Un Centro di Salute Mentale è uno spazio liminare, di primo accesso, di confine. È questo il luogo in cui le persone che attraversano la sofferenza psichica chiedono aiuto per la prima volta. È uno spazio sensibile, delicato, fragile, iperestesico in cui la persona o il gruppo sofferente, disarmato, prova a raccontarsi, a chiarire una domanda intima implicita spesso ancora inconsapevole. Ma allora perché spesso è il luogo più confuso, disordinato, rumoroso? Luogo di passaggio tempestoso che a volte inibisce l’espressione spontanea, a bassa voce, di un germoglio appena nato di consapevolezza, di dolore, di una lacrima? E Perché spesso sono proprio i CSM i luoghi in cui è più difficile intervenire per apportare un cambiamento, una trasformazione, a causa delle resistenze a volte violente che al loro interno si generano, le divisioni e colpevolizzazioni che vengono suscitate?
L’idea che mi propongo di esporre di seguito è che oggi ritengo sia utile per chi opera in Salute Mentale pensare lo stesso CSM alla stregua di una persona che esprime un disagio psichico complesso e che richiede pertanto una presa in carico multidisciplinare. Per proporre questo cambio di prospettiva chiederò il supporto di alcune cornici teoriche appartenenti alla tradizione sistemico-psicodinamica e l’ausilio di due strumenti applicativi per rendere pensabile un intervento. L’obiettivo finale è infatti avere più strumenti nella cassetta degli attrezzi che aiutino a leggere le dinamiche istituzionali all’interno delle quali l’utente e l’operatore sono immersi, per reggerne l’impatto, l’incontro. Leggere per reggere quindi, e per assumere una responsabilità di cura più ampia.
CORNICI TEORICHE
Questa idea che può apparentemente sembrare bizzarra deriva dagli studi pionieristici iniziati da Kurt Lewin e Wilfred Bion.
Il primo attraverso la psicologia della Gestalt applicata alle scienze sociali ci ha permesso con la teoria del campo e gli studi sulle dinamiche dei T group di iniziare ad occuparci dei fenomeni nuovi e tipici che appaiono in un gruppo: il gruppo viene visto non solo come un agglomerato di individui ma come ente sovrasistemico, per l’appunto. nel quale si costituiscono dei fenomeni emergenti (“l’intero è più della somma delle parti”).
Il secondo invece ha esplorato l’idea secondo la quale i gruppi si formano per realizzare un compito comune, che nella maggior parte dei casi consiste in un lavoro. A un livello più profondo e segreto però le persone si mettono insieme anche per soddisfare bisogni personali, individuali o collettivi. Questa duplice modalità di funzionamento gruppale, una più razionale ed orientata al compito ed una più irrazionale, inconscia e rivolta all’appagamento dei bisogni emozionali dei membri del gruppo, influenza tutti i gruppi che quindi operano sotto l’influenza congiunta di queste due configurazioni, che ha paragonato alla visione binoculare. Nella sua teorizzazione egli chiama “gruppo di lavoro” la prima configurazione e “gruppo in assunto di base” la seconda. Il gruppo di lavoro, basato sulla cooperazione cosciente e razionale dei suoi membri, svolge nei confronti della mente del gruppo una funzione simile a quella che l’Io esercita nella mente individuale.
Oltre alla teoria psicoanalitica, altri strumenti importanti per osservare e leggere le organizzazioni in quanto dotate di strutture identitarie collettive ed anche attività mentali transpersonali derivano dagli studi dei sistemi aperti inaugurati da von Bartalanffy. Utilizzando metafore provenienti dal mondo della biologia e applicate alla realtà sociale, l’ipotesi di fondo è che l’organizzazione, così come una cellula, sia un sistema delimitato da un confine che separa l’ambiente interno da quello esterno e nello stesso tempo permette gli scambi reciproci. Al suo interno i ruoli e le funzioni specifiche come organelli citoplasmatici immersi nel citosol, nucleo e reticoli endoplasmatici, recettori e trasportatori di membrana, concorrono in maniera reciproca e finemente orchestrata al comportamento-evento finale.
Quello che mi piacerebbe indicare è quindi che tutto ciò che accade all’interno dei nostri servizi territoriali possa essere inteso anche come indizio, spia, di una “organizzazione nascosta”. Il CSM infatti appare, alla luce di queste cornici teoriche di riferimento, costituito da una trama densamente impregnata di emozioni, ansie, rabbie, desideri, gelosie che circolano nei suoi vasi sanguigni, emergendo come spazi sintomatici emorragici/infartuali nelle varie funzioni disfunzionali che esso si premura di espletare.
STRUMENTI DI INTERVENTO
Le nuove teorizzazioni sull’osservazione istituzionale si spingono ancora oltre per darci altri strumenti concettuali di significazione e quindi di intervento. Il primo che vorrei proporre è quello che Guelfo ha definito come Multistrato Complesso Dinamico. L’autore immagina il sistema dinamico preso in esame, e quindi di nuovo pensiamo al nostro CSM, come inserito virtualmente all’interno di una stratificazione di sistemi dinamici interdipendenti gli uni dagli altri che si influenzano reciprocamente. È la configurazione di una geometria spaziale di livelli concentrici in cui gli enti di diversa complessità attraversati da un isomorfismo, condividerebbero campi di attività mentale via via adeguati al loro livello e atmosfere emozionali trasversalmente coerenti. Significherebbe quindi che il servizio territoriale come livello si trova in maniera concentrica a comprendere e ad essere compreso in una linea continua/discontinua di livelli dinamici che vanno dagli individui che lo compongono, al quartiere in cui si trova il servizio, dall’ASL e il dipartimento di appartenenza, alla regione, dallo stato del Servizio Sanitario Nazionale ad una regressione all’infinito.
Inoltre attraverso un meccanismo che l’autore definisce di transfert sincronico, ogni livello sente e agisce anche quote di angoscia e confusione appartenenti agli altri livelli in cui è immerso. In altre parole, il mio appartamento trema insieme all’epicentro tremante posto chissà dove.
Accedere a questa complessità ha bisogno di strumenti concreti come per entrare nella foresta amazzonica. Se ci entri ingenuamente sprovvisto rischi di lasciarci la pelle.
Un ulteriore utensile artigianale importante per muoverci in questo percorso di scoperchiamento del velo di Maya e di tuffo folle nella pandora caotica che pulsa nel cuore di ogni cosa e quindi anche nei nostri servizi, è il concetto di identificazione proiettiva che la Klein prima e Bion successivamente hanno proposto. Questo termine fa riferimento ad un’interazione interpersonale inconscia nella quale il contenitore di una proiezione reagisce ad essa in un modo tale da identificarsi inconsciamente con le emozioni su di esso proiettate. In altre parole sto tentando di dire che questo meccanismo viscerale di comunicazione in situazioni difficili e angosciose in cui la parola ha poco potere rappresentazionale, rappresenta l’ultimo modo per far sentire l’altro come mi sento io: “non posso farti capire come mi sento, allora te lo faccio sentire”. In questo modo quindi si rischia inconsapevolmente di diventare una spugna per tutta la rabbia, la depressione, la colpa, la psicosi dell’altro, e nel nostro caso, dell’utenza da una parte e degli operatori (a tutti i livelli!) dall’altra.
CONCLUSIONI
Quello che in sintesi intendo proporre in questa mia riflessione è quindi che il CSM sia da intendere non soltanto come uno spazio fisico con degli orari di apertura e chiusura, degli oggetti e delle procedure da applicare, ma anche come uno spazio virtuale psichico magmatico multilivello che sta per qualcos’altro. Questa potrebbe essere un’ipotesi di lavoro utile all’operatore che intenda comprendere i fenomeni complessi in cui è immerso in un’ottica attiva di contribuzione ad un cambiamento.
Cioè una situazione problematica con un utente, un conflitto tra categorie (ad es. infermieri e medici, amministrazione e direzione etc.), un problema tecnico-strutturale, possono essere intesi come sintomo istituzionale del multistrato dinamico complesso al quale accennavo precedentemente.
In altre parole e più schematicamente:
- La situazione problematica osservata (ad es. violenza su un operatore) è anche un sintomo di un disturbo istituzionale come entità sovrasistemica (ad es. organizzazione del CSM).
- Esiste un Centro di Salute Mentale nascosto fatto di impasti di meccanismi di difesa inconsci e disfunzioni sistemiche (ansie legate al lavoro, alle persone, all’utenza, difficoltà relazioni con i colleghi o con i direttori etc.)
- Questo livello di osservazione si trova disperso in un sistema multilivello che va dalle vite genetiche degli utenti fino alla situazione governativa nazionale (e oltre!).
- Ogni livello attraverso le sue identificazioni proiettive influenza gli altri livelli (ad es. un problema organizzativo tra i direttori dei singoli CSM può influenzare l’organizzazione dei turni tra i dirigenti medici).
- Per “risolvere” la situazione problematica in esame devo poter intervenire o quanto meno prendere in analisi anche gli altri livelli che la influenzano dandole energia.
Cioè in altre parole esistono all’interno dei Centri di Salute Mentale campi di forze inconsce feroci e sanguinarie e allo stesso tempo proprio per questo dotati di energia euristica e trasformativa. Campi di forze con obiettivi espliciti e chissà quanti impliciti, non dicibili. Campi di forze dotati di una storia di angosce e sogni abortiti proprio come la persona che porta un sintomo. Questa ipotesi di lavoro ci permetterebbe di osservare la situazione emergente problematica in tutta la sua complessità tollerabile, fuggire da facili ideologie risolutorie e inventare insieme interventi di gruppo che permettano di prenderci cura dei servizi in cui operiamo come se fossero dei “pazienti cronici” che aspettano ancora fiduciosi di poter dare senso e cura al proprio (e altrui, segretamente in essi custodito) dolore.
BIBLIOGRAFIA
Lewin, K. (1939). Field theory and experiment in social psychology: Concepts and methods. American journal of sociology, 44(6), 868-896.
Bion, W. R. (1997). Esperienze nei gruppi e altri saggi. Armando editore.
Obholzer, A., & Roberts, V. Z. (Eds.). (2019). The unconscious at work: A Tavistock approach to making sense of organizational life. Routledge.
Guelfo, M. (2021). Il grande gruppo: osservazione psicoanalitica di istituzioni e insiemi sociali ai margini del caos. Franco Angeli.
Perini, M. (2007). L’organizzazione nascosta. Dinamiche inconsce e zone d’ombra nelle moderne organizzazioni (Vol. 100). FrancoAngeli.