Può accadere che un’ulcera determini un’anemia. Senz’altro oggi possediamo gli strumenti per fronteggiare l’emergenza ematologica per poi intervenire sulla causa scatenante di origine gastroenterologica. L’intento di questo scritto non è quello di discutere in merito, ma quello di volgere lo sguardo su altre dimensioni che caratterizzano la persona dell’anemico, la persona dell’ulceroso e individuare se è possibile definire una persona anemico ulcerosa. Questi sono temi che tratta quella branca che viene definita come psicosomatica, che negli ultimi anni è sempre più caratterizzata da quel versante che accentua il carattere psicologico rispetto a quello fisiologico. Vorrei, invece, provare a restituire quell’intenzione che Lopez-Ibor nel testo La angustia vital si era prefissato; cioè, codificare una psicosomatica che faccia incontrare psiche e soma verso una medicina generale psicosomatica, quindi come allargamento di orizzonte senza far prevalere l’una sull’altra.
Il personaggio che potrebbe accompagnarci in questo discorso è sicuramente Vincent Van Gogh (1853-1890), a tal proposito ho scelto l’immagine dell’autoritratto (Figura 1) del noto pittore, impressionista, che ha concluso la sua esistenza a 37 anni con un colpo di rivoltella allo stomaco. Ufficialmente si sostiene che sia stato un suicidio ma alcuni alludono ad un colpo di rivoltella che lo avrebbe colpito mentre dipingeva tra i prati. Anche questa storia restituisce al genio di van Gogh ulteriore mistero. Se ne sono dette tante sul personaggio, bevitore di arsenico, fumatore accanito. I suoi ricoveri nei sanatori ci fanno pensare a turbe mentali, si ipotizza un disturbo bipolare o un disturbo borderline, quindi un disturbo funzionale, le ultime ricerche addirittura ipotizzano la porfiria acuta intermittente, disturbo a più chiara matrice organica. Ovviamente queste sono ipotesi, ma dai lavori e dalla biografia emerge senz’altro un personaggio in eterno conflitto, devastato dal male di vivere, dove appunto l’elemento vitale sembra essere compromesso, probabilmente sia da determinanti organiche che psichiche.

Il dibattito ancora in corso distingue la Psiche dal Soma, come se le due cose fossero entità distinte, tutto questo dai tempi di Cartesio, dalla distinzione tra res extensa e res cogitans. Anche lo stesso Cartesio però individuava nella ghiandola pineale la congiunzione tra le due. Nel testo La angustia vital, che propone l’angoscia come componente essenziale dei disturbi dell’umore, l’autore individua nel diencefalo il canale che mette in comunicazione i disturbi funzionali con le derivazioni somatiche, espressione spesso dello stesso disturbo, che si concretizzano in alterazioni nei vari apparati del nostro organismo, annoverando tra le manifestazioni anche le ulcere. Lo stesso canale diencefalico permette a disturbi organici, come le ulcere ed anche le anemie, di produrre manifestazioni di tipo funzionale, come ansia e deflessioni dell’umore.
Forse sarebbe ora di evitare di pensare ad un corpo che sia solo Koerper (copro oggetto) senza Leib (corpo vissuto), immergendoci invece in uno scenario in cui si intenziona la carne, quindi un corpo che sia oggetto e soggetto allo stesso tempo. È il dualismo cartesiano che ci ha portato a parlare di psicogenesi, cioè di come si sviluppano le funzioni psichiche. Di come avviene lo sviluppo di uno stato mentale normale o patologico da meccanismi esclusivamente psichici. Di psicogenesi si nutrono tutte le teorie psicologiche, che vedono nella psiche il manovratore delle nostre esistenze. Una psiche che non ha una collocazione organica ben definita, quindi non individuabile, ma riconoscibile nei comportamenti. Una psiche che è implicata nei processi di condizionamento. Una psiche che con la sua componente inconscia, ci fa fare spesso cose insolite. Una psiche che ci fa emozionare. Una psiche che ci fa ragionare. Una psiche che ci fa vedere, attraverso il gioco delle ombre, dai rifiuti delle forme umane, proprio come nell’opera di Tim Noble e Sue Webster (Figura 2).

Quando si parla di psicologia del patologico si deve far riferimento agli studi in ambito psicopatologico, come quello di Jaspers nel suo trattato di Psicopatologia Generale. L’attenzione di Jaspers non è solo rivolta alle patologie della psiche, ai disturbi funzionali, ma anche ai risvolti psicologici di qualsivoglia patologia, come accade per le anemie e le ulcere.
La psicologia del patologico si sofferma sulle determinanti manifeste che emergono nelle varie patologie. Nella mia esperienza di clinico, da psicologo, ho sempre lavorato in quella che chiamo la clinica del Koerper, restando un fedele operatore del Leib. Tanti anni ho trascorso in dialisi, con i pazienti con Insufficienza renale cronica, dove ho avuto la possibilità di poter cogliere quanto la patologia ed il trattamento incida sul loro modo di stare al mondo. A mio avviso andando ad interferire nella dimensione vitale, tanto da fargli vivere una dimensione affettiva che ho voluto chiamare sentimento dis-metabolizzante. Questo, induce il paziente, se ben adattato, a metabolizzare in maniera efficace ogni evento, se invece accettante passivamente la condizione, a nutrire sempre maggiore stress e difficoltà per ogni evento. Nostro compito, oltre che curare il corpo oggetto, è quello di permettergli di adattarsi attivamente e non accettare passivamente. L’esperienza degli ultimi anni presso i pazienti oncologici ed ematologici, mi sta facendo notare, nei primi la dimensione metamorfica di questo tipo pazienti, che li fa essere non dei combattenti, come spesso li definiamo, ma dei naviganti alla ricerca dell’anima con cui invecchiare, nei secondi, invece, quella che appare compromessa è la dimensione vitale, che li fa sentire ed essere spenti, che ci chiedono di tenergli accesa la fiamma.
L’ulceroso non è solo una tipologia di persona. Quando si ha un’ulcera, il soggetto appare in preda al dolore ed al disgusto, come se incombesse in lui una profonda insofferenza, che lo fa piombare in un malessere generalizzato. Allora il cibo assume la duplice veste di alleviatore dei sintomi e allo stesso tempo ciò che li produce. Come se ciò che ci dà la benzina, ci fa esistere, è amico e nemico allo stesso tempo.
La medicina ovviamente interviene sia per prevenire il danno che per porre rimedio, cercando di individuare le cause, come l’assunzione di antinfiammatori, l’helicobacter pylori, il fumo, il caffè, l’alcol, un processo canceroso. Molte volte si ferma alla ricerca della causa, del che cosa lo abbia indotto, trascurando, non sempre, quelle che chiamerei le condizioni di possibilità soggettive che permettono l’insorgere dell’ulcera. Sappiamo che lo stress fa venire le gastriti, come sentiamo spesso l’esclamazione “mi fai venire l’ulcera”, quando qualcuno o qualcosa suscita in noi dispiacere e agitazione. E se fosse proprio il modo con cui ci si pone nel mondo a fare da sfondo a questa evenienza?
Proprio dalla domanda precedente che si muove il discorso psicosomatico. Allora a questo punto possiamo dire che il tipo ulceroso è un soggetto le cui caratteristiche comportamentali, di atteggiamento alla vita, lo predispongono ai processi ulcerosi.
Le viscere vengono anche definite come cervello enterico, fanno parte del sistema nervoso autonomo, e subiscono sollecitazioni anche dai fattori ambientali e costituzionali del soggetto. Seguendo questa logica, possono situazioni e/o atteggiamenti indurre dei fenomeni nell’apparato digerente che possono provocare erosioni.
Ma che tipo è il soggetto predisposto ad eventi ulcerosi? Agitato, dispiaciuto; insomma, sembrerebbe in un disequilibrio tra la lotta verso il successo e la ricerca della tranquillità, uno che non riesce a trovare pace. Una tale condizione può essere sia costituzionale, come per i timopatici, cioè quelli che vivono avendo sempre aperta la porta dell’angoscia che di tanto in tanto, e senza alcun fattore scatenante sono travolti da essa, e quelli che in determinati periodi della propria esistenza si ritrovano ad affrontare situazioni che appaiono insormontabili. Ebbene i primi sono praticamente i tipi ulcerosi, i secondi potremmo chiamarli vittime delle situazioni ulceranti.
La angustia vital, il testo di Lopez Ibor, offre un ampio spaccato della ricerca di metà ‘900 sugli ulcerosi. Riporta numerose sperimentazioni sui fattori psicogeni che intervengono sui processi ulcerativi. Riporta anche esperimenti condotti su animali, dove appunto stimolazioni di aree diencefaliche provocavano effetti erosivi nella mucosa gastrica.
Lopez Ibor sostiene che molte manifestazioni gastriche sono tipiche nei soggetti che orbitano nel circolo timopatico; cioè, fobici, ossessivi, ansiosi, depressi, traumatizzati cranici, vittime di traumi (quelli che oggi chiamiamo disturbi post traumatici da stress) e quelli con patologie diencefaliche.
Stando in ematologia sento spesso parlare di anemie sideropeniche, quelle che vengono trattate con la somministrazione di ferro. Vedo anche persone che fanno le trasfusioni perché i livelli di emoglobina sono troppo bassi. Ovviamente di anemie ce ne sono di vario tipo ed indicano sempre carenze qualitative o quantitative o strutturali del sangue. Il sangue non può che riportarci prima ad Ippocrate e poi a Galeno. Nel discorso sugli umori parlavano di un umore sanguigno. Galeno, nell’antica Roma, è stato tra i fautori dei salassi per il riequilibrio dell’umore. Il tipo sanguigno dovrebbe essere, appunto, un tipo estroverso, impulsivo e gioviale Le caratteristiche manifeste che notiamo in un soggetto con anemia sono mancanza di forze. Colorito bianco. Un atteggiamento totalmente rifiutante il fare come se gli mancasse la voglia. I motivi per cui si può andare incontro ad un processo anemico sono tanti, ma in questa occasione, pensiamo a quelle indotte da ulcere, quando queste sanguinano. A questo punto le domande che emergono sono: può esistere una costituzione che predisponga alle anemie? Ci sono situazioni che inducono a processi anemici?
In letteratura, almeno quella più scientifica, non troviamo descritto un tipo anemico. Potremmo però avanzare l’ipotesi che questo tipo si ponga in antitesi a quello sanguigno. Ancora di più possiamo avanzare la tesi che sia proprio la conseguenza del fallimento dell’atteggiamento sanguigno. Ricordiamo che il sanguigno lo intendiamo come quello che tende all’estroversione, all’allegria e all’impulsività. In sintesi, possiamo immaginare il tipo anemico come un tipo che nonostante gli sforzi che metta in atto si ritrova a soccombere alle intemperie situazionali. Più che un tipo costituzionale appare come un tipo situazionale. Rispetto all’ulceroso che riconoscevamo una dimensione costituzionale, una sorta di essere ulceroso, dell’anemico possiamo pensare ad una sorta di stare anemico. Più che una condizione di struttura dell’essere, siamo invece di fronte ad un soggetto che mostra una certa vulnerabilità indotta dallo strato vitale, un soggetto che seppur pronto a lottare per il successo si ritrova a soccombere alle situazioni.
Se partiamo dall’assunto che la tipologia di persona ulcerosa è attribuibile ad un fatto costituzionale, cioè dell’essere, mentre quella anemica ad una dimensione vitale, cioè dello stare, quindi più nella sfera umorale affettiva, allora la sovrapposizione delle due tipologie è un passaggio possibile. Volevo a questo punto presentarvi due casi che a mio avviso possono meglio rappresentare l’anemico ulceroso.
Il primo è quella dell’artista Chaim Soutine, nato sul finire dell’800 morto all’età di 50 anni. Rappresentante illustre dell’espressionismo. Nato in Bielorussia in una famiglia povera, si trasferisce in Francia a vent’anni, dopo aver studiato arte, alla ricerca di far scoprire le sue opere. Si ispirava molto a Van Gogh e con lui condivideva questo animo inquieto. Possiamo dire che aveva questa spinta al successo e allo stesso tempo restava molto schivo alla socialità. Viveva un eterno conflitto che spesso lo faceva scagliare verso le opere che realizzava quando queste subivano critiche; non accettava il giudizio negativo. Allo stesso tempo era attraversato da un umore fluttuante che spesso lo costringeva a ritirarsi in disparte, come assalito da una valanga d’angoscia. Lui aveva un’ulcera che trascurava, che lo costringeva a restrizioni alimentari. Nel film l’ultimo viaggio di Soutine viene rappresentato questo viaggio della disperazione per poter effettuare l’intervento di ulcera nella capitale francese, che però non riuscì a fare.
Il secondo è di una donna sulla cinquantina, da sempre affetta da un disturbo distimico, quindi un chiaro quadro umorale, in trattamento antidepressivo a fasi alterne. Un tipo Z come quello descritto da Berg, poco ambizioso e lento, che Klages descriverebbe come predominata dall’introversione e che scaricava le proprie tensioni irritando lo stomaco. Ha sempre dovuto tenere sotto controllo la carenza di ferro in passato, attributa spesso all’abbondante ciclo mestruale. Nessun problema alla tiroide. Una costituzione sul versante ulceroso e una collocazione vitale sul versante anemico, come Soutine. L’anno prima della pandemia, il padre che aveva problemi epatici dovuti ad un’epatite C viene ricoverato per un’emoglobina a 6, per effettuare una trasfusione. Qualche mese dopo per denunciare il suo senso di fiacchezza lei si rivolge al medico di base, il quale la liquida dicendole: “non ti preoccupare sei solo depressa”. Certo la sovrapposizione sintomatica potrebbe anche esserci, ma un prelievo non si dovrebbe negare a nessuno. A quel punto la invito a farselo lo stesso un prelievo. Emoglobina a 5, ricovero, indagini gastriche, ulcera duodenale. In quel periodo non assumeva antinfiammatori, discreta fumatrice e bevitrice di caffè.
I due casi sembrano essere emblematici delle caratteristiche di quello che vogliamo descrivere come anemico ulceroso, i quadri di Soutine mostrano in maniera chiara l’irrequietezza vitale, con le forme difformi, ed allo stesso tempo manifestano quell’eterno conflitto tra la ricerca dell’originalità che si mischia al tentativo di armonia (Figura 3).

L’intenzione di voler portare l’attenzione su un tipo di persona è nata non solo per animare curiosità ed attenzione su una tipologia di persone con una predisposizione a patologie gastriche che possono anemizzare, ma soprattutto per evitare di perdere di vista la persona nella sua interezza. Se il clinico nota problemi nella dimensione vitale, laddove è già presente una anemia, dovrebbe indurlo a prescrivergli una consulenza psicopatologica. Se il clinico nota problemi nella dimensione costituzionale, laddove è già presente un’ulcera, dovrebbe indurlo a prescrivergli un intervento sui conflitti esistenziali. Allo stesso tempo dovrebbe essere utile per il clinico di non sottovalutare le emergenze fisiologiche in quei soggetti che hanno delle conclamate psicopatologie o conflitti esistenziali, come capitato al secondo caso prima presentato.
Vorrei concludere questo lavoro con un invito ai clinici del Koerper, quello di poter prendere in considerazione nella rilevazione anamnestica, la dimensione vissuta. Cioè, quegli elementi che in qualche modo possono farci cogliere il tipo di soggetto e le eventuali emergenze umorali e vitali. Certo questo richiederebbe un ripensamento anche nel percorso della formazione dei clinici, ma potrebbe essere anche l’occasione per iniziare a pensare ad un affiancamento con operatori che si occupano di Lieb, come ad esempio gli psicologi.
Concluderei con le parole con cui Lopez Ibor termina il testo La angustia vital.
«Siamo giunti alla fine, dopo questa appassionata peregrinazione. Il fine, nella scienza umana, è sempre una detenzione provvisoria; la nostra inquietudine ci fa scontentare del raggiunto ed ansiosi di cosa raggiungere. Come dice T.S. Eliot in Four Quartets: “The end is where we start from.”»
Bibliografia
Ceparano, C. (2016). Quartiere Kidney. Per una Psicologia dell’incontro in emo-dialisi. Roma: Edizioni Universitarie Romane.
Jaspers, K. (1959). Allgemine Psychopathologie. Berlin Heidelberg: Springer-Verlag (trad. it. Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2008).
Lopez Ibor, J. J. (1950). La angustia vital (Patología general psicosomática). Madrid: Editorial Paz Montalvo (trad. it. L’angustia vitale (Patologia generale psicosomatica), in press).