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Sulla rabbia nel bullismo: soggettivazione e oggettivazione

L’acqua era buia assai più che persa;
e noi, in compagnia de l’onde bige,
intrammo giù per una via diversa.

(Inferno, Canto VII, versi 103, 104 e 105)

Alla luce di quanto detto nei precedenti articoli, nel tentativo di descrivere un fenomeno tanto complesso come quello del bullismo, rimane in sospeso come bulli, bullizzati ed alcuni di noi adulti si ritrovino a fare i conti con la rabbia nel bullismo.

Quanto il fenomeno rabbia si interfacci con quello del bullismo ci è dato proprio dagli apriori che li caratterizzano, soprattutto quando il secondo è nella piena rappresentatività ed il primo, in un certo senso, gli dona energia talvolta distruttiva.

Essendo il fenomeno bullismo circoscritto al mondo dei giovani, gli adulti possono solo osservarlo, alcuni ricordarlo in quanto vissuto, altri viverselo attraverso i propri figli; in queste possibilità attraverso cui l’adulto può ritrovarsi, può riflettere sui diversi modi di fare esperienza della rabbia.

L’osservatore fa i conti con le distanze che pone nell’incontrare il fenomeno che intende intenzionare, ossia se utilizza strumenti ne rileva degli indici, di cui prova ad interpretare partendo dai costrutti teorici di riferimento, ma se si immerge nelle atmosfere in cui il fenomeno si manifesta non può fare a meno di toccare vividamente la prevaricazione insita nel bullismo e la penetrante energia della rabbia, che funge da sostanza interna al fenomeno bullismo. Si schiera l’adulto o si allontana per non farsi trascinare dall’onda del profondo che scuote, perché la rabbia ha in sé il potere di aggregare e radunare. Ci si aspetta dall’adulto che dica “No”, ma non è sempre così, c’è anche chi volge lo sguardo altrove, chi lo rilega a bravata e chi perfino ne trae vantaggio. Ma l’adulto che dice “No” è quello che la rabbia la conserva, come l’uomo in rivolta di Camus, affermando l’esistenza di una frontiera, oltre la quale non bisogna andare. Perché si accorge di un tempo che può rimanere aperto nell’insenatura distruttiva della rabbia e che bisogna chiudere per sostenere ed aiutare i protagonisti del bullismo. Perché nello spazio di passaggio in cui ciò avviene vanno delimitati i confini del Sè e dell’altro, per contribuire alla costituzione di un Sé non precariamente coeso. Perché l’agito che sembra intenzionale, che risente dello stare arrabbiati mentre si mescola con il porsi arrabbiati, sia se la si perpetra la prevaricazione, sia se la si subisce, va accolto non negato, va reso cosciente, il corpo pieno di rabbia va mostrato, l’ostacolo reso visibile, l’altro da minaccia deve divenire alleato contro il nemico omologante e de-soggettivante. Perché le circostanze che appaiono come asimmetriche divengano l’occasione per condurre alla bee-line dell’essere adulto, o della successiva fase evolutiva. Perché seppur le bolle di bullismo non possono sempre essere evitate, possano divenire occasioni di crescita e di costruzione di un Sé abbastanza coeso.

Il protagonista del fenomeno bullismo è sempre etichettato come bullo, colui che si arrabbia, contro qualcuno che prende di mira; la scelta è mediata da caratteristiche, stereotipi, che spesso  risentono di preconcetti omologanti secondo il contesto in cui avviene e la situazione in cui si ritrova; diviene il paladino di un’istanza di cui lui stesso è vittima, lo spunto che scatena la sua rabbia è sempre effimero, futile, incarna in un dato momento quello che davvero teme, quello di poter essere un soggetto distinto, mostrandosi pertanto come il normalizzatore di ciò che gli appare distorto, che sente come minaccioso, minacciando ed agendo con le armi della prevaricazione, invece che rendersi conto che quel fuoco che lo arde vorrebbe armarlo per farlo divenire ciò che probabilmente autenticamente è. Questo discorso vale sempre laddove lo stare arrabbiati insito nel processo evolutivo incontra un frammento, spesso equivocato, che innesca un porsi arrabbiato che motiva il suo agito, vissuto come ostacolante ad un poter essere, in colui che prende di mira. Talvolta però il bullo, può anche essere arrabbiato, la difficoltà di chi deve intercettare il fenomeno sta proprio nel riconoscere i costituenti della personalità, perché laddove si individua una tale costituzione un intervento specifico è sempre opportuno.

I gregari del bullo, sono sempre i più, che da un lato sono attratti dalla forza dell’energia che la rabbia emana, dall’altra si sentono trascinati dalla corrente che premia l’omologazione, e ritrovano nel bullo il condottiero; questi, sulla falsa riga dell’uomo della banalità del male intravisto da Arendt, divengono i burocrati di una macchina che distrugge, la loro ingenuità si mescola alla precarietà di un coeso Sé, abbandonano la visione del soggetto per aggregarsi all’oggetto che incarna il bullo, un fantomatico potere che mai potranno possedere.

Il bullizzato, l’antagonista nella scena drammatica del bullismo, colui che viene preso di mira, scelto tra i tanti perché in un dato contesto ed una determinata situazione appare come quello che incarna la minaccia dis-omologante, subisce la rabbia del bullo e dei gregari ed a sua volta si arrabbia. I drammi conseguenti possono portare anche al suicidio, perché talvolta si riconosce come la minaccia da eliminare, la rabbia di stato in lui si dirige verso il sé stesso, lo pervade, lo intrappola, lo nasconde, lo disarma, ed a quel punto si vede altro: un oggetto senza soggettività. Una tale situazione se non lo conduce nell’immediatezza del suicido, incide enormemente sulla strutturazione della propria personalità e le conseguenze nel suo essere un futuro adulto sono varie anche sullo scenario psicopatologico. La rabbia subita, quella patita, agita verso sé stesso, intenzionata contro sé stesso, induce una de-fortificazione, rende flebile la dimensione intersoggettiva. Il bullizzato non sempre chiede aiuto e talvolta lo fa velatamente, riconoscerlo non è sempre facile, soprattutto quando assume poi, in altri contesti e situazioni, le sembianze del bullo. Il bullizzato ha vissuto il naufragio della propria soggettività, la sua rabbia va recuperata e non demonizzata. Riuscire a scovare nei naufragi un elemento attivo-positivo, come quello della gioia di esistere insita nelle situazioni-limite descritte da Jaspers, come elemento che emerge quando ormai si è toccato il fondo, sembra essere alquanto dissonante, però è anche vero che ci sarà stato sicuramente un qualcosa che ha permesso, nel naufragio, di poter riuscire a portare il naufrago Ulisse sulle rive di Scheria.

La rabbia è solo uno dei fenomeni che appartengono al mondo della vita che ritroviamo nel bullismo, e diviene anche per le sue peculiarità, allo stesso tempo, l’arma da de-oggettivare e ciò che arma la soggettività.

Giuseppe Ceparano

Psicologo e psicoterapeuta ad orientamento fenomenologico-antropoanalitico. Psicologo e Psicoterapeuta presso ASL NAPOLI 2 Nord - UOSD Oncologia P.O. San Giuliano. Coordinatore Osservatorio Permanente sul Bullismo del Comune di Mugnano di Napoli. Già responsabile del servizio di Psicologia dei centri di emodialisi Kidney s.r.l. In formazione permanente presso la Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica. Autore di articoli e pubblicazioni e del testo “Quartiere Kidney”.

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