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Le metamorfosi della temporalità

Le metamorfosi della temporalità

La discontinuità e la disarticolazione del tempo interiore nei pazienti psichici

La ragione del poter essere se stessi si situa sempre davanti a noi

Kimura  

Riusciremo, prima o poi, a comprendere  il tempo vissuto delle persone?[1] Quali sono le terapie psicologiche più promettenti e avanzate che si basano sulla percezione del tempo vissuto nell’interiorità, tra sofferenza e dolore profondo? Cosa è  veramente  il tempo interiore  secondo il pensiero di alcuni filosofi (Husserl, Heidegger, Brentano, Agostino) , psicologi e psichiatri (Borgna, Binswanger, von Gebsattel, Straus, Kimura. Piro) e fisici (Rovelli, Boncinelli)? E ancora, quale la connessione della  cura con il tempo vissuto e le sue distorsioni accidentali? Come affermava Aristotele, se il movimento  può arrestarsi “il tempo non si ferma” ed è anche per questo che «è modificando la sua distanza rispetto al presente che un avvenimento prende posto nel tempo» (III, 62).  Le determinazioni di passato, presente e futuro sono dunque,  a livello psichico, legate alle relazioni del prima e del poi.[2]

L’attenzione verte sui fulcri tematici della cura fenomenologica, sulle  distorsioni, le alterazioni dei vissuti spazio-temporali, la relazione tempo-persona nelle varie forme.[3] Oggi molti psicoterapeuti volgono la loro attenzione quasi esclusivamente alle relazioni umane, alla cura della famiglia, all’inconscio e al passato, trascurando così l’analisi del tempo vissuto e dei fenomeni principali.  A tal fine forse occorre una cura  che non si limiti ad enumerare ciò che il paziente può osservare introspettivamente “in sé stesso” come sensazione “cosciente” del tempo, ma che consista in una descrizione della fisionomia patologica del tempo vissuto nel mondo, di quei mutamenti che il paziente osserva, rispetto al vissuto, con maggiore forza e immediatezza. Partendo  da tali questioni  ci si interroga sulla sostanza della vita che chiamiamo tempo cercando di  accompagnare il lettore in un affascinante viaggio sul tempo interiore, alla scoperta degli ultimi traguardi della cura, preludio della rivoluzione che caratterizzerà i prossimi anni.  E’ chiaro che, anche rispetto agli studi sul tempo interiore,  la consapevolezza ed i confini della scienza umana possono sempre essere spostati un po’ più in là, nel tempo. Pertanto intendo trattare ancora una volta il tema del tempo vissuto in campo psicologico/psicoterapeutico con cautela e prudenza (epochè) epistemologica. Non c’è modello clinico e terapeutico (incluso quello medico-biologico, fenomenologico o cognitivista) che possa prescindere da un tempo di attesa e di saggia sospensione (epochè, “pausa cronodetica”) rispetto ad una presa in carico del dolore acuto o cronico, alla sofferenza psichica, a livello della coscienza[4],  in concomitanza con l’ analisi del  tempo del racconto[5], il tempo interiore /la temporalità.[6]

Tuttavia per cogliere e intuire il tempo interiore occorre sospendere ogni giudizio già precostituito[7], attuare una riflessione o epochè, tale da consentirci di “afferrare” il fenomeno nella coscienza.

«Facendo questo, come è in mia piena libertà di farlo, io non nego questo mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico; ma esercito in senso proprio l’epochè fenomenologica, cioè: io non assumo il mondo che mi è costantemente già dato in quanto essente, come faccio, direttamente, nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienze positive, come un mondo preliminarmente essente e, in definitiva, come un mondo che non è un terreno universale d’essere per una conoscenza che procede attraverso l’esperienza e il pensiero. Io non attuo più alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto».[8]

E’ facile rendersi conto di come, dopo una epochè,  il tempo vissuto nel dolore psichico  appaia in maniera diversa in base alle nostre condizioni psichiche nel qui ed ora, alle  distorsioni del tempo interiore: il tempo      “compreso”, quasi sempre occulto e misterioso nei nostri pensieri, presente nei diversi stati,  appare importante per cogliere ed intervenire sul  cambiamento della persona, la maschera delirante, la costruzione fobica, l’arrangiamento nevrotico vissuto nel presente.[9]

L’esistere (la vita) è caratterizzato dal mutare della vita ( o dall’avvertire ciò che sta o può accadere) ed il tempo interiore  e il fenomeno del repentino (il mutamento vissuto durante una crisi esistenziale o psichica) rivelano all’esistenza un fondamento destabilizzante, uno stato di precarietà.   Solo la persona è in grado di cambiare il  tempo vissuto, da segno negativo della perdita nel passato a segno positivo della speranza (tempo futuro). Durante uno stato repentino di sofferenza,  possiamo  risvegliare e attivare la  soggettiva responsabilità, apparire capaci di rispondere all’appello delle possibilità che provengono dal futuro e che attendono di essere accolte.  Nel lavoro clinico occorre porre più attenzione alle modalità normali dei fenomeni temporali, poiché solo attraverso il confronto con la normalità è possibile raggiungere un’effettiva comprensione delle manifestazioni psicopatologiche legate al tempo interiore. Troppo spesso, invece, l’esplicitazione della normalità non viene intesa come compito specifico. In questo senso, l’analisi e la comprensione empatica si propongono come metodi per la realizzazione d’una comprensione totale del paziente.  L’interesse per la persona in relazione al tempo vissuto, e non per la malattia/sofferenza oscura è in fondo un elemento costante del lavoro. A volte nel paziente il non-poter-più procedere nel tempo (tempo fermo),  l’inaridirsi del futuro (tempo che scompare) come orizzonte di vita si costituiscono, a livello psicopatologico[10], come  elementi psicologici prioritari  nella singola esperienza psichica. Negli stessi pazienti sopravvive la dimensione del presente (ansia del presente) o del passato (tristezza del ricordo). Il tempo appare risucchiato, sospeso e bloccato o divorato mentre il desiderio personale scompare, il malessere, il tremore e l’incertezza abitano nelle persone, mentre il ricordo passato (il tempo che fu) non dà tregua e alimenta il patire e le esperienze della colpa.

«La paticità originaria del tempo come dolore della perdita rimbalza nel desiderio come struggente passione del ripristino e nel tremore come inquietante sentore della contingenza. Il dolore per la rottura della mia continuità si converte nel desiderio del suo ripristino. Ma la continuità spezzata è l’irruzione della contingenza. Perciò il desiderio è esacerbato dal malessere dell’incertezza».[11]

Anche Freud,  dopo aver costruito il suo modello psichico (Io, Es e Super-io; conscio, preconscio e incontro) pose attenzione  al vissuto del tempo interiore e presente dei pazienti, soffermandosi sul tempo passato  e legandolo a traumi infantili e allo sviluppo della sessualità. Il merito di Freud infatti, sin dagli inizi dei suoi studi e dal caso d’isteria di Anna O., fu  di avere attribuito al sintomo psichico  una sovrastruttura/paradigma legata ad un nuovo tempo di vita (ciò che succede ora appartiene al passato ed occorre  rendere conscio l’inconscio) ossia di rendere presente il passato (il ritorno del rimosso): il sintomo nevrotico incamera una spiegazione legata al passato (trauma)[12]. Il sintomo psichico riattualizzato, secondo Freud, è connesso con l’esperienza precedente (le tracce del passato) vissuta dal paziente anche nel tempo presente che si ripresenta alla coscienza nella relazione con l’altro; tra il clinico e il paziente si ripresentano antichi episodi che confluiscono in una rielaborata relazione (transfert e contro-transfert).

«In realtà, noi camminiamo nel tempo, in esso organizziamo la nostra vita, tutta la nostra vita, e in esso volteggiamo con facilità e sicurezza, arriviamo ad affermarci in esso, a lasciarvi un’impronta della nostra azione personale».[13]

Quindi non sono possibili modelli narrativi e terapeutici efficaci se non tenendo presenti queste misteriose ed interne modificazioni spazio-temporali e del linguaggio; mutamenti interni alla coscienza  dei pazienti, che trascinano con sé l’esigenza di articolazioni aperte o chiuse.  Da questa più radicale possibilità di comprensione delle strutture (esistenziali) costitutive della  sofferenza psichica discendono  modelli pratici di cura interpersonale con i pazienti nel contesto del  loro vissuto spazio-temporale e della loro intersoggettività, anche se il  flusso temporale e il vivere il tempo sono strutture del tutto diverse nella loro costituzione ontologica. Potremmo dire che ogni cura può essere intesa come un percorso narrativo nel/con il tempo vissuto, nello spazio dell’esistenza narrata  che mira ad un cambiamento a livello personale:  il potere trasformativo del dialogo interattivo-terapeutico poggia sul sentire  (patire) e l’esperienza interiore (la coscienza di sè),  spesso vissuta come una ferita dal paziente, un  danno e una sofferenza.  Il linguaggio è scandito nel tempo, le parole vengono pronunciate l’una dopo l’altra a formare delle frasi  che compongono a loro volta una descrizione, un’analisi. Il carattere sequenziale del linguaggio è anche un dato tecnico, che  si fonda sulla struttura della mente umana, la quale non è nel tempo ma è essa stessa temporalità vivente, rammemorante, intenzionale. Il tempo diviene tempo umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo; per contro il racconto è significativo nella misura in cui disegna i tratti dell’esperienza temporale.

«… Che la tesi presenti un carattere circolare è innegabile…Il circolo tra narratività e temporalità non è un circolo vizioso, bensì un circolo corretto».[14]

«Forse l’emozione del tempo è precisamente ciò che per noi è il tempo».[15]

Durante una condizione di limite e danno personale (sofferenza psichica), ci si può soffermare sul proprio tempo interiore dando una nuova direzione e un ordine positivo al proprio camminare nel tempo? Accade spesso che il tempo interiore anziché espandersi in un prima e un dopo (tempo longitudinale) si contragga nei vissuti interni (tempo trasversale), si arresti, fino al punto che la persona, nel qui ed ora, si senta  smarrita, ansiosa e triste avvertendo una sorta di diminuzione nel proprio vissuto interiore. Così una paziente mi narra dell’ansia dell’oscillare del tempo vissuto rispetto al tema della felicità personale e al mondo delle relazioni affettive:

«Però ieri è successa una cosa positiva, mi sono vista con un ragazzo conosciuto su un sito…. Mi sembra un bravo ragazzo, ma devo capire bene tutta la situazione, perché l’ho comunque conosciuto sul sito, un sito di incontri, dove ci sono ragazzi che hanno le più varie intenzioni, anche quella di fare solo sesso. La realtà è che voglio essere felice e il modo per esserlo è raggiungere la stabilità sentimentale, che però purtroppo non sto ancora raggiungendo, ma spero un giorno di raggiungere. Ho terrore di non riuscire a fidanzarmi stabilmente e quindi di soffrire a causa di questa cosa. Oggi è successa una cosa che non so gestire, o meglio una cosa che da un lato mi rende felice e dall’altro penso che possa crearmi problemi. Ho contattato su Whatsapp un altro ragazzo che ho conosciuto, lui mi ha detto che vuole vedermi e questa cosa da un lato mi rende felice, ma dall’altro lato penso che possa crearmi problemi perché sto già in contatto con un altro ragazzo e penso che vedermi con due ragazzi in contemporanea mi possa confondere. Non so cosa fare. Spero solo che tutto proceda in futuro  per il meglio».[16]

Il vissuto centrale (il patire, il futuro) che si coglie si lega al desiderio di realizzare e attualizzare una nuova relazione con l’altro (il fidanzato) al di là al tempo presente. Temporalità e vissuto interiore si intrecciano nella autoriflessione.

«Il termine vissuto è il punto centrale che bisogna comprendere. Si può parlare di tempo e di spazio, di quantità e di qualità, di relazione e di modalità: si è portati, allora, a pensare alle istituzioni kantiane di tempo e di spazio e alle quattro parti della tabella kantiana delle categorie, parti che passano, appunto, sotto i nomi di quantità, qualità, relazioni e modalità. Ma queste categorie non sono dedotte dai giudizi, non sono categorie logiche: sono piuttosto, nella psicologia esistenziale, modi di vivere, modi di sentire lo spazio che ci circonda, e il tempo, nella nostra presenza, nei nostri ricordi, nelle nostre attese e, in tali modi, le caratteristiche del nostro rapporto con gli altri, la possibilità o l’impossibilità, la realtà e l’irrealtà, la necessità e la contingenza di tale rapporto».[17]

Sembra che ciò accada quando  il tempo è vissuto non come mutamento del sentire ma come ostacolo, quando si diventa  spettatori della propria vita accettando di limitarsi a viverla così come diviene senza quasi mai intervenire per mutarla, senza assumersi la responsabilità di modificare l’accadere dell’accadere, al fine di intraprendere le fondamentali azioni di costruzione dell’esserci. A volte capita che il tempo presente occupi gran parte dei pensieri del paziente divorando le  possibili prospettive future . Il passato diviene presente divorante.

«Ieri sera a lavoro credo di aver avuto un attacco d’ansia.. Per un secondo mi ha girato tutto e subito mi sono seduta con le mani che mi formicolavano e il cuore che batteva forte.. Ho provato subito a rialzarmi, ho bevuto acqua e zucchero, ma avevo ancora delle vertigini forti. Quindi mi sono andata a sedere di nuovo, mi sentivo un po’ debole, poteva essere anche mancanza di sonno o calo di zucchero o di pressione. Comunque poi per paura di poter svenire mi è venuto anche da piangere. Ho fatto scendere il mio ragazzo così per qualsiasi cosa, boh c‘era lui.. E mi sono rimessa a lavorare.. Alla fine piano piano mi sono ripresa e ho portato a termine la serata. Inizio a sentire la stanchezza del lavorare 7 su 7 e poi a lavoro iniziano a crearsi tensioni che non riesco a farmi scivolare addosso».

E’ possibile  dare una buona forma al proprio tempo interiore anche quando ci si accorge che l’identità va sgretolandosi in frammenti privi di senso o ci si smarrisce dinanzi al cambiamento repentino del dolore psichico?[18]

Nel repentino il cambiamento può manifestarsi, secondo Masullo (1995), o come grazia (gioia) o come disgrazia (malessere, sofferenza) e in entrambi i casi, indeducibili da qualsiasi riferimento a priori, si sperimenta l’irreversibilità e la contingenza che, a loro volta, svelano il senso del nostro esistere. Il fondo oscuro  della vita diviene, in taluni casi, impossibile da gestire senza un piccolo aiuto terapeutico: l’irreversibilità del tempo suppone la discontinuità del cambiamento.

«Non credo di avere una scelta diversa se non quella di fidarmi di chi sicuramente ne sa più di me. Però aumentare i farmaci mi terrorizza. Mi fa pensare che io con le mie forze non ce la faccio e che sono ancora molto lontana dal benessere. E se non ci riuscissi? Che ne so poi che i miglioramenti sono merito mio e non del farmaco? E mentre questa nuova terapia si stabilizza io torno a stare male? Io sono stata molto male un anno e mezzo fa con gli attacchi di panico ed ansia ed ho il terrore di tornare in quelle condizioni. E poi mi sento sconfitta. Da sola non ci potevo riuscire? So che anche tutti questi pensieri sono inutili per il mio benessere, ma è già un anno e mezzo che mi aiuto con i farmaci. E se mi rimbambisco? Diventerò come quegli storditi che girano con lo sguardo perso nel vuoto? Al di là di questi pensieri bacati, sto cercando di non abbattermi. Sto cercando di stare rilassata e di coccolarmi. Stamattina ho sentito qualche energia in più.. Invece ora mi sento di nuovo a terra…Alle volte provo a chiedermi quale potrebbe essere il lavoro su cui voler investire, visto che sembra che sono in grado di portare avanti poco e nulla. Con la ristorazione ci ho straprovato, e sono stanca di fare la cameriera o la barista. Il rapporto con la clientela però mi piaceva, mi piaceva provare a gestire la cura del cliente. Comunque, anche l’ idea di mettermi in proprio non mi entusiasma. Nella mia ottica futura, ci sono io con la mia famiglia serena, con cui trascorrere tanto bel tempo insieme. Ecco perché mi sono stancata di tutti quei lavori che ti portano via le domeniche, le cene a casa, le feste e tutte le occasioni in cui la famiglia si riunisce…Perché io amo il mare e amo l’ idea che il lido possa essere quel luogo in cui la gente va per godersi il mare ancora meglio, con un po’ di musica magari. E mi piace anche l’ idea che il lido riesce in 3 mesi a farti guadagnare abbastanza per vivere bene anche l’ inverno. Ma a lavorarci non mi piace, perché i lavori stagionali sono sottopagati, i turni sono estenuanti e con 3 mesi di lavoro (da dipendente) che ci fai? Ma il lido ora come ora è decisamente fuori portata. Non ho assolutamente il capitale che serve per poter prendere un lido. Quindi va momentaneamente messo da parte. Lavorare nei negozi mi fa sentire asfissiata. Pensare di stare 8 ore in un negozio (peggio ancora in un centro commerciale), mi rende triste. Ci ho provato in passato a lavorare nei negozi ed ero diventata un cadavere ambulante per quanto mi sentivo triste. Lo stesso varrebbe per i lavori d’ ufficio, che mi allettano leggermente di più, perché se fossero statali, quantomeno mi sentirei sistemata e messa in regola con lo stipendio, le ferie, maternità e tutte le altre cose che lo stato ti garantisce. Eppure, questa idea mi rende felice a metà. Parlando parlando, mi trovo sempre alla stessa solita conclusione. Con l’ avanzare dei social, ho visto persone e persone costruire un proprio brand, una propria azienda. Cioè io persona, sono la mia azienda. È complicato da spiegare, ma mi piacerebbe lavorare con i social. Vorrei essere io la mia azienda. C’è chi emerge nel settore moda, chi nel settore dell’ elettronica, chi perché è particolarmente bello, chi perché ha buone doti comunicative. Cioè se hai un talento o una passione e sai incanalarlo sui social, riuscirai ad avere un seguito di persone che fa riferimento a te per quel settore e avrai la possibilità di essere tu la tua azienda. Mi piacerebbe questo. Ma quali sono i miei talenti? In quale settore vorrei cimentarmi? Io non ho particolari competenze o particolari abilità, però potrei svilupparle. E nel frattempo che faccio? Vivo di speranze? C’è qualcosa che non mi fila. Ci sono due motti che tengo sempre ben in mente da almeno 10 anni: “Fai il lavoro che ami e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita” e “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa in quale porto andare.” Quindi, come la sbroglio sta matassa? Negli ultimi due anni ho investito sulla musica, credendo fortemente che quella fosse la mia strada. Adesso c’è una parte di me che lo pensa ancora ed un’ altra che sta cercando di buttarlo nelle cose che non vanno bene per me. La musica è decisamente una delle poche cose che mi rende felice. E allora perché non la inseguo con tutte le forze? L’ idea di trovarmi a suonare in un locale, non mi fa sentire così felice. Perché? E allora cosa mi fa sentire felice? Boh, forse ho bisogno di esplorare altri modi di lavorare con la musica? O con i social? Ma che ne so, che confusione!».[19]

Ogni esperienza umana è costitutivamente  temporale, nel senso che si estende nel destino personale, nello spazio (abitiamo i luoghi riempiendoli di noi stessi) nel tempo e per il tempo. Non si tratta soltanto di una temporalità intrinseca alla persona, ma anche di una temporalità legata agli accadimenti esterni (cronodesi), viviamo in una temporalità del processo in cui ogni persona entra in relazione con sè stesso.[20]

«L’esperienza è il punto di arrivo di un attraversamento, che è la vivente vita, vissuta. Ora, il vissuto è l’ appartenenza, l’assoluto mio, non certo perché ci sia un io a renderlo possibile, ma perché esso nella sua originarietà è il tempo, il quale, come trauma del movimento destabilizzante, produce nella vivente unità minacciata il bisogno di un indistruttibile appiglio, ne scatena il desiderio di permanenza, vi accende l’ allucinazione del sé. Il fatto della vita è tempo, avvertimento di perdita, e appunto perciò è desiderio, impulso al ripristino dell’ integrità del proprio stato (che si vive come l’esser messo in gioco del sé )».[21]

Questo livello di temporalità è insieme costituito e costituente e ci fornisce la conoscenza di noi stessi: è costituito poiché ogni individuo assume, dentro la coscienza, il “fattore tempo” come condizione di  vita, consapevolezza, datità[22], ed è costituente dal momento che influisce sulle nostre percezioni presenti e aspettative, la nostra immaginazione (come sarà il futuro?). In ambito clinico  non vi è processo di indagine che si collochi al di fuori di un tempo vissuto (come vive il suo tempo il paziente?), al di fuori di un’ermeneutica del vissuto – inevitabilmente soggettivo – di come si possa vivere il tempo, anche durante una malattia o sofferenza, da parte del paziente.

«Le diverse dimensioni del tempo sono simultaneamente delle maniere di essere sé-stesso…Ciascuno di noi vive il suo esser-là temporalizzandolo a suo proprio modo…E’ precisamente questa molteplicità della costituzione temporale ontologica dell’essere-sé-stesso che la psicopatologia clinico-antropologica può mettere in evidenza».[23]

Quindi il disagio psichico può essere inquadrato (e compreso) come disturbo del senso del tempo, alterità della progettualità verso il futuro  e compromissione del patire. In questa ottica il paradigma della temporalità viene introdotto nel vivo della pratica terapeutica come un dispositivo operativo  utile a comprendere, ripristinare e rinsaldare, nel paziente,  le connessioni interrotte tra passato, presente e futuro, rivelandosi un alleato prezioso nel lavoro psicologico. La dimensione temporale può  riattivare i suoi processi evolutivi e ricreare l’apertura al futuro, prendendosi cura di sé.

«Il flusso originario del presente vivente è la temporalizzazione originaria…Tempi, oggetti, mondi di ogni senso hanno infine la loro origine nel flusso originario del presente vivente – o, meglio, nell’io originario trascendentale, il quale vive la sua vita originaria come presentazione originariamente fluente e come presente, e così a suo modo ha essere, essere in una temporalizzazione originaria, che nel fluire costituisce un tempo originario e un mondo originario».[24]

Allo stato attuale il tempo interiore[25], a partire da Brentano,[26] costituisce un importante filone di ricerca in campo psicologico-psichiatrico.   In altri termini il tempo a livello personale è presente anche se “indicibile”. Molti pazienti ansiosi o depressi giungono a sovra-utilizzare, sovrastimare o amplificare uno di tali orizzonti temporali e a sottoutilizzare gli altri, soprattutto durante uno stato acuto di sofferenza oscura.  Ciò accade anche durante la crescita umana (crisi esistenziali). L’esperienza di comprensione  del tempo psicologico/interiore avviene tramite alcune operazioni: prassi legate alle proiezione nel futuro, la memoria del passato e la coscienza nel presente.[27]

«A ciascuno di noi, soprattutto quando siamo stanchi e affaticati, può capitare che un contenuto di coscienza (un pensiero, un’ immagine, un motivo musicale, una fantasia, un impulso aggressivo, un ricordo) nasca in noi e non se ne voglia andare via: ma la sua permanenza in noi è abitualmente temporanea e non si estende, implacabile e graffiante, lungo il corso delle giornate e dei mesi: non ci rende prigionieri, oscurando la nostra libertà, come accade invece nel contesto di esperienze (neurotiche) ossessive così ostinate e così ribelli, così enigmatiche e cosi dolorose».[28]

Nella esperienza  vitale  il presente è l’istante che separa ciò che non esiste più da ciò che non esiste ancora (il nulla) e il suo continuo movimento scandisce il passaggio irreversibile del tempo, da un prima ad un dopo. Nel processo di comprensione del tempo  la coscienza riflettente   ci permette  di mettere in campo forme di resilienza e riadattamento al tempo vissuto patologicamente. [29]

«Nella depressione si è immersi radicalmente in un tempo vissuto a cui è tolto il futuro e che è dominato dal passato».[30]

Durante una crisi psichica  il tempo presente  rapidamente diviene passato, durata breve (attimo), atomo di presente, diverso da quello dell’orologio che è un tempo misurabile, lineare e ciclico: il tempo assume  declinazioni,  significati e gradi d’importanza differenti, dando luogo ad una certa disomogeneità  rispetto ai  modi di esperire il tempo e al suo potere di strutturare la vita psichica.

«Gli stati di coscienza si succederebbero come lo fanno i momenti del tempo, e noi saremmo trascinati, fatalmente, ciecamente, da questa successione che nulla sarebbe in grado di fermare. Anche prima di essere stati in grado di renderci conto di ciò che accade in un preciso momento, noi ci troviamo già nel momento successivo. È come se un carro ci travolgesse nella sua corsa, senza che noi potessimo né fermarlo né scendere per mettere i piedi per terra. La vita della coscienza si fa puntiforme. Relegata nei momenti che si succedono, essa non può, almeno originariamente, avere alcuna visione del tempo. L’immagine stessa del tempo da cui siamo partiti non saprebbe nascere con immediatezza nella coscienza. Perché ci sia visione del tempo, bisogna ora ammettere un legame tra due momenti successivi. Ma dove collocheremo questo legame? Non c’è affatto posto per lui tra questi due momenti. Deve necessariamente trovarsi in uno di essi. È allora che si ricorre alla memoria, nel suo aspetto puramente statico, vale a dire in quanto traccia capace di riprodurre a un momento dato ciò che è stato nel momento precedente. In una coscienza puntiforme ci sarebbe ora a fianco dell’attuale una traccia del passato. Ma perché l’attuale sia vissuto come tale e perché la traccia sia per la coscienza un richiamo del passato, è necessario che questa traccia comporti intrinsecamente un’intuizione del passato che non saprebbe peraltro ottenere. Ciò significa che l’intuizione del tempo deve precedere l’interpretazione temporale che la coscienza darebbe al contenuto: momento presente + traccia del momento precedente; e più nello specifico che devono esistere dei fenomeni che, se si succedono nel tempo, contengono in essi ancora l’elemento temporale. Siamo così condotti ai dati immediati relativi al tempo».[31]

Numerosi autori hanno dato un loro contributo alla conoscenza della psicopatologia del tempo.

«In ogni esperienza depressiva, in ogni forma di tristezza (“normale” o “patologica”), si fa evidente la discontinuità, la disarticolazione, del tempo interiore, del tempo vissuto. La meta- morfosi del tempo interessa emblematicamente la dimensione del futuro, del presente, del futuro agostinianamente, attenuandosi e dileguandosi la speranza e l’attesa: si ha un futuro privato della speranza. Quando la tristezza è una tristezza motivata (una tristezza esistenziale), l’esperienza del futuro non è cancellata ma è solo oscurata, e l’orizzonte della speranza non è soffocato; mentre, quando la tristezza è una tristezza profonda (quella che la psichiatria clinica chiama psicotica, o endogena), non c’è più futuro e non c’è più speranza».[32]

Per lo psicologo James il presente sensibile possiede una sua durata: non deve essere considerato come un concetto privo di riferimento empirico. Lo  specious present  si mostra come “l’unico fatto” dell’esperienza immediata. Sappiamo che il tempo possiede una sua specifica configurazione rispetto allo spazio che si fonda sulla differente natura delle sensazioni elementari della durata rispetto allo spazio. In questo senso la coscienza del cambiamento è assunta da James come la condizione che rende possibile la nostra percezione del flusso temporale. Egli insiste nel considerare del tutto priva di significato un’analisi che tenti di definire il tempo come una sorta di concetto vuoto, non “riempito” dal momento sensibile. Lo psichiatra Tatossian[33] contrappone il tempo esperito, quello cioè che designa le variazioni psicologiche della perce­zione del tempo oggettivo o cosale (il tempo dell’orologio e dei ritmi naturali), al tempo vissuto o reale, che indica il dinamismo interiore del divenire, e cioè il tempo trascendente: tempo del mondo o tempo intersoggettivo.[34]

Interessante si presenta il lavoro dello psichiatra Fucht  che si è interessato alla struttura del tempo nei disturbi legati alla schizofrenia. Il suo schema sulla disarticolazione dell’esperienza interna del tempo nei pazienti è ancora valido.

Disarticolazione dell’esperienza del tempo vissuto[35]

1) 1.1 Distruzione del fluire temporale (Il tempo/non tempo) 

«L’acqua che tocchi dei fiumi è l’ultima di quelle che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente».

1) 1.1 Distruzione del fluire temporale    (Il flusso/arresto) 

Frammentazione dell’Arco intenzionale

Schizofrenia: Frammentazione dell’Arco intenzionale  – Indebolimento dell’autoesperienza

Nella schizofrenia la sintesi temporale implicita o automatica necessaria per la costituzione della realtà è disturbata. Questo porta ad una frammentazione dell’arco intenzionale, lasciando i singoli elementi dei processi di percezione, azione e pensiero non collegati

  • Pensieri non incorporati nella continuità di base dell’esperienza di Sé
  • Interruzione dei pensieri nell’arco intenzionale
  • Pensieri non più organizzati – appaiono contro la mia intenzione e la loro direzione è invertita (non sono miei e messi nella mia testa)
  • Sintomi disturbo del pensiero – esperienze di influenzamento, allucinazioni verbali (resti dell’arco intenzionale frantumato)
  • Viene compiuta la sincronizzazione intersoggettiva: desincronizzazione (stagnazione del tempo personale rispetto al tempo intersoggettivo)

 

Il tempo in schizofrenia

Abnorme esperienza del tempo nella schizofrenia  
Disarticolazione dell’esperienza del tempo ·                     Distribuzione del flusso temporale (il tempo si annulla)

·                     Déja Vu/Vecu (il tempo esiste/non esiste)

·                     Premonizioni su sè stessi (mi succederà qualcosa nel tempo futuro…)

·                     Premonizioni sul mondo esterno (succederà qualcosa nel mondo ora, o tra poco…)

Disturbata esperienza della velocità del tempo ·                     Velocità del tempo anomala (decelerata, accelerata o sia decelerata che accelerata) Il tempo sembra correre con me
Discrepanze sull’esperienza del tempo rispetto ·                     Tempo diverso confrontato alla precedente esperienza (o comune esperienza del tempo)

·                     Perdita dei comuni riferimenti temporali (smarrimento, confusione, dissociazione, derealizzazione, scollegamento corpo/pensieri/pathos)

Secondo Borgna[36] (2012) possiamo dare diverse forme al vissuto del tempo.  Borgna ci fa notare come ogni paziente  vive fenomenologicamente il tempo interiore  e  si chiede che cos’è per ciascun paziente il tempo. Qual è il significato che assume? Quanto è rilevante nella definizione delle identità e delle esperienze di dolore di ciascuno?  Nella vita possiamo vivere, consapevolmente, degli sbalzi vertiginosi del tempo: l’esperienza dello spazio (spazio vissuto) contrassegna  la forma di esistenza psichica (maniacale o depressiva, e schizofrenica), ma diventa anche l’esperienza del tempo (il tempo vissuto).[37]

 

«La temporalità, lo si è detto prima, è la fascia che avvolge nelle sue volute multidimensionali l’accadere dell’accadere».[38]

 

Il tempo vissuto assume, per Borgna,  varie forme:  il tempo si arresta (blocco), si evolve verso altre direzioni (futuro);  si polverizza (perde ogni significato esistenziale), subisce degli sbalzi (il tempo vissuto si sposta da un polo all’altro: dal passato velocemente verso il futuro e via dicendo).

In realtà la polverizzazione del tempo  (casi di mania), l’arrestarsi del tempo (casi di espressione psicotica) e gli sbalzi vertiginosi del tempo (casi di schizofrenia), sono elementi psicopatologici che devono essere riconosciuti nella loro articolata e multiforme dimensione. Tutto ciò  appare utile se si vogliono affrontare le esperienze psicologiche legate alla sofferenza psichica, adottando   una prassi efficace e adeguata.[39]

Quindi il tempo vissuto/interiore rimane in rapporto con noi stessi e il mondo (cronodesi), sta in rapporto con la finitudine, caratteristica della mortalità, e insieme con l’infinito, ma anche con le emozioni, quali il dolore e la gioia.[40] Nel suo trascorrere condiziona la vita quotidiana, così come colora le esperienze delle crisi, del disagio che lo trascendono. È elemento costitutivo dell’identità e permea la coscienza e l’esistenza di ciascuno.

Blankenburg[41] affronta la questione della temporalità nell’ottica della vita quotidiana, in quanto correlato della abitualità sana[42], mentre lo psichiatra giapponese Kimura, indagando il tempo vissuto come forma dell’essere-là-personale, afferma che questo modo del tempo non è di per sé sempre o necessariamente intenzionato dalla coscienza.[43]

Kimura[44], dopo il bellissimo lavoro di Minkowski, approfondisce il tema della  temporalità ossia  la categoria del tempo che appare come costitutiva dei vari modi  di comprendere e di essere gettati nella vita.[45] E’ bene ricordare che la caratteristica del tempo vissuto  non è sperimentata necessariamente nella coscienza nelle forme patologiche quali sensazioni di alterazione del flusso del tempo (distorsione/rallentamento/accelerazione), come  può avvenire nelle forme ansiogene, nella melanconia o negli stati di agitazione o mania. Per Kimura nell’esistenza “normale” esistono tre modalità di vivere il tem­po: ante festum (passato), intra festum (presente) e post festum (futuro) a seconda che il tempo sia focalizzato sul passato, sul presente o sul futuro.[46]

Queste modalità si presentano di solito ben equilibrate tra di loro, benché uno di questi modi della temporalizzazione possa, in misura maggiore o minore, predominare sugli altri due.  Ma quale forma di angoscia corrisponde a ciascun modo di esistenza, a ciascuna maniera di vivere il tempo?

Una prima forma di angoscia osservabile negli schizofrenici (e anche in forme di nevrosi giovanile) è rappresentata da una sorta di angoscia per l’avvenire sconosciuto (tempo in direzione del futuro), per l’imprevedibile (tempo in direzione del futuro), di ciò che potrebbe accadere ad ogni momento e che non è ancora presente. Chi soffre di schizofrenia si sforza penosamente di afferrare i presentimenti, anche vaghi, e i lontani presagi, e manifesta una straordinaria sensibilità o una indifferenza per le “cose” del presente.  Dietro a questo modo di vivere il tempo focalizzato sul futuro vi è il problema della costituzione della propria soggettività/identità: un’ identità che non è mai posseduta una volta per tutte  ma deve essere acquisita sempre di nuovo, nel momento che segue (tale modo di vivere il tempo è la modalità ante-festum o prima della festa).[47]

Kimura  sottolinea inoltre che  questi due modi del tempo strutturante, ante- e post-festum, compaiono in maniera esasperata in condizioni di patologia, ma sono già distinguibili nella tipologia del temperamento della persona.[48]

Infine una terza forma di temporalità costitutiva  e di angoscia è quella che viene definita modalità intra-festum: una sorta di temporalità puntiforme, vissuta istante per istante nel presente, un modo di essere totalmente assorbito nella immediatezza/istante, che trova la sua espressione nella patologia borderline.  Tuttavia nelle fasi di crisi esistenziale, sotto la pressione di gravi turbamenti psichici insorge l’angoscia, che accomuna, a gradi diversi di intensità, tutte le for­me di disturbo mentale.[49]

Tempo Ante festum (Kimura, 1992)

Struttura della temporalità schizofrenica   dominata dall’anticipazione e dal presentimento dell’avvenire: si tratta di una temporalità di tipo ante-festum, che significa prima della festa.

  • La coscienza ante – festum è la coscienza della «grande sera» alla ricerca di libertà e di rivoluzione. A differenza del rivoluzionario, la coscienza ante-festum dello schizofrenico è scissa dal fondo dell’esperienza e si è trasformata in un’anticipazione di un avvenire trascendente vuoto. Tale anticipazione si fonda, per il paziente, sulla propria impossibilità a soggiornare tra le cose («perdita dell’evidenza naturale»).[50]
  • Il paziente è così imprigionato all’interno di una modalità temporale particolare che riguarda un’ora istantanea che spinge verso un futuro sconosciuto.
  • Il paziente mostra un distacco dal passato che è oppresso dai fallimenti delle loro imprese, indifferenza attonita verso il presente, tranne per ciò che può rappresentare un presagio per il futuro e l’esigenza appunto di anticipare le cose che devono avvenire.

Come il tempo, anche lo spazio non può essere colto immediatamente dal soggetto nell’esperire i propri vissuti: il tempo interiore, inteso come mutamento/flusso, potrà affiorare e modificare la coscienza vissuta mediante un percorso terapeutico duale (intersoggettivo) basato non tanto sulla spiegazione ma sulla comprensione di ciò che si manifesta, appare, viene vissuto (pathos). Kimura[51] pone una distinzione  essenziale  fra “coscienza del tempo” e “vivere il tempo”, fra   il “tempo esperito” (temps éprouvé) e il “tempo vissuto” (temps vecu  di E.Minkowski). In sostanza noi siamo, come persona, posti nel tempo, nei modi in cui viviamo.[52]

Esistere implica decidere di non lasciare che il tempo vissuto, semplicemente, ci attraversi nel vuoto dell’esistenza, passi senza che nessun filo di senso possa essere disegnato nello spazio della vita e dell’abitare, seppur breve del proprio divenire. Inevitabile, per ogni persona, esperire momenti di ansia, dolore, sofferenza e inquietudine e un senso di difficoltà, conseguente al sentirsi sfuggire il tempo (o notare un tempo fermo), esseri fragili e vulnerabili. L’esistenza stessa chiede di impegnarsi a tessere fili di senso nel tempo che c’è dato, per andare al di là di dell’angoscia. A volte questo modo del sentirsi accade quando ci si trova ad esperire una forma di sospensione rispetto al vivere mentre la vita prosegue: si avverte che il tempo ci passa accanto senza poterlo vivere nel concreto.

Allora gli atti, che passano senza aver goduto di un presente svaniscono e, con essi, si dileguano le proprie possibilità esistentive e di adattamento all’ambiente, al mondo.

In taluni casi, quando la tendenza alla distrazione è sempre in agguato, risulta necessario, al fine di promuovere una sorta di attenzione riflessiva, praticare una sana fenomenologia del tempo.
Ogni atto terapeutico verso qualcuno  implica un tempo vissuto a livello duale, un coinvolgimento personale, una trazione forte d’azione verso una persona sofferente.  Ogni  persona sofferente è  tesa in un costante sforzo di  adeguamento agli orizzonti (psicologici, culturali, sociali) progressivamente subentranti del tempo, verso una cronodesi fondamentale come Piro la definiva.

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[1] Solitamente, e non solo in campo psicologico-psichiatrico, la conoscenza dell’altro o di ciò che accade, durante una relazione umana terapeutica, è anticipazione dell’altrui azione nel tempo vissuto: è una comprensione interumana e intersoggettiva per ricorrenza (diacronica), o conoscenza di massa (sincronica) o conoscenza di massa per ricorrenza (pancronica).

[2] Cfr. McTaggart J.E., L’irrealtà del tempo Rizzoli, Milano 2006. L’apriori universale che il tempo è si espande nel presente vivo della durata. Questa distensio è una delle «scoperte principali» del filosogo Husserl, è «la costituzione del presente dilatato grazie all’aggiunta continua delle ritenzioni e delle protensioni nel punto – sorgente del presente vivo». La distensio è però sempre legata ai ritmi del mondo – a cominciare da quelli circadiani e biologici (ritmi cirdadiani) – e da essi è inseparabile. In realtà «noi non produciamo affatto il tempo, ma è lui ad accerchiarci, a circondarci e a dominarci con la sua temibile potenza». Non è la coscienza umana a costituire il flusso ma flusso e coscienza sono parte di una dinamica più ampia, che possiamo definire come la plurale unità del tempo. Cfr. Husserl E., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino, 1965; Husserl E., La coscienza interiore del tempo, Filema, Napoli, 2002.

[3]  Si ricorda il contributo di Erwin Straus rispetto alla  contrazione, la dilatazione della spazialità ricorrenti nelle forme cliniche dell’ossessione, lo sfalsamento, la discordanza tra il “tempo transitivo”, il “tempo del mondo” (velocizzato) e il “tempo immanente”, il “tempo dell’io” (rallentato) nella esperienza malinconica, la stasi temporale che scandisce la vita del fobico. Straus si muove dall’idea che l’esperienza psichica sia per sua natura temporale e storica. «La condizione dell’esperienza umana consiste in questo: chi sperimenta un vissuto (der Erlebende) sperimenta se stesso come diveniente»(Straus E., 1930). L’esperienza primaria del tempo cui qui si allude è quella di una soggettività che, facendo esperienza del mondo, percepisce anche il proprio cambiamento, trova connessioni nel variare delle prospettive. Gli accadimenti dello spazio e del tempo oggettivi, sono di per sé indifferenti; diventano Erlebnisse, ossia esperienze vissute, quando il divenire psichico entra in connessione con essi. Cfr. Straus E., Il vivente umano e la follia: studio sui fondamenti della psichiatria, Quodlibet, Macerata 2010; Straus E., Forme dello spazio, forme della memoria, Armando, Roma 2011; Straus E., Sull’ossessione, Fioriti Editore, Roma 2016; Minkowski E., Straus E., von Gebsattel V., Antropologia e psicopatologia, Anicia, Roma 2014.

[4] Per chi scrive una percezione soggettiva è adeguata soltanto se è allo stesso tempo evidente. Adeguata appare una percezione interiore capace di cogliere l’oggetto osservato senza che alcun “residuo coscienziale” venga incluso: si potrebbe dire che la coscienza presuppone, alla base,  una forma di autocoscienza, di consapevolezza dei vissuti (erlebness) che sono poi oggettivati. Trattasi di un riflettere rivolto all’appena passato e un riflettere rivolto a ciò che è defluito ma che può tuttavia essere riportato al presente  attraverso un atto di riflessione, una rie-vocazione.

[5]  Ricoeur P., Tempo e Racconto, vol. 3, Jaca Book, Milano 1988, pp. 52-53.  Per Ricoeur  i fondamenti della temporalità sono individuati nella temporalità agostiniana e nella mimesi aristotelica. Egli  conduce un’analisi accurata che individua nella congiunzione di distensione e triplice presente la cifra propria di Agostino. Il tempo è dentro l’anima, il tempo è l’anima, come per Plotino. Ma se in Plotino il riferimento è all’anima del mondo, per Agostino il tempo siamo noi. Nell’interiorità della mente umana -alla fine a noi stessi insondabile- il tempo si costituisce e diventa un’entità nomade, fatta di transito, misurata non nel suo essere ma nel suo passare, nel divenire. Per questo, soprattutto per questo, l’umano è un dispositivo temporale, per la finitudine dinamica di cui è fatto. Non mi sembra quindi così evidente e motivata l’opposizione che Ricoeur individua tra il presente agostiniano e il futuro heideggeriano, poiché entrambi sono radicati nella finitudine come Sein-zum-tode o in quanto relazione profonda tra l’eternità del creatore e la mortalità delle cose create. In ogni caso e per entrambi il tempo esiste e scorre nella sostanza umana come presente delle cose che sono state, presente delle cose che sono, presente delle cose che saranno, come cura rivolta al mondo a partire dalla comune finitudine che attraversa tutti e l’intero.

[6] Personalmente  immagino e pongo una distanza tra il tempo interiore (vissuto) e la temporalità intesa come relazione tra persona e tempo come storia, durata, calcolo e previsione di ciò che può accadere (“anticipazione cronodetica” secondo Piro). Nell’inquieto spazio del  seguente sentiero di ricerca psicologica echeggiano, a partire da Husserl, Masullo e Piro,  le riflessioni di Sant’Agostino dinanzi all’impossibilità di affermare cosa sia  il tempo, quel tempo che, dentro di noi, tuttavia intendiamo come intendiamo noi stessi.

[7] Per coloro che, come chi scrive, svolgono attività didattica (empirica) e soprattutto clinica  nel vasto orizzonte sociale, della sofferenza oscura e delle mutazioni, contro le situazioni (anche interiorizzate) di limitazione e danno personale, utilizzando percorsi diversificati,  prassi  trasformazionali diretta ad altri (in genere persone sofferenti, escluse, marginate) congiuntamente ed in maniera intrecciata nel campo sociale, mutamento personale, passione del viaggio comune, auto-critica, il legame al proprio tempo personale e storico, labilità dei mezzi e provvisorietà delle scelte strategiche costituiscono dei precisi aspetti legati ad un “atteggiamento operazionale” (abito mentale).

[8] Husserl E., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, a cura di E. Filippini, Einaudi, Torino, 1965, p. 65-67.

[9] Occorre tener presenti  concetti tratti dagli studi di Piro (1995), legati al tempo vissuto nei pazienti,  quali la maschera delirante (la psicosi), la costruzione fobica, l’arrangiamento nevrotico.

[10] Occorre sottolineare che alcune prassi antagonizzanti la sofferenza umana, nell’ottica della cura,  possono includere diversi fattori: l’attesa, il silenzio, la pausa cronodetica (sospensione del giudizio), la libera fluenza (associazioni libere), la riflessione su se stessi o erlebnis, la costituzione finalizzata ad un obiettivo preciso e a modalità operative (orari, spazi, “setting”). Cfr. Piro S., Antropologia Trasformazionale. Il destino umano e il legame agli orizzonti subentranti del tempo, FrancoAngeli, Milano, 1993. p.195.

[11] Masullo A., Il tempo e la grazia. Per un’etica attiva della salvezza, Donzelli Editore, Roma 1995, p.88.

[12] Altri autori e psichiatri come Pierre Janet e Josef Breuer  evidenziarono tali aspetti (1880/1982).

[13] Marc A., Les Temps et la personne, t. IV, 1934-1935.

[14] 1 L’opera   è Temps et récit, pubblicata in tre volumi fra il 1983 e il 1985 Editions du Seuil, Parigi. I titoli sono -rispettivamente- Temps et récit, La configuration dans le récit de fiction, Le temps raconté. La traduzione italiana è di Giuseppe Grampa, edita da Jaca Book (Milano 1986-1989) Volume I, p.15,

[15] Rovelli C., L’ordine del tempo, Adelphi 2017, Milano, p.170.

[16] E’ facile constatare, rispetto al tempo vissuto (patico),  l’oscillazione, quasi ossessiva, tra la “futura felicità” (il desiderio e l’attesa ansiogena) e l’incamminarsi verso il futuro (“non sto ancora raggiungendo, ma spero un giorno di raggiungere”).

[17]  Minkowski E., Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, Torino, 1971, p.X.

[18] Cfr.Masullo A., Il tempo e la grazia. Per un’etica attiva della salvezza, Donzelli Editore, Roma 1995. Per Masullo se l’inizio d’ogni sentire è l’avvertimento di sé, anzi di perdita di sé, allora il tempo è simultaneamente separazione e cambiamento; ma il cambiamento repentino è salto ed è destabilizzante, pertanto mostra un tempo senza grandezza e senza misura, un tempo originario e puro. Come afferma Masullo il «fenomeno del “repentino” non ha potenza cognitiva o semantica ma soltanto affettiva o patica. Il senso con cui lo si vive, è il patos del cambiare in quanto cambiare, ovvero il tempo nella sua purezza». Il repentino non abita nessun luogo ed è indeducibile, è vera e propria innovazione. È quindi inspiegabile perché non inscrivibile in un continuum. «Il tempo autentico non è un’idea, un oggetto qualsiasi della mente, ma un fatto, l’emozione originaria dell’esistenza, la passione assoluta. Esso è l’autoaffettivo senso della frattura irreversibile, il vissuto dell’insanabile discontinuità della vita, e della traumatica irruzione della contingenza».

[19] Nel vissuto del tempo interiore si avverte, nel racconto della mia paziente, lo smarrimento, ossia il vissuto del tempo come non utile e in attesa di futuro.

[20] Tale problema può essere assunto come il fine ultimo di uno studio della coscienza interna del tempo. Da una parte  troviamo, a livello percettivo, gli oggetti d’esperienza che, nel loro manifestarsi, risentono in una certa misura della temporalità; dall’altra gli atti e le prassi attraverso i quali intenzioniamo tali oggetti, dando senso e significati. Questo duplice riferimento al momento temporale conduce a una difficoltà: com’è possibile preservare la natura unitaria della coscienza tenendo parimenti conto del suo essere temporalmente distribuita e cangiante?

[21] Masullo A., Ma quando lo “andiamo a cercare” siamo sicuri che l’ “Io” esista ?, ilviandanteelasuaombra https://ilviandanteelasuaombra.wordpress.com/2012/08/17/ma-quando-lo-andiamo-a-cercare-siamo-sicuri-che-l-io esista, 2012. Il corsivo  è del sottoscritto.

[22] L’essere dato, il modo con cui un oggetto è «dato» (cioè si rivela) alla conoscenza; talora  ciò che è «dato». Il termine indica nel linguaggio filosofico, quanto può oggettivamente costituire il supporto dell’attività conoscitiva.

[23] Kimura B., Scritti di Psicopatologia Fenomenologia, Giovanni Fioriti, Roma, 2005.

[24] Hua-Mat VIII Späte Texte zur Zeitkonstitution (1929-1934). Die C-Manuskripte, hrsg. von D. Lohmar, Springer, Dordrecht/Berlin/Heidelberg/New York 2006, p.4.

[25] In campo psicologico la temporalità  può essere intesa come elemento-ponte per inquadrare i contenuti reali della nostra esperienza all’interno della coscienza. Così può  rappresentare quella forma e costituzione ontologica che permette la consequenzialità degli eventi all’interno di una coscienzialità temporalmente strutturata (stabile). Tale costituzione ontologica prevede, nella persona, un presente che si dipana in un prima e in un dopo.

[26] Per il filosofo Brentano, facciamo continuamente esperienza del tempo. Egli è convinto (a) che l’origine dell’idea di tempo si sviluppi a partire dal modo in cui noi percepiamo quegli oggetti che sono temporalmente distribuiti; che (b) l’idea del tempo debba essere ricercata nell’ambito dei fenomeni psichici; che (c) l’esperienza del tempo si riferisca a un orizzonte immanente. (d) Le differenze temporali – passato, presente, futuro sono rintracciabili a livello rappresentativo; (e) possiamo fare esperienza del tempo grazie all’associazione originaria, un’attività spontanea che accompagna l’esperienza istantanea associandole una serie continua di rappresentazioni indispensabili per avere coscienza di ciò che si presenta come temporalmente distribuito.

[27] Ora il presente ricorda il passato: una rimemorazione viene stimolata da un oggetto, da un evento, da una situazione che caratterizza il presente vivente e così si scava in quella che viene definita da Husserl parte inconscia al fine di far affiorare un ricordo. Un ricordo può a sua volta suscitarne un secondo e così via. In genere le associazioni funzionano in questo modo: una cosa ne ricorda un’altra.

[28] Borgna E., Le figure dell’ansia, Feltrinelli, Milano, 1997, p.56.

[29] È possibile definire la resilienza come un insieme di adattamenti positivi durante o dopo avversità o rischi notevoli. Michael Rutter, pioniere della ricerca sulla resilienza, la definisce come: termine usato per descrivere la resistenza a esperienze psicosociali di rischio”. Il termine viene più comunemente usato in psicologia per indicare la capacità di fronteggiare situazioni solitamente stressanti reagendo in maniera efficace. Cfr. Rutter, M., Psychosocial resilience and protective mechanisms, American Journal of Orthopsychiatry, 57(3), 1987, pp. 316-331; Rutter M. Implications of resilience concepts for scientific under standing, Ann New York Acad Sci, 1904. Sul tema della resilienza cfr. Walsh F., La resilienza familiare, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008.

[30] Borgna E., I conflitti del conoscere. Strutture del sapere ed esperienza della follia, Feltrinelli, Milano 1998, p.109.

[31] Minkowski E.,  Le problème du temps vécu, in «Recherches Philosophiques», V, 1935-1936, pp. 65-99.

[32] Borgna E., Le figure dell’ansia, Feltrinelli, Milano, 1997, p.139.

[33] Tatossian A. (1929-1995) è l’autore di La fenomenologia delle psicosi (edito in Francia nel 1979). Si è occupato di temi molteplici: dalle “figure” di fondo del metodo fenomenologico (l’epochè, l’intuizione, l’essenza, l’originario, lo spazio e il tempo vissuto) alle grandi categorie psicopatologiche (la schizofrenia, la melanconia e la mania, le allucinazioni e il delirio) ad una serie di temi epistemologici (il sintomo in psichiatria e la distinzione tra norma e patologia).

[34] Anche se nel pensiero classico giapponese si distingue un’Aidà intersoggettivo (nel rapporto con gli altri) e un’Aidà intrasoggettivo (nel rapporto con se stessi), entrambe queste articolazio­ni sono parte di un unico fenomeno primordiale: l’Archeaidà. Ne deriva che nei modi di essere schizofrenici l’insufficienza dell’Aidà intrasoggettivo coincide con l’evidenziarsi di problemi nell’Aidà intersoggettivo.

[35] Fucht T., The Temporal Structure of Intentionality and Its Disturbance in Schizophrenia, 2007, Temporality and Psychopathology, 2010.

[36] Borgna E.,La fenomenologia nella sua teoria e nella sua prassi in Psichiatria, http://www.pol-it.org/ital/borgna2005.htm,2012.

[37] Tale discorso si lega al tema del repentino (Masullo A., 1995). Nel repentino il tempo si scopre come vissuta irruzione della differenza, sentimento traumatico di «destabilizzazione», affettività primigenia da cui ogni senso si origina. Tale discorso offre alla coscienza le condizioni razionali perché essa sospenda la razionale discorsività e ascolti al fondo di sé, come suo incessante nascere, il sordo grido di morte che si nomina tempo, e insieme la voce sommessa dell’assoluta contingenza, del senza-ragione che si nomina grazia. Ora nel “repentino” il cambiamento viene vissuto come un assoluto accadere, che appunto non sarebbe un accadere se non fosse vissuto, sentito, e appunto non sarebbe vissuto, sentito, se non fosse sentito da “un” me. Cfr. Masullo A., Il tempo e la grazia. Per un’etica attiva della salvezza, Donzelli, Roma. 1995; Masullo A., Paticità e indifferenza, Il melangolo, Genova, 2003.

[38] Piro S., Introduzione alle antropologie trasformazionali, La città del sole, Napoli, 1997, p.43.

[39] Nel sondare le profondità dell’animo non si possono dunque trascurare il tempo e l’esperienza diversa che ognuno ne fa. Può trattarsi di volta in volta di un tempo sospeso, come nel sogno, o frammentato, come nella memoria lacerata di chi soffre di malattie quali l’Alzheimer; può essere il tempo della noia, per chi si sente paralizzato nel presente, o quello della nostalgia di chi volge lo sguardo al passato, o ancora dell’attesa di chi guarda avanti, al futuro.

[40] La vita non sarebbe tale se non fosse cadenzata dal passare delle ore, delle stagioni, delle età e di quel tempo più personale che non può venire misurato con esattezza, ma che contribuisce a definire l’esperienza della vita stessa. Il soggetto non sarebbe insomma tale in assenza di una traiettoria temporale.

[41] Blankenburg W. (1928-2002) è l’autore  di La perdita dell’evidenza naturale (1998). Il testo esamina la carenza o la perdita, nell’angosciosa perplessità psicotica, di quella condizione basale che è per tutti noi l’ovvietà dell’“evidenza del mondo”, e che mostra, proprio quando viene meno, il suo ruolo fondante nel nostro esistere. Blankenburg W., La perdita dell’evidenza naturale. Un contributo alla psicopatologia delle schizofrenie pauci-sintomatiche, Raffaele Cortina, Milano,1998.

[42] Per quotidianità”  Heidegger intende il modo secondo il quale il Dasein “vive giorno per gior­no”. È la routine, l’abitudine, “oggi e domani come ieri della maggior parte del tempo”.

[43] Kimura B. Op.cit., 2013, p.12.

[44] Cfr. Kimura b., Scritti di Psicopatologia Fenomenologia, Giovanni Fioriti, Roma, 2005.

[45]  Sappiamo che occorre penetrare nel cuore della “cosa” quale essa è in campo psicologico, senza pregiudizi e luoghi comuni.

[46] Festum significa “festa”, ma in senso traslato può significare semplicemente “evento”. Nel ricorrere a questa tripartizione Kimura cita il testo di Joseph Gabel, La falsa coscienza. Saggio sulla reificazione (Dedalo, Bari 1967), nel quale l’autore parla dell’ideologia proleta­ria come “coscienza ante festum”, facendo riferimento a Lukàcs che definiva “coscienza post festum” quella della borghesia.

[47] Cfr,  il concetto di “Falsa Coscienza” di Gabel in cui si parla dell’ ideologia proletaria come “coscienza ante-festum” e a  di Lukacs che definiva “post-festum” la borghesia.

[48] Al contrario l’angoscia, che erompe nel typus melanconicus (Tellenbach) come melanconia, è una angoscia per il passato (l’essere triste del melanconico appare come un raddoppiamento continuo del suo “essere stato”), lo stesso avvenire non è una regione dello sconosciuto, ma una estensione del passato. Evidente è il rapporto fra questa temporalità e la prevalenza della identità di ruolo. E’ questa costituzione del tempo che Kimura  definisce modalità post-festum.

[49] Kimura, proponendo un modello di inquadramento diagnosti­co associa le tre modalità di vivere il tempo con altrettante forme di angoscia. Nel caso di un’angoscia psicotica prevarrà una percezione del tempo ante festum, sotto forma di impossibilità a soggiornare fra le cose, men­tre durante l’angoscia melanconica il tempo vissuto sarà post festum ossia segnato dal marchio dell’irrimediabile. Infine, nell’angoscia degli stati-limite prevarrà un tempo intra festum: una impazienza adesione al tempo presente, con un assorbimento nell’immediatezza, nell’attimo presente.

[50] Come già detto, lo psichiatra Blankenburg   esamina la carenza o la perdita, nella psicosi, di quella condizione basale che è per tutti noi l’ovvietà dell’evidenza del mondo, e che mostra, proprio quando viene meno, il suo ruolo fondante nel nostro esistere. Egli ci pone il problema della modificazione basale dell’esistenza nel mondo schizofrenico. Egli intende confrontarsi con il vuoto schizofrenico, realizzare un approccio fenomenologico al vuoto, eleggendo a punto di partenza del metodo proprio l’analisi di questo vissuto del vuoto da parte del paziente.  Nel tentativo di esprimere l’assenza e il vuoto che la tormentano la sua paziente Anna afferma: «È senza dubbio l’evidenza naturale che mi manca». Cfr. Blankenburg W., La perdita dell’evidenza naturale. Un contributo alla psicopatologia delle schizofrenie pauci-sintomatiche, Raffaele Cortina, Milano, 1998.

[51] Kimura  ci avverte che non possiamo stabilire dei limiti troppo netti fra la varie dimensioni della temporalità (presente, passato, futuro) quali si riflettono nei diversi stili di personalità, in quanto ognuno fruisce delle tre modalità di vivere il tempo in relazione equilibrata fra loro, anche se una piccola prevalenza di una modalità segna la “originalità” di ciascuna persona. Tuttavia nelle condizioni psicotiche o pre-psicotiche l’equilibrio personale è frantumato da una “sproporzione” fra le tre dimensioni temporali.

[52] Sempre Kimura ritrova inoltre la temporalità intra-festum anche in alcuni malati di epilessia e di psicosi atipiche, sul modello della “bouffée délirante”, e nella struttura personologica di una parte almeno dei pazienti bipolari, che può essere così diversa da quella del melanconico. Egli ci ricorda che essere nel tempo della continua immediatezza della festa, con tutti i suoi capricci, inconsistenze, instabilità e imprudenze, vuol dire tentare di riempire il vuoto, la noia e la disperazione della esistenza votata.

Giuseppe Errico

Psicologo e psicoterapeuta, è attualmente presidente dell'Istituto di Psicologia e ricerche socio sanitarie (Formia, Italia) e ricercatore nel campo delle scienze umane ad indirizzo Antropologico-Trasformazionale. Svolge attività di psicologo volontario presso l’Azienda dei Colli di Napoli–Centro regionale malattie rare (CRMR).

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