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Leib e körper: ripensare i fondamenti della psicopatologia

Whether we know it or not, to practice or to do research in the field of mental health requires us to assume certain positions on several philosophical issues.”

– Kendler

Quando ci addentriamo nel campo della psicopatologia e della salute mentale dobbiamo sempre farlo in punta di piedi e, soprattutto, tenendo ben presente con quale “bagaglio teorico” vi accediamo e in quale direzione vogliamo andare. Ha pienamente ragione Kendler (2005) quando afferma che non si può parlare di psicopatologia senza prendere posizione rispetto ad alcuni temi filosofici ed ontologici fondamentali, che ne costituiscono le fondamenta.

 Kendler elencava come primo fra tutti la questione del rapporto mente-cervello; noi (fenomenologi) rilanciamo aggiungendo il Mind-Body Problem.

Il tema del corpo assume un’importanza centrale nella letteratura scientifica e fenomenologica degli ultimi decenni e subisce una scossa rivoluzionaria a partire proprio dalla distinzione introdotta da Husserl tra Leib e Körper (Costa, 2019; Liccione, 2019). Ma procediamo con ordine.

L’annosa questione del rapporto tra corpo e mente risale alla tradizione filosofica greca e raggiunge il suo apice con la teoria platonica. Secondo ciò che Platone scrive nel Fedro, l’anima è un ente incorporeo “caduto” all’interno di un corpo poiché, nel ciclo delle reincarnazioni, essa non si disperde mai in una generalità astratta. Platone ci insegna che il corpo per tale motivo imbriglia l’anima, la cui natura sarebbe invece quella di innalzarsi nel mondo intellegibile per contemplare le Idee. Il corpo diventa dunque la tomba dell’anima, poiché la incatena nel mondo sensibile, nella dimensione delle passioni e dei vizi: l’anima è resa schiava della corporeità. Platone condanna per certa parte il mondo sensibile ed il corpo, privandolo così del suo statuto ontologico (Vanzago, 2009).

Sebbene declassato ad un ruolo marginale, la tradizione filosofica greca ci consegna una concezione di corpo esperienziale, che nonostante tutto sente, patisce e soffre e che incatena la parte più pura dell’essere umano.

La concezione del corpo (e dunque la concezione ontologica dell’essere umano) cambia radicalmente quando Galileo Galilei, il padre della scienza moderna, afferma tra il ‘500 e gli inizi del ‘600 in maniera categorica la non sensibilità del corpo (Liccione, 2019). Il corpo non viene più colto nel suo essere sensibile ma diventa semplicemente una sostanza materiale, una cosa.

Scrive a tal proposito Costa (2019, p. 16):

“[…]questo ha determinato uno spostamento[…]da uno sguardo storico (che indagava la storia del paziente) a uno sguardo geografico (che indaga la località della malattia), per cui la malattia non riguarda più il corpo e la sua storia, ma viene pensata come localizzata in specifici luoghi anatomici[…].”

Una psicopatologia che opera partendo da questo assunto ontologico, non può che considerare l’essere umano alla stregua di una cosa e la malattia mentale come una risposta disadattiva all’ambiente circostante. Il materialismo riduzionista di Galilei porta all’esclusione non solo della psiche ma anche della possibilità di considerare il corpo come condizione necessaria e alterità senziente della nostra esistenza e del nostro essere umani (Liccione, 2019).

Nemmeno la successiva contro-rivoluzione operata nel corso del ‘600 da Cartesio riuscirà a ridare piena dignità ontologica ed esistenziale al corpo: infatti, la distinzione tra Res Cogitans e Res Extensa non fa altro che introdurre una nuova ontologia, focalizzando l’attenzione sulla prima e relegando (di nuovo) il secondo alla dimensione materiale dell’esistenza.

La medicina moderna ed in parte anche la psichiatria scientifica si sono sviluppate e strutturate secondo questo tipo di ontologia, che dipinge il corpo semplicemente come materia inerte. Come afferma Kendler (2012), il dualismo cartesiano ha delle ricadute importantissime sia per la psicopatologia sia per la definizione di alcuni presupposti della psichiatria. Infatti, è proprio durante il XIX secolo che si assiste alla nascita della cosiddetta psichiatria scientifica, branca del sapere il cui oggetto di studio comprende tutti quei disturbi che non trovano riscontro in un substrato organico e sono dunque definiti come “funzionali” (che riguardano la mente). Tutti i disturbi che, invece, trovano un riscontro in un corrispettivo organico sono oggetto di studio della neurologia.Lo studio delle malattie mentali (ossia, la psicopatologia) rimane dunque fortemente influenzato da quel dualismo di matrice cartesiana che permarrà ancora per molto tempo, almeno fino a che la Fenomenologia (a partire da Husserl e da Heidegger e poi, definitivamente, con Merleau-Ponty) non restituirà dignità ed importanza al tema della corporeità.

Finora abbiamo descritto sostanzialmente un corpo-macchina, ossia un organismo che viene considerato in analogia con tutti gli altri corpi. Vale la pena soffermarci a riflettere su questo passaggio: cosa significa questa riduzione da un punto di vista psicopatologico? È chiaro che una visione di questo tipo si radichi nell’enorme successo acquisito nel corso degli anni (soprattutto nel ‘900) dalle discipline scientifiche (matematica e fisica, soprattutto). L’ontologia regionale di queste discipline viene estesa ed applicata anche alle cosiddette scienze dello spirito: ed ecco dunque che il corpo umano e le “operazioni” inerenti ad esso sono intese a partire da un modello meccanico (Costa, 2019).

 È evidente che questa teoria (definita da Costa nel 2019 non a caso del corpo-morto) porta con sé una serie di complicazioni e rimuove tutta una serie di possibilità che, invece, la fenomenologia ha riportato in luce.

La tradizione fenomenologica inizia certamente con Husserl il quale, nelle Meditazioni Cartesiane (p. 119), sottolinea magistralmente:

“[…] il mio corpo vivo nella sua peculiarità unica, cioè come l’unico a non essere un mero corpo fisico (Körper), ma corpo vivo” (in Costa 2016, p. 117).

A partire da una prospettiva, criticata da alcuni per essere troppo coscienzialista, Husserl pone le basi per una nuova ontologia, distinguendo il Leib dal Körper: il primo è il corpo vivo, è la carne, esso si muove con l’essere umano ed è un corpo che sente e patisce; il secondo è il corpo cosale, che abita in un mondo fisico insieme a tutti gli altri corpi (Costa, 2016).

Il corpo vive in un mondo di significati e di atmosfere emotive che lasciano inevitabilmente una traccia su di esso: l’esperienza che io faccio (…che il mio corpo fa) di volta in volta lascia un segno indelebile ed è così potente da far sì che io mi riconosca sempre (in condizioni non patologiche) in quello che faccio e che vivo. Scrive Heidegger (1975, trad. it. 1999, p. 163):

“l’Esserci non è solamente, come ogni ente, identico a sé stesso in un senso ontologico formale […] l’esserci ha invece un’identità specifica con sé stesso: l’ipseità. Esso è fatto in modo tale che ha sé stesso, si possiede […].” [in Liccione 2019, p. 32]

Solo attraverso la carne emerge il senso dell’essere sempre mio dell’esperienza; il corpo vissuto è ciò che ci caratterizza come essere umani e che porta con sé le tracce della nostra storia, di chi siamo ora e di chi saremo in futuro.

L’importanza ontologica del corpo emerge tuttavia in modo evidente soprattutto nelle riflessioni di Merleau-Ponty. L’intenzionalità caratteristica della coscienza dell’essere umano non è solamente uno slancio “psichico” verso il mondo: sarebbe un contenuto informe senza il corpo! Se noi non avessimo un corpo, ragiona per assurdo Merleau-Ponty, non potremmo avere coscienza di esistere in un mondo fatto di aperture al possibile, di signficati e di relazioni con altri con-esserci. Il nostro essere-nel-mondo è necessariamente reso possibile anche dal nostro essere-corpo: è nel corpo che si vive il mondo, ed è nel mondo che esperiamo un corpo (Donegà, 2011). La radicalità del pensiero di Merleau-Ponty fa emergere in tutta la sua complessità l’impostazione fenomenologica: il corpo vivo è una struttura necessariamente ed originariamente relazionale, poiché rappresenta l’orizzonte delle possibilità di azione (Costa, 2019).

In tal senso, il mio essere corpo all’interno di un mondo si configura in un modo del tutto particolare e specifico: come riporta Vanzago (2017), secondo Merleau-Ponty la coscienza non è semplicemente un “io penso che” (impostazione palesemente cartesiana), ma un io posso. Il corpo (dunque noi) non è semplicemente nello spazio e nel tempo, ma abita in essi; il nostro corpo li abbraccia e noi facciamo esperienza di questa esistenza.

L’esistenza, le nostre esperienze e il nostro essere-nel-mondo, dunque, risuonano continuamente nel nostro corpo, sia come anticipazione sia come memoria.

Si pensi ad esempio al concetto di Extended Body introdotto da Fuchs (2009, 2012): nella reciprocità dell’esistenza siamo presenti pre-riflessivamente a noi stessi e agli altri essere umani, come se fossimo legati da una reciprocità corporea implicita che si accorda secondo diverse sintonie ed in base ai contesti in cui si esplica. Inoltre, in questo sentire pre-riflessivo il nostro corpo risuona proprio in quel modo, come se attraverso quelle sensazioni noi ci riconoscessimo ogni volta.

La tradizione inaugurata dai fenomenologi della carne pone le basi per una ridefinizione della psicopatologia, poiché restituisce dignità ontologica al corpo e al suo ruolo fondamentale nella malattia mentale. Un corpo che soffre è un corpo malato, non nel senso della tradizione scientificadel ‘900, bensì in senso fenomenologico: è un corpo che comunica sofferenza (o non riesce a comunicarla) e che la vive interamente nella propria carne. È un corpo che, sentendo la costrizione delle situazioni esistenziali, attraversa stati di ansia e di panico; se l’esistenza nega sistematicamente aperture di senso, esso si spegne e si aliena. È un corpo che soffre anche ad un livello più profondo, originario, che può vivere alterazioni a livello dell’ipseità (Fuchs 2008, 2009, 2010, 2012a,b) e che porta con sé i segni di psicopatologie più pervasive (schizofrenia, ad esempio).

Ma è anche un corpo esposto agli accidenti della vita che lo coinvolgono da un punto di vista “materiale” (traumi cranici, ictus, rotture di arti…) e che fanno riflettere su argomenti più che mai attuali come quello della riabilitazione e dell’intenzionalità.

La fenomenologia ha rivoluzionato il modo di pensare al rapporto mente-corpo e, soprattutto, al modo di intendere il corpo sia da un punto di vista teorico che da un punto di vista clinico. Il corpo vissuto (e vivente) porta con sé tutte le cicatrici delle scelte fatte e non fatte, di tutte le esperienze vissute nel corso della nostra esistenza. Dopotutto:

“L’unione dell’anima e del corpo non è suggellata da un decreto arbitrario tra due termini, l’uno oggetto, l’altro soggetto. In ogni istante essa si compie nel movimento dell’esistenza.”  (Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, in Costa 2019).

BIBLIOGRAFIA

  •  Abbagnano, N., Fornero, G. (2006). Il nuovo protagonisti e testi della filosofia. A cura di Giovanni Fornero, Paravia Pearson.
  • Costa, V. (2016). Husserl. Carocci Editore.
  • Costa, V. (2019). Fenomenologia della cura medica. Saggi, Scholé.
  • Donegà, D. (2011). L’intenzionalità erotica e l’azione del corpo in Maurice Merleau-Ponty.Edizione Cantagalli.
  • Fuchs, T. (2008). Phenomenology and Psychopathology. Handbook of Phenomenology and Cognitive Science, pp. 547-573.
  • Fuchs, T., Schlimme, J. E. (2009). Embodiment and Psychopathology: a Phenomenological Perspective. Current Opinion in Psychiatry, 22, pp. 570-575.
  • Fuchs, T. (2010). Temporality and Psychopathology. Phenomenology and the Cognitive Science, 12, pp. 75-104.
  • Fuchs, T., Froese, T. (2012a). The extended body: a case study
in the neurophenomenology of social interaction. Phenomenology and the Cognitive Science.
  • Fuchs, T. (2012b). Are mental illness disease of the brain? In Choudhury, S., Slaby, J. (2012). Critical Neuroscience. A Handbook of the Social and Cultural Contexts in Neuroscience. Blackwell Publishing Ltd
  • Kendler, K.S. (2005). Toward a Philosophical Structure for Psychiatry. American Journal of Psychiatry, 162 pp. 433-440.
  • Kendler, K.S. (2012). The dappled nature of causes of psychiatric illness: replacing the organic–functional/hardware–software dichotomy with empirically based pluralism. Molecular Psychiatry, 17, pp. 377-388.
  • Liccione, D. (2019). Psicoterapia Cognitiva Neuropsicologica. Bollati Boringhieri, Torino.
  • Merleau-Ponty, M. (1980). Fenomenologia della percezione. Trad. it. di A. Bonomi, il Saggiatore, Milano.
  • Vanzago, L. (2009). Breve storia dell’anima. Società editrice il Mulino, Bologna.
  • Vanzago, L. (2017). Merleau-Ponty. Carocci Editore.
  • Husserl, E. (2002). Meditazioni cartesiane e discorsi parigini. Trad. it. F. Costa, Bompiani Milano 2002.

Irene Sibella

Psicologa clinica laureata presso l’Università degli Studi di Pavia con una tesi dal titolo “Il pensiero clinico e teorico di James S. Grotstein”. Frequenta attualmente il secondo anno di una scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad indirizzo Cognitivo-Neuropsicologico. Ha collaborato con una comunità terapeutico riabilitativa che si occupa di tossicodipendenze e attualmente lavora con una cooperativa nell’ambito dei servizi socio-educativi rivolti a minori e come volontaria presso la fondazione IRCCS policlinico Cà Granda a Milano. Riceve in studio

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