Kimura Bin (1931) è un compositore musicista giapponese che, dopo avere conseguito la laurea in medicina, fortemente influenzato da una famiglia con molti parenti medici, ha cominciato ad appassionarsi alla psicopatologia fenomenologica. L’interesse per la fenomenologia nacque dopo avere letto un libro dello psichiatra Murakami Masahashi sulla schizofrenia, con un approccio daseinanalitico (Stevens, 2009). Forte di questa esperienza, decise di studiare le opere di Binswanger e fu coinvolto da Murakami stesso nella traduzione in giapponese dell’opera Schizophrenie di Binswanger (Binswanger, 1957). Egli stesso si definì successivamente ‘psichiatra per caso’, avendo scelto la carriera psichiatrica dopo essersi appassionato alla psicopatologia fenomenologica.
Kimura Bin trascorse un periodo di formazione nei Dipartimenti di Psichiatria di Monaco e di Heidelberg. In quel contesto, ebbe modo di conoscere personalmente le figure di spicco della psicopatologia fenomenologica tedesca, come Tellenbach e Blankenburg. Molta influenza sul suo pensiero venne però esercitata da Essere e tempo (1927) di Heidegger, dove veniva analizzato il ruolo della temporalità nei diversi fenomeni psicotici.
Nella sua carriera professionale, egli ricoprì il ruolo di professore di Psichiatria nelle Università prima di Nagoya e successivamente di Kyoto (Stanghellini et al., 2019). All’Autore va attribuito inoltre il merito di avere tradotto in giapponese le opere di Binswanger, Heidegger, Tellenbach e Blankenburg, fra gli altri.
Il tratto distintivo dell’opera di Kimura è quello di proporre un’integrazione fra il pensiero e la spiritualità orientale (in particolare i temi del buddhismo) con il pensiero fenomenologico-esistenzialista europeo.
Il merito della traduzione in italiano dal francese degli scritti di Kimura Bin va ad Arnaldo Ballerini, che nel 2005 tradusse gli ‘Scritti di psicopatologia fenomenologia’, compendio della sua opera. Per una trattazione dettagliata ed esaustiva dell’opera di Kimura rimando al capitolo a lui dedicato di ‘Storia della fenomenologia clinica’ di Molaro e Stanghellini (Molaro & Stanghellini, 2020), ad opera di Massimo Ballerini.
Uno dei concetti cardine del pensiero di Kimura è quello di ‘Aidà’, che letteralmente significa ‘essere tra’, sia in senso spaziale che temporale. Questo concetto si può tradurre come ‘relazione globale fra l’Io e l’Altro’ o come ‘distanza formale da sè e dagli altri’ (Dalle Luche, 2006). Aidà, in questa concezione, intende una condizione intersoggettiva e sociale dell’essere umano, che si rinnova costantemente mediante il contatto con gli altri. L’uomo è pertanto soggetto ad un continuo processo di individuazione, di riappropriamento del proprio Sè, individuato e demarcato dalla altrui soggettività.
Altri due concetti cari a Kimura sono due espressioni legate alla lingua giapponese, il Mizukaka e l’Onuzukaka. Il primo termine indica la soggettività, espressa dall’incarnazione in un corpo, mentre il secondo definisce la realtà esterna al sé, che esiste di per sé. Queste due entità trovano la loro unione nel Ji, ovvero la condizione di origine indifferenziata del soggetto e della Natura, dove non si realizza la differenza fra Sé e Natura. Il Ji, secondo Kimura, è la matrice costitutiva del mondo, della nostra ed altrui soggettività.
Nella concezione di Kimura, fortemente influenzata dal pensiero di Husserl, vengono distinti un Ego trascendentale (l’Io in via di prendere coscienza), ed un Ego empirico (l’Io di cui si ha coscienza). Il primo costituisce il fondamento del Sé autentico, ma solamente il secondo è presente nell’esperienza.
Fondamentale nel pensiero dello psichiatra giapponese è la concezione di linguaggio: esso costituisce un grande database di conoscenze e valori, che consente l’espressione discorsiva e riflessiva dell’esperienza di vita del soggetto. Il pensiero di Kimura suggerisce quindi un ruolo del linguaggio nella disconnessione fra mediatezza ed immediatezza (Kimura, 1992).
La mediatizzazione, secondo questa concezione, è l’organizzazione linguistica di tutte le conoscenze vissute. Essa è contrapposta all’immediatezza, ovvero l’esperienza pura, primordiale e indistinta. L’esperienza pura non si colloca nella temporalità, ma in una dimensione completamente atemporale. L’esperienza dell’immediatezza si raggiunge mediante una profonda esperienza spirituale e si identifica con il Kensho (ovvero, letteralmente ‘guardare la propria natura di Buddha’), che è propedeutica a quello che Kimura chiamò Satori, ovvero lo stadio di completa illuminazione e piena comprensione della realtà. D’altro canto, però, l’esperienza di immediatezza può manifestarsi anche in modo caotico, sconfinando nel campo della psicopatologia: mediatezza e immediatezza, nella concezione di Kimura, sono alla base di una vasta gamma di esperienze di vita fisiologiche e patologiche.
La temporalità: i concetti di ‘ante-festum’, ‘intra-festum’, ‘post-festum’ e la sproporzione antropologica
Come diversi altri fenomenologi, gran parte del pensiero di Kimura Bin ruota attorno al concetto di temporalità. La temporalità è un concetto che viene ad essere alterato in maniera radicalmente diversa nei diversi quadri morbosi: ad esempio, nel melanconico si ha il senso generale di arresto del tempo, nell’eccitamento maniacale si assiste ad una temporalità accelerata, nella dissociazione la temporalità è invece frammentata in diversi elementi puntiformi.
Così come Heidegger, Kimura sottolinea la concezione dinamica del sé: essere se stessi non è quindi mai un atto compiuto, ma deve continuamente rinnovarsi nel contatto con gli altri (secondo il concetto di Aidà). L’essere se stessi è quindi soggetto ad una continua temporalizzazione, ad un continuo progetto dinamico nel tempo. La stessa parola (pro-getto), significa proiettarsi, ‘gettarsi’, nella temporalità futura.
Il fluire della temporalità si intercala per Kimura in tre momenti fondamentali: l’ante-festum, l’intra-festum ed il post-festum. L’esistenza viene quindi paragonata ad una festa, nella normale fluenza temporale questi tre momenti sono armoniosamente intercalati fra loro.
L’ante-festum è per Kimura il momento dell’attesa, dove ‘tutto è percorso gioiosamente anticipando l’avvenimento della festa’ (Kimura, 2005b, p.40). Il post-festum è invece un momento di bilancio, di ‘a cose fatte’, o ‘alla situazione che viene dopo la festa e si pensa con soddisfazione alla sua buona organizzazione, o al contrario, al rammarico per un errore irreparabile’ (Kimura, 2005b, p.40). Questi due momenti esprimono la storicizzazione narrativa della temporalità, e come tali si pongono nella mediatezza, ed hanno un carattere riflessivo e predicativo.
L’intra-festum, invece, significa letteralmente ‘nel corso della festa’, riferendosi alla possibilità di cogliere la presenza pura, a-temporale e non mediata dal linguaggio, caratteristica dell’immediatezza. L’intra-festum è il momento della più autentica concretizzazione spirituale, di distacco dal proprio percorso storico-narrativo e di vivere pienamente l’immediatezza. Sono questi i concetti in cui si percepisce chiaramente l’influenza del pensiero buddhista nella concezione di Kimura. I concetti di ante, intra e post-festum sono molto simili a quelli che Husserl definì protentio, retentio e presentatio (Husserl, 1966).
La perdita dell’equilibrio armonioso di questi elementi conduce ad una sproporzione antropologica temporale, alterata differentemente nei vari quadri morbosi, ma senza una corrispondenza univoca fra specifiche alterazioni e diagnosi clinica.
La prevalenza dell’ante-festum, ad esempio, viene riscontrata nella schizofrenia, mentre il post-festum prevale nella depressione melancolica. Allo stesso modo, il disturbo schizotipico di personalità costituirebbe un’organizzazione temporale ante-festum, mentre il ciclotimico ha un’accentuazione del post-festum.
L’alterata temporalità dell’intra-festum vede invece la presenza di una caotica immediatezza, la ricerca di un’estasi momentanea ed illusoria. Questa alterazione si ha, comunemente, nell’eccitamento maniacale e nel disturbo borderline.
La schizofrenia e l’’ante-festum’, la melancolia e il ‘post-festum’
La schizofrenia è pervasa da un clima temporale dell’attesa, della premonizione e dell’anticipazione. I pazienti si sentono spesso chiamati ad una missione, ad un compito eccezionale. Possono perseguire ideali apparentemente utopici, o una scoperta che muterà le loro sorti. Secondo la concezione dell’ante-festum, il malato intravede nell’avvenire del futuro la possibilità o l’impossibilità di perseguire la propria soggettività. Il clima emotivo che accompagna la proiezione al futuro può essere accompagnato da una trepidante attesa o da una cupa e angosciosa aspettativa. L’angoscia è determinata dal senso di imprevedibilità, dal fatto che potrebbe succedere in qualsiasi momento qualche cosa che non è ancora presente. Allo stesso tempo, si ha un’indifferenza stupefacente riguardo a ciò che si offre nel momento attuale o riguardo alle cose la cui presenza è, in qualche modo, assicurata (Serio, 2009).
La schizofrenia viene quindi definita un disturbo della meità del Sè: i pazienti soffrono la frustrazione di non sentire il proprio Io come compiuto e differenziato. Al contrario, l’Io viene ad essere caratterizzato dalla continua intrusione altrui. Il passato denota una mancata individuazione, l’unica possibilità di speranza (o di fuga) è data dal futuro. La speranza e protenzione verso il futuro non è però ‘sana’, ma, secondo Kimura, ‘considera di realizzarsi tagliando bruscamente con il suo passato e il suo presente, per procedere in una libertà vuota’ (Kimura Bin, 2005b, p.34).
Vi è quindi una sproporzione del progetto esistenziale (aspirazione in assenza di una base empirica) e di natura temporale (sbilanciamento nel futuro senza integrazione delle altre dimensioni temporali).
L’Aidà viene ad essere alterato, rendendo problematica la realizzazione della propria soggettività e l’incontro con gli altri individui. Viene quindi ad essere alterata la relazione, mediata dal linguaggio, fra la matrice noetica ed ego empirico. La speranza e la ‘fede’ incrollabile del futuro vengono attivate in difesa a questa anomalia di fondo. L’alterata costituzione intersoggettiva del mondo è, per Kimura, uno dei nuclei patologici della schizofrenia (Kimura Bin, 1992).
Il difetto di soggettività tipico della schizofrenia viene comunemente ricondotto a un disturbo del basic-self, ovvero l’esperienza diretta ed implicita della propria soggettività (Sass & Parnas, 2003). che si concretizza in alterazioni sia della ownership (le esperienze che vivo non sono mie), che della agency (i miei atti fisici e psichici non sono miei).
Kimura pone invece maggiormente l’accento, nel definire il nucleo patologico della schizofrenia, nell’alterata relazione fra matrice noetica ed empirica (noematica) dell’Io, che rende complicato il passaggio dall’immediatezza alla mediatezza.
Il paziente è quindi costretto ad un costante sforzo nell’osservare se stesso impegnato ad esperire o pensare, in una sorta di sdoppiamento soggettivo. La dimensione intersoggettiva è di conseguenza alterata, sia in senso di percezione del mondo esterno come ostile ed invasivo, sia nella difficoltà di definizione dei limiti del proprio Sè.
A questo proposito Kimura scrive di un suo paziente: ‘le sue parole suggeriscono chiaramente l’Io come un’entità che rimane identificabile dall’esterno e riconoscibile come un oggetto, egli parla di oggetti che sono ‘dentro me’ e ‘con me’ (Kimura, 2001, p.332). Compito del terapeuta è quindi cercare di colmare questo gap intersoggettivo, proponendosi come l’Altro autentico, con un senso del proprio Sé adeguato e ben definito.
Il post-festum e l’intra-festum’: le condizioni melancolica, borderline e maniacale
Kimura riprende le caratteristiche del typus melancholicus di Tellenbach (Tellenbach, 1961), definendo la depressione melancolica come un disturbo di mondanizzazione dell’Io. Il paziente melancolico sente forte le sensazioni di dovere verso la comunità, di dovere e di rimpianto verso il passato. L’identità è dominata dall’altro generalizzato, ovvero dall’insieme delle aspettative sociali e di contesto interiorizzate.
Si assiste in questo caso ad una sproporzione antropologica verso il post-festum, dove tutto ciò che definisce la soggettività è già accaduto, in modo definitivo. Il futuro non è più il tempo del divenire, ma del già fatto e del già deciso. L’Aidà è alterato nel senso che l’interpersonale primeggia rispetto all’individuazione del Sé autentico.
Allo stesso modo il linguaggio ne ripropone i tempi salienti: il termine avere prevale sull’essere, sia in senso di ausiliario del passato (per definire il già compiuto), che come sinonimo di dovere. Viene inoltre spesso usato il si, inteso come l’insieme anonimo delle convenzioni e delle abitudini. È presente un carattere di irrimediabilità del passato, costellato da senso di colpa ed errore, venendo ad essere completamente perse le possibilità esistentive del futuro e l’anticipazione.
Antropologicamente, la schizofrenia è caratterizzata dall’anticipazione, mentre la depressione melancolica è definita dalla conferma di un passato irreparabile in un futuro non definibile.
L’intra-festum, secondo Kimura, significa essere assorbiti nella pienezza del presente attuale. Il paziente borderline vive una frammentazione temporale ed ha perso la capacità storico-narrativa di organizzare il proprio esistere. Si ha quindi una continua ricerca dell’immediatezza e dell’esperienza pura, del qui ed ora. Si persegue il soddisfacimento immediato dei propri desideri, senza però un progetto ed una direzione stabile. A questa incapacità storico-organizzativa fanno capo i comportamenti tipici del paziente borderline, che sono volti alla ricerca dell’immediatezza, come le tendenze manipolative, l’abuso di sostanze e i comportamenti impulsivi. Ogni soddisfazione è quindi effimera perché alla base vi è la mancanza di un progetto, di una finalizzazione verso il futuro.
Da queste considerazioni si può dedurre che è essenziale, ancora più che nelle altre condizioni, garantire al paziente borderline una figura curante presente continuativamente nel tempo, che funga da ‘depositario’ della memoria del paziente, avendo il paziente una difficoltà nell’organizzazione narrativa della propria temporalità.
Anche in questo caso l’Aidà viene ad essere alterata, le relazioni intersoggettive non vengono esperite come vere, ma l’altro diventa un mezzo per soddisfare i propri bisogni.
La minaccia impellente percepita è quella di abbandono, visto come una frustrazione del desiderio imperante di immediatezza, tale da lasciarlo in un vuoto insopportabile.
Nelle fasi maniacali, allo stesso tempo, vi è una sproporzione temporale con prevalenza dell’intra-festum, con il trionfo del momentaneo e la temporalità è divisa in piccoli frammenti. In altri termini, si ha un ‘contatto fissionale con il Tutto’ (Kimura, 2005a, p.105), è il momento ‘dentro la festa’ per antonomasia.
Kimura Bin ha avuto quindi due grandi meriti. Come altri psicopatologi ha posto l’accento sul ruolo delle alterazioni della temporalità nei diversi quadri morbosi, con riflessioni che possono fornire dei risvolti clinici molto importanti. Il secondo merito è stato quello di unire le influenze della cultura orientale e del pensiero buddhista, con le idee del pensiero fenomenologico-esistenzialista occidentale. Le sue opere sono pervase da un’atmosfera mistica, che deriva dalla lunga pratica zen da lui messa in atto. Il messaggio di fondo del sua pensiero è l’invito all’immediatezza serena, con l’entrata in una dimensione spirituale immersa nel qui ed ora, che garantisce una migliore qualità della vita personale. Scopo del terapeuta è quindi quello di aiutare il proprio paziente a un migliorato rapporto con la propria temporalità, mediante il proprio intervento, che sia farmacologico, riabilitativo o psicoterapeutico.
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