Psicologia

Note sul mondo oncologico

Uno psicologo fenomenologicamente orientato

Uno psicologo fenomenologicamente orientato

Ecco, sono qui, dove la terra trema, in un continuo ed incessante movimento sussultorio ed ondulatorio, dove ciò che sai ed hai imparato, dopo anni di incessanti studi, non appare come ciò che dovrebbe essere. Ti aspetti animi inquieti, fronteggiare la morte con spade e scudi al posto di artefatti più moderni. Con il coltello tra i denti immersi nella palude melmosa che si avvinghiano ai tronchi per restare a galla. Niente di tutto questo, certo la paura c’è, lo stress anche, la rabbia pure. 

Mi muovo tra l’incarnazione del surrealismo. Dove le persone assumono forme nuove non solo contaminate dalla chimica delle terapie. Dove il tempo rifugge ad un futuro incerto. Dove le ombre si aggirano con le loro immagini PET, TAC e RNM. Dove l’“io sono” lascia il posto all’“io ho” con le sue sigle incomprensibili al senso comune, che attribuiscono una sorta d’identità. Dove l’altro diviene, agli occhi del paziente, talvolta il guaritore sciamano, talaltra Caronte il traghettatore, talora la Beatrice di Dante, restando sempre e comunque Santiago che affronta il grande Marlin così come Hemingway lo propone. Dove il corpo vivente, la carne viva, quella che non si distingue da una psiche troppe volte rilegata ad una non ben chiara res cogitans, si manifesta onnicomprensiva del suo essere come un cielo nuvoloso squarciato da un lampo e del suo essere come trafitta dal lampo che non vuole lasciare il campo nonostante il tuono sia sopraggiunto. 

Ora, più che mai, mi accorgo quanto il vitale sia potente, destando sconvolgimento all’indomani dell’impetuoso verdetto diagnostico, una sorta di atmosferica confusione, come quella in cui si ritrovò Leopardi e che lo portò a trascriverla nella poesia “L’infinito”. Un vitale che non trasforma l’uomo nel generale Massimo Decimo Meridio, costretto a battersi nelle arene per poter raggiungere la libertà negata. Un vitale che dal profondo endogeno, da ricercare nella stratificazione emozionale di Max Scheler, risuona e lascia desti. Certo ti accorgi come il tipo leptosomico, volendo rispolverare le dimensioni costituzionali di Kretschmer ma non in chiave esclusivamente somatiche bensì, potremmo dire, psicosomatiche, sia più incline a separare da sé quanto stia accadendo; rispetto a quanto capiti al picnico, dove la condizione clinica amplia, amplifica, e talvolta altera il già traballante umore. Si manifesta davanti agli occhi, quanto l’angoscia che insorge quando ci si ritrova gettati in una situazione limite, scuota a tal punto, in maniera sconvolgente, tanto da scatenare una reazione sia ontologica esistenziale, incidendo sul proprio essere, sia ontica fattuale, incidendo sullo stare al mondo, traducendosi in una metamorfosi sul piano, potremmo dire, dei sentimenti, che permette un ricostituirsi, non come guerrieri, bensì come i Naviganti di De Crescenzo, alla ricerca della propria anima con cui poter invecchiare. 

Loro mi hanno mostrato quanto la vita non sia nel kronos. Quanto lo spazio non sia nelle forme date. Quanto il mondo sia in continuo divenire e non statico come le nostre categorie e dimensioni diagnostiche.

Io che pensavo, corrotto dal pregiudizio indotto dal senso comune, di dover assistere alle nefaste vicende degli ultimi giorni di Pompei, mi sono ritrovato nel dipinto “Metamorfosi di Narciso” di Dalì.

Giuseppe Ceparano

Psicologo e psicoterapeuta ad orientamento fenomenologico-antropoanalitico. Psicologo e Psicoterapeuta presso ASL NAPOLI 2 Nord - UOSD Oncologia P.O. San Giuliano. Coordinatore Osservatorio Permanente sul Bullismo del Comune di Mugnano di Napoli. Già responsabile del servizio di Psicologia dei centri di emodialisi Kidney s.r.l. In formazione permanente presso la Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica. Autore di articoli e pubblicazioni e del testo “Quartiere Kidney”.

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