Alcune premesse di metodo
Uno dei padri della moderna informatica, Heinz von Förster, era solito dire che in principio era la discriminazione (von Förster, 2002). Ovvero, la regola prima della percezione e per estensione della conoscenza è discriminare un oggetto da un altro, in genere uno sfondo più ampio. Similmente Giulio Tononi (2008), neuroscienziato esperto di coscienza, suggerisce che questa emerga da una ricorsività tra differenziazione e integrazione. Essere consapevoli richiede la messa sullo sfondo di elementi maggioritari per focalizzarsi su alcuni di essi ed inserirli in una visione d’insieme.
Potremmo generalizzare dicendo che le basi dei processi di pensiero che tanto ci sembrano distintivi di noi umani si basano su delimitare il nostro agire conoscitivo. Si conosce in relazione a qualcosa e si conosce escludendo dal nostro campo percettivo la maggioranza delle cose conoscibili.
Questa premessa è addirittura generalizzabile alla vita stessa. I pensatori che hanno formulato le moderne basi della biologia, delle neuroscienze e dell’informatica avevano ben chiaro che ognuno di noi fa esperienza di quello che il proprio sistema (percettivo, conoscitivo, etc.) può fare esperienza. La libreria innanzi a me mostra un’ampia varietà di colori nei dorsi dei libri: rosso, nero, marrone, verde, blu. Se fossi un cane vedrei prevalentemente giallo e blu, mentre una mosca vedrebbe prevalentemente blu e verde. Per definizione gli esseri viventi su questo pianeta sono definiti da un range limitato di scelte, all’interno delle quali fanno esperienza.
In estrema sintesi tutte le possibilità che sperimentiamo sono delineate e possono emergere all’interno di vincoli specifici. Una stanza è comprensibile grazie alle sue pareti, una vita grazie alle cesure di vita e morte, una cellula grazie alla sua membrana.
Siamo dunque liberi?
Alcuni teorici hanno portato alle estreme conseguenze questi argomenti, arrivando a negare il libero arbitrio, o per meglio dire divertendosi ad insinuare il dubbio sulle nostre libere scelte. Un certo recente entusiasmo per i cosiddetti processi bottom-up porta avanti un’idea deterministica dei viventi in cui vi è una sorta di libertà ‘debole’ in cui i vincoli biologici la farebbero da padroni.
Al di là di certe posizioni, non so se minoritarie ma forse parziali nel modo di fornire un’immagine dell’agency umana, le neuroscienze, la biologia evoluzionistica e le scienze cognitive sembrano rimarcare il potere trasformativo del conoscere. Tale potere è presente a tutti i livelli (dall’attività neuronale a quella culturale) e delinea la possibilità di accedere alla costruzione di nuovi vincoli grazie a sperimentazioni all’interno di precedenti vincoli. Peter Ulric Tse (2015) fa un semplice esempio neuroscientifico: nel guardare una notte stellata il nostro cervello (o più specificamente i neuroni della nostra corteccia visiva) riconoscono solo punti luminosi su uno sfondo nero. Nel momento in cui noi apprendiamo che quella serie di stelle è definita costellazione e ripetiamo quell’esperienza, si creerà un sistema neuronale e conoscitivo in grado di riconoscere immediatamente quella costellazione e non vedere (a meno di uno sforzo intenzionale ripetuto) altre configurazioni di punti luminosi. In termini più ampi, i nostri sistemi linguistici e culturali non solo organizzano le informazioni, ma anche e soprattutto canalizzano quello che poi comprenderemo e come lo comprenderemo. Esempio recente è uno studio che ha mostrato come le lingue in cui più marcata è la distinzione grammaticale di genere si associano a più rigidi stereotipi psicologici di genere (Hofmann & Mõttus, 2025). E per quanto indagheremo non riusciremo a risalire ad una causa prima. Non perché non possa esistere un primato biologico o culturale in ambiti specifici, ma perché quel che è utile indagare è quali siano qui ed ora i diversi vincoli (biologici, culturali, etc.) e le diverse possibilità da essi circoscritte.
Vincoli e limiti educativi
Ricordo un’intervista ad Umberto Eco in cui questi affermava che cultura non è saper a mente lo scibile umano, ma saper dove cercare le informazioni utili. Questa sorta di laissez-faire non è pigrizia latina, quanto piuttosto un posizionamento chiaro rispetto al sapere. Il sapere pertiene all’atto di scegliere, selezionare e usare con un fine ed in un contesto. Si suppone che la parola latina da cui sapere deriva (scio), discenda a sua volta da una radice indoeuropea dal significato di tagliare, separare. E questo è quanto un insegnante o un docente fa nel suo agire professionale. Offre a chi vuole sapere un sentiero iniziale in cui sperimentarsi. Pertanto al docente è richiesta un’opera di differenziazione e integrazione (per usare i costrutti di Tononi) al fine di favorire l’apprendimento. Mentre al discente è richiesto l’affidarsi a tale opera per poter esercitare le proprie capacità critiche di differenziazione e integrazione. E questo è esattamente quanto Jerome Bruner definiva scaffolding (lett. ponteggiarsi): l’idea che si apprendono contenuti complessi avendo qualcuno che ha già affrontato questo processo e a cui ci si può inizialmente appoggiare. La natura della conoscenza umana prevede in tutte le sue sfaccettature che si eserciti una sorta di ‘arte del vincolo e della possibilità’. Si conoscono cose nuove solo partendo da cose note, si raggiunge l’indipendenza del pensiero solo affidandosi inizialmente al pensiero altrui. E questo non significa negare il libero arbitrio, solo collocarlo nell’esperienza incarnata di ogni essere umano. Christian Meier (1996), attento studioso della Grecia classica, diceva che quella cultura (e per estensione quella occidentale) è nata da un processo di acquisizione ed elaborazione progressiva dei numerosi saperi egizi, persiani, fenici e non solo. Per quanto differenti modelli educativi portino a differenti modelli culturali (e viceversa), questa regola del poggiarsi su quanto appreso dalle precedenti generazioni è sufficientemente trasversale da essere comune a tutte le civiltà a noi note.
Vincoli e limiti culturali
Ritengo che Karl Popper (1945) avesse chiaro la relazione tra vincoli e possibilità mentre scriveva della società aperta e i suoi nemici (titolo del suo noto lavoro). Rifugiatosi in Nuova Zelanda durante la seconda guerra mondiale, Popper si interrogò su quali strumenti filosofici, culturali e politici potessero favorire il sorgere e il mantenersi di una società aperta. Nel far questo formulò alcuni paradossi democratici, ovvero meccanismi nei quali le società democratiche possono incorrere con esiti paradossali qualora non sviluppino contromisure. Il più famoso di questi paradossi, forse il più sovraordinato, è quello della libertà stessa. Una libertà totale porta alla soppressione del debole da parte del forte, del minoritario da parte del maggioritario. Senza vincoli e limiti all’agire (o naturali o culturali) si incorre in escalation paradossali. Una nicchia ecologica in cui non vi sono limiti all’agire di una specie porta all’esaurimento delle risorse per la sopravvivenza di quella specie e spesso per il collasso del sistema stesso. E come insegna l’ecologia, maggiore è la biodiversità maggiore è la stabilità del sistema. Da un punto di vista sociale è noto che la realizzazione di artefatti culturali complessi richiede un’altrettanto complessa cooperazione tra individui. E tale complessità richiede la costruzione di regole comunitarie che non sono semplicisticamente determinate da spinte biologiche, ma sono potenziate e affinate da processi culturali e sociali progressivi. Similmente il paradosso popperiano della tolleranza suggerisce che una tolleranza illimitata porti alla scomparsa della tolleranza stessa. Se tutti i comportamenti all’interno di un sistema culturale sono tollerabili, allora viene meno l’idea di un sistema culturale contenitivo di tali comportamenti. Emerge qui la dimensione centrale dell’agire umano in quanto culturalmente e socialmente costruito per quanto biologicamente originato. Non è possibile mantenere le complesse forme di cooperazione umana (es. la possibilità di costruire una città) senza un’opera socio-culturale di definizione di vincoli e possibilità aggiuntivi rispetto a quelli biologici. Sicuramente i processi socio-culturali sono più rapidamente modificabili rispetto a quelli biologici (le regole socio-culturali possono cambiare all’interno di una stessa generazione, mentre le mutazioni genetiche richiedono per diffondersi numerosissime generazioni), ma seguono dinamiche non dissimili che si intersecano tra di loro.
“In altre parole, i caratteri fenotipici acquisiti tramite apprendimento sociale possono essere considerati come un insieme di tratti culturali che coevolvono con il pool genetico, diversamente dai caratteri acquisiti tramite apprendimento ordinario senza cultura. L’apprendimento sociale fa sì che l’acquisizione dei fenotipi sia un fenomeno a livello di popolazione” (Boyd & Richerson, 1985, p. 7).
Vincoli e limiti relazionali
Il mare nel quale ci muoviamo come esseri umani è un mare relazionale. Le basi neurofisiologiche e culturali dell’ecologia della nostra mente sono sempre e comunque relazionali. L’ecologia delle relazioni pre-esiste al nostro manifestarsi come individui e plasma le nostre caratteristiche fenotipiche e le nostre possibilità epistemologiche: chi siamo, come ci manifestiamo, come e cosa conosciamo emerge da quel sistema di relazioni. Harry Stack Sullivan (1946) mise in crisi il freudianesimo americano proprio partendo da questo. Egli diceva che la sofferenza e la salute psicologica sono sempre interpersonali e che la personalità è un processo di de-individuazione dal mondo interpersonale nel quale siamo dati. Qualcosa forse di non dissimile dalla posizione filosofica che Gilbert Simondon (2020) stava sviluppando negli anni a seguire. Il suo assunto era infatti che l’individuo sarebbe l’effetto (piuttosto che la causa) di un processo di individuazione.
La contrapposizione tra libertà e vincoli è forse un bias epistemologico, ci illudiamo che sia possibile fare esperienza al di fuori di un contesto e pensiamo che sia possibile ridefinire dei parametri relazionali senza partire da altri parametri relazionali. Il nostro agire individuale è percorribile nella misura in cui percorre le vie dell’altro. Ed in questi termini il cambiamento, sia esso psicoterapeutico che socio-culturale, ha due sole alternative. Può emergere dal rendere la nostra esperienza veicolabile nell’ecologia relazionale nella quale viviamo. Oppure può incarnarsi in un processo condiviso di rielaborazione di quella stessa ecologia relazionale. I vincoli e i limiti che troviamo nello spazio nel quale ci muoviamo ci permettono di fare esperienza dell’altro e senza l’altro noi, non solo come individui ma anche come specie, non esistiamo. Tutti i tratti più distintivi della nostra specie emergono come tentativo di rispondere alla complessità relazionale nella quale siamo immersi (Dunbar, 2014). Aiutare un paziente a riconoscere la vitalità della dimensione relazionale di ognuno, aiutare un discente a riconoscere la fertilità di un contesto iniziale di apprendimento, aiutare un cittadino a tutelare il valore di libertà e tolleranza condizionali, non è altro che riconoscere la natura umana. La macro-strategia evolutiva della nostra specie è quella di investire nei vincoli e nelle possibilità relazionali. L’alternativa, estremamente costosa evoluzionisticamente, sarebbe contrastare la natura umana stessa.
Bibliografia
Boyd, R., & Richerson, P. J. (1988). Culture and the Evolutionary Process. Chicago University Press.
Dunbar, R. (2014). Human Evolution. Pelican.
Hofmann, R., & Mõttus, R. (2025). Does speaking a gendered language make you a gendered being? Gender differences in personality are associated with linguistic gender differences across 49 languages. PsyArXiv Preprints. https://doi.org/10.31234/osf.io/r8tx6_v2
Meier, C. (1996). Atene. Garzanti.
Popper, K. (1945). The Open Society and Its Enemies (Volume I and II). Routledge.
Simondon, G. (2020). L’Individuazione alla Luce delle Nozioni di Forma e di Informazione. Mimesis.
Sullivan, H.S. (1946). Conceptions of Modern Psychiatry. The First William Alanson White Memorial Lectures. Norton & Company.
Tononi G. (2008). Consciousness as integrated information: a provisional manifesto. The Biological Bulletin, 215(3), 216–242. https://doi.org/10.2307/25470707
Tse, P. U. (2015). The Neural Basis of Free Will. Criterial Causation. MIT Press.
von Förster, H. (2002). Understanding Systems: Conversations on Epistemology and Ethics. Springer.