guidaniana che risulta in sintonia con quanto emerge dalle nostre analisi, ovvero una possibile apertura al “senso condiviso” nella costruzione del significato personale.

[6] Alcune problematiche relative alla identità narrativa e alla costruzione retorica dell’identità sono toccate in Lenzi 2005.

[7] Il richiamo qui è alle protoconversazioni così come sono descritte da Russel Meares, (Meares 1993, 2000).

Silvio Lenzi

Psichiatra, psicoterapeuta e Didatta della Società Italiana di Terapia Cognitivo Comportamentale, è Direttore della Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva. È socio fondatore e attuale Presidente di sinesis Associazione per la ricerca in scienze e terapie cognitiva. È Membro Fondatore della International Association for the Study of Attachment (IASA). Dal 2001 al 2013 è stato docente di Psicodiagnostica, presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università degli Studi di Siena. Si è formato alla Psicoterapia Cognitiva con Vittorio Guidano; in Programmazione Neurolinguistica con Ian McDermott (ITS, Londra) e con l’Istituto Italiano di PNL; ha seguito l’iter formativo in EMDR completando il training relativo al livello di Facilitator. Dal 1990 al 2006 ha lavorato come medico di reparto presso struttura di brevedegenza psichiatrica e attualmente svolge attività di psicoterapeuta e supervisore. Si è occupato di teoria della tecnica e analisi dei trascritti di seduta nel tentativo di innestare nel solido tronco della tradizione terapeutica comportamentale e cognitiva una serie di approfondimenti capaci di integrare l'intervento di natura tecnica con l'esplorazione del mondo interno dei significati e della storia personale. Su tali argomenti ha pubblicato numerosi lavori scientifici e due volumi.

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