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L’esperienza dello spazio tra orientamento e coloritura affettiva

Il problema dello spazio in psicopatologia di Ludwig Binswanger

 

Mi è stato detto che sono nostalgica, e probabilmente lo sono, ma per me ogni visita ad una libreria si configura prima di tutto come un pellegrinaggio. Scaffale dopo scaffale, cerco qualcosa che mi intrighi, che mi incuriosisca, ma nel frattempo torno a visitare gli autori più noti, quelli che sono entrati a far parte del mio vocabolario personale, quelli che diventano delle presenze familiari e rassicuranti. Sotto sotto, la speranza di trovare un volume mai trovato prima – una nuova edizione, una traduzione, un testo riesumato dagli abissi della dimenticanza – qualcosa che costituisca un nuovo appiglio al dialogo mai interrotto con l’autore, una nuova prospettiva. Non capita spesso, ma forse proprio perché si costruisce su mille frustrazioni quella volta in cui lo trovo davvero si tinge di gratitudine e di aspettativa.

Questo mi è accaduto quando, scorrendo i titoli sugli scaffali, il mio sguardo ha incontrato il nuovo volume della collana Clinica ed esistenza di Quodlibet, che proponeva per la prima volta in traduzione italiana Il problema dello spazio in psicopatologia, di Ludwig Binswanger. Lo psichiatra svizzero non ha bisogno di presentazioni, rappresenta il caposaldo di un orizzonte culturale e clinico a cui i lettori di questo blog non possono essere indifferenti. Merita forse una presentazione in più Aurelio Molaro, che prosegue il suo impegno nella traduzione e nel commento dei testi della tradizione fenomenologica, con la precisione di uno storico della scienza ma il trasporto di un indiscutibile sguardo filosofico. In questo volume, ci guida attraverso una corposa introduzione alla comprensione del testo nel suo contesto intellettuale di riferimento.

Il problema dello spazio in psicopatologia nasce come relazione all’assemblea della Società Svizzera di Psichiatria (1932), occasione in cui Minkowski è chiamato a parlare dell’esperienza del tempo, mentre Binswanger dell’esperienza dello spazio. Tra gli existentialia heideggeriani che rappresentano le coordinate della fenomenologia clinica, lo spazio è probabilmente il più trascurato, e per questo l’analisi accurata che lo psichiatra svizzero ne offre appare particolarmente feconda. Si riconoscono diversi tipi di spazio, di cui il primo ad essere dispiegato è lo spazio del mondo naturale: in esso, viene compreso lo spazio omogeneo delle scienze naturali, nelle sue componenti geometriche e fisiche, ma anche lo spazio orientato, ovvero il nostro campo di azione e di vivibilità, imprescindibile dal riferimento al qui ed ora del nostro corpo. Particolarmente interessante risulta la riflessione sullo spazio proprio, contrapposto e al contempo fuso allo spazio estraneo, che si configura come una precoce intuizione del concetto di embodiment dello strumento proposto dalle ricerche scientifiche sui neuroni specchio. I riferimenti clinici, trasversali nel testo, sono di interesse principalmente neurologico per quanto riguarda lo spazio del mondo naturale, mentre la psichiatria entra in campo con la concezione di spazio timico. Lo spazio timico colora la nostra esperienza del mondo di tonalità dipendenti dalla dimensione emotivo-affettiva dell’esistenza, ed è quindi uno spazio estremamente personale. A ben vedere, rappresenta un modello paradigmatico del concetto di estrospezione della fenomenologia, che capta i vissuti soggettivi a partire dalla coloritura che proiettano nel mondo circostante. Si tratta di uno spazio non omogeneo, carico di significatività esistenziale, che interpreta il rapporto Io-mondo nel contesto di una reciproca interazione affettiva di sapore scheleriano. Dal punto di vista clinico, vengono proposte applicazioni che vanno dalle fobie alle allucinazioni. Si costruiscono poi una serie di altri spazi: estetico, storico, tecnico, et cetera. Con grande chiarezza e lucidità, Binswanger ci permette di scomporre l’esperienza preriflessiva del nostro vissuto spaziale e di declinarla nei suoi componenti. Questo aiuta a capire come, per esempio nell’allucinazione, a fronte di una percezione dello spazio naturale non compromessa, si assista poi a una distorsione che ha nell’aspetto timico il suo motore principale. Si crea una sorta di doppio binario di comprensione, che permette di accogliere la complessità.

La psicopatologia fenomenologica ha individuato nel tempo, nello spazio, nel corpo, nel sé e negli altri le coordinate fondamentali al dispiegamento del mondo-della-vita. Anche se alcuni di questi assi sono stati oggetto di elaborazioni teoriche più approfondite di altri, questo non ne implica alcuna priorità concettuale. Al contrario, la scelta del tema dello spazio costituisce di fatto l’originalità di questo lavoro. E per chiunque continui a credere, sulla scia di Binswanger, che la comprensione sia il presupposto ineludibile di ogni lavoro psicoterapeutico, allora questo libro rappresenta un’utile guida nel dispiegamento dello spazio vissuto.

Cecilia Maria Esposito

Cecilia Maria Esposito è laureata in Medicina e chirurgia e in Filosofia presso Università degli Studi di Milano. Attualmente frequenta la specializzazione in Psichiatria ed è allieva della Scuola di psicoterapia fenomenologico-dinamica di Firenze

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