1. Questo contributo si focalizza su alcuni aspetti psicopatologici del tempo (distorsioni) che sono messi in risalto dalla prospettiva clinica e terapeutica. L’obiettivo è di evidenziare come il tema della sofferenza oscura possa essere affrontato, terapeuticamente, mediante l’analisi del dispositivo temporale che emerge dall’affettività (pathos) e durante una relazione duale (paziente/terapeuta).
In realtà cosa occorre fare per mettere in moto una “immagine temporale” per modellare, incessantemente, il mondo del paziente, sino a indirizzarne le esperienze di cura? In campo psicologico lo scorrere diadromico del tempo interiore può essere avvertito nel paziente come: a) un flusso rapido, accelerato o rallentato (“come se” il futuro immediato, istintivamente, precipitasse in un vortice); b) una perdita o allentamento della coscienza del tempo vissuto (la coscienza del tempo si riduce a una percezione minima di “presente”, dandoci la sensazione di sospensione, vuoto, assenza, mancanza del tempo (in taluni casi si perde il legame percettivo con il senso vitale dell’esperienza svolta e scompare la vigile e attenta coscienza del flusso); c) una perdita della realtà del tempo o stato confusionale (tempo diadromico che scorre di qua e di là); d) un arresto del senso del tempo: trattasi di una condizione psichica legata alla sensazione che le cose siano immobili, mai in divenire.
2. Al di là di tali riflessioni un inquadramento teorico minimo sul tempo vissuto, nel campo della cura, non può che partire dal campo psicologico-psichiatrico, da chi ha posto le basi per un rinnovamento operazionale verso la cura (Bergson, Husserl, Heidegger, Binswanger, V.E. von Gebsattel, Borgna, Piro, Callieri, Minkowski). Nel campo psicologico-psichiatrico è possibile ritrovare una vasta letteratura sul tempo vissuto dal Novecento sino ai giorni nostri: psichiatri, psicopatologi, psicologi, neurologi e filosofi si sono posti la questione del tempo umano per tentare di comprendere la relazione tra persona (paziente) e tempo (la vita interiore, l’esistenza, l’accadere dell’accadere). Anche tale saggio, collocandosi nel solco degli interrogativi aperti da molteplici letture (Piro, Masullo, Borgna, Heidegger, Minkowski e Husserl), e confrontandosi occasionalmente con esse, mira a ripercorrere alcuni aspetti clinici, per dissodare formule e illustrare una comprensione unitaria e coerente dell’intricato rapporto che la persona instaura con la sofferenza oscura e con la coscienza del tempo:
Questo rinvio concerne in primo luogo gli oggetti temporali, passato, presente, futuro, e inoltre tutti gli “oggetti” psichici intenzionali, gioia, dolore, giudizio, sentimento e desiderio, e i fenomeni che li costituiscono, a essi correlati ‘nella coscienza interna’. [1]
Anche in tale scritto si farà uso della fenomenologia che viene intesa, per chi scrive, come un “pre-testo” per una analisi dei fenomeni psichici della coscienza temporale, per come essi si danno nel campo della sofferenza oscura. Tali aspetti clinici non mirano a ridurre i fenomeni ad interpretazioni originali, ma al contrario a poterli comprendere, anche sotto il profilo esistenziale e antropologico. Interessante appare, come scritto in altri lavori, il tema del «dispositivo delle distorsione temporali individuali». Ma come si manifestano i fenomeni del tempo interiore nella coscienza riflettente del paziente (e nel terapeuta)? Che ruolo svolge, durante una terapia (relazione duale paziente-terapeuta), empaticamente la percezione, entro i limiti conoscitivi con cui si offre nostra esperienza di vita? L’interesse per la sofferenza oscura del paziente, in relazione al tempo vissuto, è in fondo un elemento costante del lavoro terapeutico nel campo psicologico e psicopatologico.
3. Saper “patrimonizzare” il tempo interiore si direbbe utile in ogni sorta di terapia:
Tutta la nostra vita, come presenza evidente, è il risvegliarsi e il chiarirsi del passato: è temps retrouvé. La verità che dormiva si trasforma, diventa verità tipica, figura essenziale. Ma continua, risvegliandosi, a cercarsi, a correggersi nelle reciproche relazioni che la costituiscono, a cercare un compimento, un telos. [2]
A volte, nei riguardi del paziente, durante una seduta terapeutica, si avverte la sensazione del non-poter-più procedere nella narrazione del futuro (tempo fermo della tristezza-angoscia). Anche il narrare un evento futuro implica un collegamento con il tempo presente (“sono qui e penso a ieri”). In alcuni casi clinici la percezione del vissuto del paziente mostra un inaridirsi del futuro (il tempo scompare dall’orizzonte degli accadimenti e diviene vuoto, privo di significato).
Lo scorrere del tempo è palese per ciascuno di noi: i nostri pensieri e il nostro parlare esistono nel tempo, la struttura stessa del nostro linguaggio richiede il tempo (una cosa “è”, oppure “era”, oppure “sarà”). [3]
Negli stessi pazienti, ostaggi di una sofferenza lacerante e oscura, tuttavia può sopravvivere un minimo legame con la dimensione del presente (ansia del presente) o del passato (tristezza del ricordo). In talune circostanze il tempo interiore appare risucchiato, sospeso, insignificante, andare a zig-zag, bloccato o divorato mentre il desiderio di cura, di fronteggiare il limite personale, scompare dai progetti esistenziali: il malessere, l’inquietudine, il tremore verso ciò che accade, l’incertezza di compiere una azione, di dar vita a “cose nuove” prendono sempre più spazio interiore, mentre il ricordo (il tempo che non possiamo ritrovare se non nel nostro passato) non dà tregua, alimentando le esperienze della colpa o del rimpianto. Dinanzi alle esperienze del limite si muta la percezione del vissuto temporale:
La specie del tempo del passato e del futuro hanno questo di proprio, che non determinano gli elementi della rappresentazione con cui si collegano, non si comportano come modi ulteriori che vi si aggiungono, bensì li alterano. [4]
Dinanzi a tali scenari di sofferenza possiamo incentivare nel paziente, mediante un dialogo costruttivo, la consapevolezza dei processi della coscienza del vissuto temporale, mettendo in risalto i punti critici del dispositivo temporale, come ad esempio nel caso del paziente con malinconia. Possiamo aiutare il paziente depresso o ansioso a comprendere: 1) gli accadimenti “scatenanti” nel tempo presente (adesso, istante, qui e ora) che favoriscono l’esperienza malinconica (in questi casi è utile evidenziare gli accadimenti, i ricordi, le suggestioni, le circostanze e le percezioni cognitive che fanno “andare indietro nel passato”); 2) le unità immanenti nel tempo pre-malinconico (le fasi e le circostanze attive prima che si verifichi uno stato di depressione); 3) l’assoluto flusso di coscienza “vuoto” costitutivo del tempo interiore della malinconia (in taluni casi ci si sofferma sul “senso d’inutilità” che il paziente vive rispetto agli accadimenti del tempo presente). Come afferma Husserl:
nella presenza (umana) c’è il reciproco implicarsi della ritenzione del passato e della protensione del futuro», e, sotto il profilo ontologico-esistenziale, come direbbe Heidegger, «il tempo è costitutivo dell’esistenza il cui passato rinvia al suo essere gettata nel mondo (Geworfenheit) in vista di un progetto (Entwurf) in cui si esprime il suo futuro.
Ed è all’interno di questo ordine di problemi che nasce la prospettiva originale con cui Husserl, dopo aver dato vita alla fenomenologia, affronta il proprio compito: indagare sulle “cose stesse”, cioè sugli oggetti (logici, matematici, ma poi anche di altro tipo) senza presupporre alcuna teoria già precedentemente elaborata proprio in quanto ogni teoria disponibile sembra contenere errori o tesi inaccettabili.
4. Tutta la riflessione elaborata da chi scrive prende spunto da Husserl (e poi da Heidegger, Piro, Borgna, ecc.). Il tema del tempo interiore è una questione realmente utile anche se complessa e difficile, che delimita a sua volta una costellazione di altri problemi distinti e irrisolti quali la sofferenza oscura, la «cronodesi fondamentale», l’opposizione tra tempo vissuto e tempo come durata, solo per citarne alcuni, ed è argomento ampiamente dibattuto. Il tempo interiore è un fenomeno fondamentale della vita che riguarda ogni persona (e quindi non solo i pazienti psichici) ed è la materia (invisibile e sempre presente) della vita interiore, del flusso della coscienza. La cura è quindi un percorso di miglioramento delle trame distorsive temporali (emotive, cognitive). Per comprendere in che cosa consiste l’essenza di una “buona prassi” è necessaria individuare e accogliere le narrazioni delle trame temporali del paziente (il parlato, le rappresentazioni del tempo, gli effetti di tali rappresentazioni sulla persona, i processi cognitivi in atto tali da cogliere e percepire, interiormente, il vissuto temporale).
Un altro modo di porre il problema è chiedersi cosa sia il “presente”. Diciamo che le cose che esistono sono quelle nel presente: il passato non esiste (più) e il futuro non esiste (ancora)
5 Fra le pratiche trasformative, a partire dal Novecento, troviamo varie tecniche tese alla comprensione del tempo vissuto. Si va dalle tecniche che mirano all’interpretazione delle narrazioni del paziente nel tempo presente, al “raccoglimento” di alcuni aspetti psichici nella terapia, alle tecniche cognitive o strategie di contrasto alla sofferenza psichica (perseveranza/apprendimento). In alcune terapie le pratiche di auto-analisi e di trasformazione personale implicano che si operino atti intenzionali come il concentrarsi sul tempo presente («qui e ora»), oppure come il ricordare accadimenti personali per riprendere e ricollegare il passato al futuro.
Durante alcune prassi terapeutiche si cerca di analizzare ogni accadimento passo dopo passo, al fine di descrivere e interpretare il «vissuto dell’istante». In tali operazioni il tempo vissuto rimane una delle dimensioni fondamentali di quel profondo psichico mobile tra la coscienza e l’inconscio che vive nella realtà psichica ed esistenziale:
Il pensare è sempre un costruire, un disegnare scenari e, dunque, ciò che diventa manifesto quando parliamo delle esperienze psichiche non è mai l’esperienza in sé ma ciò che ne pensiamo mentre parliamo. [6]
Ogni qual volta si cerca, nella clinica, di comprendere il tempo interiore, esso è, per così dire, già qui nel patire, nel tentativo di andare oltre ogni accadimento umano, oltre la sofferenza psichica.
5. Non vi è alcuna esperienza nella quale il tempo non sia narrato nella vita personale e intersoggettiva (che ci sia dato come tale) e non esiste un punto zero della coscienza fuori dal tempo percepito (non esiste una persona senza tempo): la coscienza può ritagliarsi, certamente, un punto di partenza per cominciare a osservare il decorrere di una durata ma tutto ciò è pura illusione.
Noi siamo sempre centrati nel presente, le nostre decisioni si diramano da esso; pertanto, tali decisioni possono sempre essere messe in rapporto con il nostro passato, non sono mai immotivate e, se aprono nella nostra vita un ciclo, che può essere interamente nuovo, esse devono poi essere riprese, non ci salvano dalla dispersione se non per un certo tempo. Non c’è dunque un motivo di dedurre il tempo dalla spontaneità. Noi non siamo temporali perché siamo spontanei e perché, come coscienze, ci strappiamo da noi stessi, ma viceversa il tempo è il fondamento e la misura della nostra spontaneità: il poter di passare oltre e di “nullificare” che ci abita, che è noi stessi, ci è dato anch’esso con la temporalità e con la vita. [7]
Tutto questo implica che la sofferenza del paziente è data dalla modalità del percepito, dal modo in cui vive il tempo vissuto (rappresentazione mentale), dal modo di descrivere le visioni del mondo e i vissuti (il linguaggio sul tempo) e dal “valore” che la persona depone nel “tempo-durata” nello spazio vissuto (corpo/spazio). Riguardo allo scorrere del tempo (durata) ogni persona elabora un criterio di giudizio/valore (per alcuni, ad esempio, il dover fare in fretta senza perdere tempo sono un valore fondamentale per giungere a un obiettivo personale). Qualunque sia la storia del paziente, la struttura, la genesi, la diagnosi, il modo d’essere, il tempo interiore, cosi com’è inteso, colto e interpretato dal paziente, è insieme un dispositivo, una condizione inevitabile del pensare a se stesso e, poi, un momento reale del mondo in direzione del futuro.
Viviamo nel tempo e il tempo e la nostra materia, ma su di esso non abbiamo alcuna sovranità, solo il presente sembra appartenerci, ma il presente è e l’attuazione istantanea di un attimo che subito sfugge. La qualità del nostro esserci e quella del continuo divenire; il divenire è il prorogarsi d’istante in istante, e ogni istante in cui si diviene si porta via una goccia di essere. Siamo dunque mancanti d’essere e non c’è nulla, nella condizione umana, che dia garanzia di diventare il proprio poter esse, siamo una serie di possibilità, ma il possibile non è già l’essere. Il nostro essere è un continuo divenire e questo divenire non è un semplice fluire nel tempo, ma un trovarsi interamente assorbito dalla preoccupazione di essere; che è preoccupazione non solo di conservarsi nell’essere ma anche di divenire il proprio essere possibile. [8]
6. Nella cura della sofferenza oscura, occorre ricordare, è fondamentale aiutare il paziente a comprendere (e vivere) i molteplici modi che il tempo interiore assume nella vita quotidiana: i moti/modi interiori in cui il tempo è vissuto, narrato, percepito, rappresentato, interpretato durante gli stati di sofferenza. Il tempo interiore è un dispositivo della coscienza vitale, una struttura identitaria invisibile, non percepibile solitamente del paziente (se non quando, durante una terapia, ci si sofferma a descrivere le modalità), sulla quale si stagliano le visioni del mondo, gli stili di vita, le convinzioni personali, le varie emozioni, le parole, le forme relazionali (i modi d’interagire con gli altri). Il tempo è la struttura oggettiva che unifica la pluralità delle sensazioni vitali che attraversiamo nella vita. Porsi al di là del tempo vissuto appare impossibile. Infatti:
ogni cosa che appare originariamente, anche se appare in un contrasto, ha perciò la sua posizione temporale determinata: cioè essa non ha solo in sé un tempo fenomenale, dato nell’oggettività intenzionale come tale, ma anche il suo posto fisso nell’unico tempo oggettivo [9]
Noi siamo posti nel tempo. La vita è fatta di tempo. Che si desideri e che si riesca a dare senso al tempo della propria vita non è cosa scontata. Si può apprendere a dare direzione e ordine al proprio camminare nel tempo, ma può anche non accadere: può succedere che il proprio esserci, anziché espandersi lungo le differenti direzioni attuative che si rivelano possibili, si contragga fino al punto che la persona si senta diminuita nel proprio essere. Ciò accade quando ci si lascia diventare meri spettatori della propria vita accettando di limitarsi a viverla così come diviene, senza assumersi la responsabilità di intraprendere quelle azioni di fabbricatura dell’esserci necessarie per dare una buona forma al proprio tempo anche quando ci si avvede che va sgretolandosi in frammenti privi di senso. Il diventare soggetti del proprio esistere implica decide e di assumersi i proprio carico ontologico, per non lasciare che il tempo, semplicemente, passi senza che nessun filo di senso possa essere disegnato nello spazio seppur breve del proprio divenire. [10]
7. Mentre gli psicologi tendono a descrivere il tempo vissuto durante una condizione di sofferenza, i fisici, da Einstein in poi, ci hanno spiegato che il tempo è un’illusione.
Noi siamo sempre centrati nel presente, le nostre decisioni si diramano da esso; pertanto, tali decisioni possono sempre essere messe in rapporto con il nostro passato, non sono mai immotivate e, se aprono nella nostra vita un ciclo, che può essere interamente nuovo, esse devono poi essere riprese, non ci salvano dalla dispersione se non per un certo tempo. Non c’è dunque un motivo di dedurre il tempo dalla spontaneità. Noi non siamo temporali perché siamo spontanei e perché, come coscienze, ci strappiamo da noi stessi, ma viceversa il tempo è il fondamento e la misura della nostra spontaneità: il poter di passare oltre e di “nullificare” che ci abita, che è noi stessi, ci è dato anch’esso con la temporalità e con la vita [11]
Nella psicoterapia della sofferenza oscura la centralità della cura è posta al tempo vissuto, al suo costituirsi come un dispositivo della coscienza e dell’identità: tale dispositivo psichico della coscienza pervade e sostiene (o impedisce) il vivere, il comprendere il mondo.
In primo luogo il patico si differenzia dall’ontico: in ragione di ciò il rapporto della vita col vivente non è mai un rapporto tra cose ma sempre un rapporto di dipendenza riferita al rapporto di fondo. In secondo luogo il patico è personale: «se si prova a separare le asserzioni patiche dall’”io”, ci si accorgerà immediatamente che quest’ultimo può venire senz’altro sostituito con “tu”, “egli”, “noi”, ecc. al contrario, la frase diventa insensata quando si fa ricorso a cose inanimate: una pietra, cioè un “esso”, non vuole né deve». Gli esseri viventi, inoltre, s’incontrano e non si trattengono in uno spazio, creano eventi, divengono. Insomma sono percorsi da una componente antilogica: «il vivente è sempre qualcosa di permanente che muta – come l’uomo. [12]
Nella vita di tutti i giorni sperimentiamo razionalmente (e raccontiamo) lo scorrere del tempo come un copione fisso e rigido, altre volte come flusso irreversibile, altre volte oscillando tra un prima e un dopo, tra il «presente nel passato» e il «presente nel futuro, tra memoria e attesa.
8. Mentre il tempo come durata è già presente a noi (appare sin dalla nostra nascita tramite le parole, i segni del corpo, le interazioni con le persone) il tempo vissuto invece è frutto delle varie esperienze, costruzioni e rappresentazione sociali, individuali, anche linguistiche degli accadimenti umani. Alcuni accadimenti umani, in determinate circostanze, lasciano delle tracce sul senso di percepire e interpretare il vissuto. La soggettiva percezione del tempo vissuto (o le sue distorsioni) prende forma attraversano le esperienze e le impressioni che, durante la vita, proviamo a comprendere.
Nel fenomeno tempo, cioè nel vissuto temporale, il tempo non è un oggetto d’intenzione, un ente, rappresentabile nel continuo della sua unità, che l’io prende di mira, ma il modo della coscienza in statu nascendi, ovvero la cacciata dall’inconscio paradiso dell’identità, il repentino venire colpito, l’essere bersaglio di un impersonale accadere della differenza che, gratuitamente cioè senza ragione mirando al cuore della vita, fa centro e ne rompe l’unitaria coesione. [13]
9. Fondamentale, per ogni paziente, appare il potersi soffermare sul tempo presente, per meglio dire, sui flussi intermittenti del presente (atomo). L’esperienza della sofferenza oscura è il manifestarsi stesso delle “cose” nel tempo presente, «nel tempo e con il tempo», il loro apparire, il darsi nell’evidenza percepita alla coscienza, luogo ultimo di ogni comprensione psichica.
Minkowski afferma che, quello che conta in campo psicologico e nella cura, non sono le categorie logiche (tra cui il linguaggio) con cui oggettiviamo il mondo ma il modo di viverlo interiormente (tempo vissuto). Ogni paziente vive, sulla propria pelle, tale esperienza del tempo interiore incarcerandola nella sofferenza (e cosi muta la percezione del vissuto).
Nell’attività tendiamo verso l’avvenire, nell’attesa, invece, viviamo il tempo come in senso inverso. Vediamo l’avvenire venire verso di noi e attendiamo che divenga presente. [14]
In campo psichico è constatabile una differenza qualitativa tra il vissuto (la «narrazione patica») del passato e il futuro, che non possono essere messi sullo stesso piano della coscienza: il futuro-attesa porta con sé quella creatività (novità) di cui il passato (ricordo) è privo. Al futuro è inoltre connessa quell’attività, che non ha il suo contrario nella passività/inutilità ma nell’attesa.
L’emozione, in cui consiste il tempo – l’avvertimento «destabilizzante» di repentini cambiamenti, l’irrompere della differenza in noi –, frantuma l’inerte identità dell’ente, ne distrugge l’apaticità, mette in moto la dialettica dell’altro nel sé di ognuno, e di ognuno nel sé dell’altro. Ogni uomo è non un ente inerte, un apatico. Al contrario, egli è un esistente, ed è entro se medesimo esposto alle inquietanti relazioni con altri, nutrito dalle corrispondenti emozioni, radicalmente patico. La paticità insomma è costitutiva di ciò che non è semplice vita ma esistenza. Come fenomenalità di tutti i fenomeni, l’illuminazione patica sfuma dall’una all’altra di almeno tre potenti tonalità emotive: la pena del «sé lacerato» (dalla violenza del tempo), il timore del «sé assoggettato» (al capriccio del caso), la vergogna del «sé esposto» (allo sguardo dell’altro e alla inevitabile sfida del rapporto con lui). Nella vertigine patica, sotto l’imperio del tempo, ci si ritrova comunque sempre da capo presso una soglia del nuovo, soli nel deserto di un assoluto «inizio». Tutto si ripete, nulla dura. Si danno infinite repliche, ma nessuna identica. [15]
Come scrive Borgna, il tempo nella cura assume man mano diversi stati di sofferenza nel paziente in base al tempo interiore:
Se non conosciamo come il tempo (ovvero, l’esperienza soggettiva del tempo, il tempo vissuto) si snoda nelle diverse forme di sofferenza psichica, in particolare in una depressione – che è la forma patologica della malinconia, in cui il tempo si spezza, il futuro si dissolve, e il presente è divorato dal passato -, in una esperienza maniacale – forma di vita bruciata da una euforia senza confini, in cui il tempo vissuto si sfilaccia e si scompone in mille frammenti, che non hanno più né passato né futuro, solo un presente senza storia – e in una schizofrenia – la più oscura e delfica delle malattie psichiche, nella quale il tempo si frantuma in misura ancora più radicale e profonda, non salvandosi nemmeno la dimensione monadica del presente – sì, se non conosciamo questi sbandamenti del tempo interiore, del tempo vissuto, no potremo mai entrare in relazione di cura con queste forme di sofferenza psichica. [16]
È facile intuire così come la coscienza umana, non solo nella sofferenza psichica acuta o cronica, è radicata nella temporalità del dasein aperto al mondo della vita, agli accadimenti umani. Il «tempo del mondo» è lo stesso tempo della coscienza poiché entrambi sono espressione del tempo. Tale aspetto della temporalità durante una psicoterapia assume le sembianze di un «movimento semantico-emotivo dell’intenzionalità», un movimento personale, temporale (da… a…), «un movimento operativo-prassico».
10. La sofferenza oscura vive nella coscienza riflettente attraverso le impressioni, le autosuggestioni, la percezione, la molteplicità sensibile, l’esperienza precedente. Questa molteplicità di vissuti ha però bisogno di un’organizzazione psichica basata sulla temporalizzazione interna. Tale disposizione è costruita dal paziente stesso, inconsapevolmente, che configura l’oggetto “tempo interiore”, dando senso e significato alle varie dimensioni nel «vivere presente». L’atto intenzionale della sofferenza è dunque un atto temporale di conferimento di senso da parte della coscienza. Dobbiamo allo scienziato Varela[17] la comprensione della natura del presente. Per costui per ciò che riguarda la durata dell’«adesso», vi sono tre diverse consistenze: dai decimi di secondo dell’attivazione neuronale, al secondo o poco più dell’«ora», a quello sostanzialmente molto variabile che riguarda le narrative personali. Per Varela affinché il presente abbia un significato per la coscienza, esso deve avere una durata che non può comporsi d’istanti: la coscienza avrebbe un bel da fare, infatti, a cucire insieme le discontinuità dei vissuti interiori. Il presente non è un istante: è sempre una durata che, per il paziente, è possibile dividere in prima e dopo. L’adesso non è un punto o un oggetto, ma un campo visuale e una interpretazione percepita (per chi scrive un «dispositivo psichico»), un luogo strutturato secondo il modello del centro e della periferia. Ora l’intera esperienza vissuta non può che apparire se non come spazializzata di eventi, ricordati, aspettati, o raccontati, collocati, messi in scena, da parte del paziente, come eventi inquadrati da coordinate spazio-temporali.
L’orientamento al presente può essere edonistico, centrato sui piaceri, sul gusto del rischio e sulla ricerca di sensazioni, oppure fatalistico: inutile cercare di controllare ciò che accade, la vita è destinata ad andare in un certo modo, qualunque cosa facciamo. Si può guardare al passato in chiave positiva, ricordando i bei tempi andati, la famiglia e la tradizione, o in chiave negativa, rievocando abusi, fallimenti e occasioni perdute. L’orientamento al futuro può implicare scopi da perseguire, scadenze da rispettare, traguardi da raggiungere, o può riguardare un futuro trascendente nel quale ciò che più importa è la vita spirituale dopo la morte del corpo. Questi sei orizzonti o schemi temporali coprono gran parte di quel che si intende per prospettiva temporale. [18]
Il paziente è proiettato verso la protensione del futuro, al riempimento di senso e significati nel presente. Tutto ciò diventa, immediatamente, ritenzione dell’«appena accaduto». Poi si ricomincia a ogni istante, all’infinito, sino a che la coscienza è desta, vigile, attenta. In ogni terapia prima del flusso c’è sempre il flusso, prima del tempo vissuto vi è sempre il tempo percepito.
Il passato, il presente e il futuro si intrecciano e si lacerano, si frantumano, senza che sia possibile coglierne le ragioni: e, ancora memoria e speranza, passato e futuro, si mescolano l’una con l’altra: senza che sia possibile distinguerle. [19]
Al vissuto (pathos) della coscienza, dunque, spetta l’onerosa di mettere ordine alle oscillazioni del dispositivo temporale, ad articolare e svolgere, in virtù della propria «mediazione atemporale», quel nesso processuale, non privo di contraddizioni, che collega il vivere al saper vivere, l’essere al poter divenire, il farsi storia di ogni accadimento umano all’esperienza.
Ogni Io vive il suoi vissuti e li generalizza, li designifica di individuale determinazione, li annulla. [20]
11. Ciascun paziente attiva vivendo, in un certo senso, un’esperienza soggettiva volta a saggiare la capacità del tempo vissuto. A ciascun paziente tocca collegare insieme la dimensione del presente con l’esperienza della trasformazione/mutamento personale (il divenire), tentando, con fatica, di vivere quell’apertura alla cura come momento necessario nell’immersione temporale. Solitamente possiamo notare, durante una psicoterapia, come per il paziente il futuro costituisca uno stato di sofferenza inesauribile, di minaccia (orizzonte chiuso): gli accadimenti umani non hanno futuro. A esprimere il malessere è un duplice «non-essere»: il «non-essere nel presente» e un «non essere nel futuro». Tutto ciò che accade, è la possibilità di non-essere. Per questo il futuro del paziente è sempre attraversato da un vissuto d’ansia e di trepidazione che si fa più evidente quando l’avanzare del passato rende impossibili tutti i possibili percorsi che potevano dischiudersi ai lati del sentiero percorso. Ora le decisioni future danno al passato un senso definito, in forza di un certo avvenire, in base al quale si dirà, a cose fatte, che il passato ne era la preparazione. La comprensione del tempo vissuto diventa così condizione dell’emergenza e della rinascita terapeutica, poiché, riflessione interiorizzante capace di sintetizzare ciò che accade da ciò che potrebbe accadere.
Quando lasciamo che il passato ci parli, per prima cosa dobbiamo dire che il suo principale valore non è da ricercarsi nel tempo in cui esso si svolge, ma nella nostra esistenza presente… Il valore del passato quand’era “presente”. [21]
Per terminare tale scritto, in via provvisoria, l’analisi personale del mondo percettivo e delle distorsioni temporali di alcuni pazienti ci mostrano che cosa significhi, durante la cura, potersi disporre sul terreno del tempo vissuto nel presente (l’immanenza), nella previsione del futuro (ciò che posso realizzare) dell’esperienza (pre-cognizione) rispetto ai luoghi della sofferenza oscura. Il punto di svolta, per tale comprensione della sofferenza oscura, secondo chi scrive, è il dispositivo temporale (la riflessione del vissuto, la pre-comprensione e la comprensione che il paziente attua rispetto al suo tempo presente, la rappresentazione mentale del tempo vissuto, le strategie cognitive per compensare un presunto guasto del flusso della vita, l’automonitoraggio). Il paziente avrà sempre dinanzi a sé la duplice scelta: negare ogni accadimento del tempo presente oppure attraversare il tempo vissuto nel flusso di coscienza nella ritenzione, presentazione e protensione.
Note
1 Binswanger, L. (2015). Melanconia e mania. Studi fenomenologici. Torino: Boringhieri, 23.
2 Paci, E. (1961). Diario Fenomenologico. Milano: Bompiani, 15.
3 Rovelli, C.(2014). Sette brevi lezioni di fisica. Milano: Adelphi, 64-65.
4 Husserl, E. (2002). La coscienza del tempo. Napoli: Filema, 21.
5 Rovelli, C. (2014). Sette brevi lezioni di fisica. Milano: Adelphi, Milano, 64.
6 Mortari, L. (2019). Aver cura di sé. Milano: Cortina, 38.
7 Merleau-Ponty, M. (1965). Fenomenologia della percezione. Milano: Il saggiatore, 545-552.
8 Mortari, L. (2019). Op.cit., 10.
9 Husserl, E., ES, § 38, 391.
10 Mortari, L. (2019). Op.cit.,13.
11 Merleau-Ponty, M. (1965). Fenomenologia della percezione. Milano: Il saggiatore, 545-552.
12 Von Weizsäcker, V. (1990). Filosofia della medicina. Milano: Guerini, 179-180.
13 Masullo, A. (2003). Paticità e indifferenza. Genova: Il Melangolo, 67
14 Minkowski, E. (1971). Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia. Torino: Einaudi,89.
15 Masullo, A. (2018). L’intoccabile tocco della coscienza di sé. Milan: Micro Mega on line 6 settembre 2018.
16 Borgna, E. (2019). Saggezza. Bologna: Il Mulino, 66-67.
17 Varela F. (1999) The Specious Present: A Neurophenomenology of Time Consciousness, in J. Petitot, F. Varela, B. Pachoud (a c. di), Naturalizing Phenomenology: Issues in Contemporary Phenomenology and Cognitive Science, Stanford, Stanford University Press: 266-329
18 Zimbardo P. e Boyd J. (2020). La nuova psicologia del tempo che cambierà la tua vita. Milano: Mondadori, 9-10.
19 Borgna, E. (2014). La solitudine dell’anima. Milano: Feltrinelli, 36.
20 Ciccarella, M. (2011). Idee per una fenomenologia dell’immanenza. La costituzione intersoggettiva della validità in Husserl. Napoli: Il Mulino, 38-39.
21 Van den Berg, J.H. (1971). Fenomenologia e psichiatria. Milano: Bompiani, 73