Queste righe nascono grazie a incontri autentici avvenuti nel gruppoanalisi dell’esserci guidato da Gilberto Di Petta.
Il fluire dei versi inizia con la nudità davanti l’Altro e, tramite parole semplici e dirette, ci troviamo “corpo a corpo”, “in-difesi”. Questo segna l’incontro, esistiamo. In questo noi apriorico esiste il fenomeno ed io, finalmente, scopro di essere tuo prima ancora di esserci.
È questo “ci” che apre la spazialità e rende possibile un “qui” e un “là”. Essere-con te è il preludio di un quasi cosa trasformativo che può bruciarti, ma “il fuoco non può farti male”.
L’aneidos, l’informe, è qualcosa che fa paura. Ma c’è un tu. Un tu a cui mi rivolgo, che mi insegna a morire in quel fuoco. Che mi insegna che, morendo in quel fuoco, in realtà ho accesso alla Vita. Finalmente.
Il corpo trema, scruto dettagli, sento l’oscillare di risonanze che mi inondando, ti incontro, mi incontro, sento e vivo l’Autenticità, autos appartiene a me. E dal rossore dei visi chiamati, scende una lacrima che prima era ghiaccio, insieme a un grido, una richiesta: “voglio abitare qua!”.
Erlebnis
Siamo nudi.
Nudi uguale
Nudi
Insieme
corpo a corpo
Voglio impazzire
Incontro
Se solo tu sapessi che
Non è ghiaccio
È fuoco soffocato
Silenzio
Scendi
Brùciati!
Il fuoco non può farti male
Imparo la Vita
Voglio abitare qua
Insegnami a morire nel Fuoco
Volto che avvampa
scioglie il ghiaccio
che esce dagli occhi e compie
La vita mancata
Finalmente carne
Puoi Essere
PROGETTO “POESIE INTRODOTTE”
Questo formato creativo nasce dall’intuizione che tutto l’Essere non sia che Relazione.
Affermazione ardita, che chiede di essere presa sul serio e ci spinge a tentare di incarnare la relazionalità anche all’interno del nostro lavoro produttivo-divulgativo stesso.
Se il lavoro interiore non insegna a vivere nel mondo allora in realtà è una fuga dal mondo: il contrario del lavoro interiore. Per questo noi, come un coro a più voci, stiamo tentando forme nuove, come quella di cercare di rendere armonici stili diversi che parlano però la stessa lingua e che puntino a valorizzarsi a vicenda: introdurre una poesia con un breve testo in prosa può iniziare ad aprire il sipario dietro il quale si cela e si affaccia il chiaroscuro poetico. Allo stesso modo, il fatto che i testi siano affidati a persone diverse, “obbliga” gli autori stessi a “incontrarsi”, a trovare un linguaggio comune in cui la polifonia dell’Uno si possa esprimere in tutta la sua potenza irradiante.
Quanto è bello comunicare tra di noi per dare vita a qualcosa di Nuovo e di Bello! Questo è più o meno quello che ci diciamo alla fine di un lavoro di questo tipo. Incarnare la Relazione non può lasciarci indifferenti. Non può. Il nostro Io più profondo, più vero, esulta e ci ringrazia quando sente che lo stiamo riconoscendo, cercando, intuendo, sfiorando.
Sarebbe d’altronde strano seguire intuizioni del genere a livello meramente intellettuale e relegarle nel privato o nello “spirituale”. Sarebbe probabilmente una contraddizione in termini. No, non ci sono compartimenti stagni, se la Vita è Relazione lo è fino in fondo, in tutto, sempre.
Questo tipo di lavoro è una palestra. È in relazione infatti che si impara la relazione. E qui si condividono le nostre parti più intime, a costo di essere fraintesi. Non sempre infatti una poesia arriva al lettore con lo spirito con cui è stata scritta: come ogni messaggio, una volta staccatosi dal messaggero, vive di vita propria e va a insinuarsi in un altro mondo, regolato da altri codici e colorato di altre sfumature emotive, sempre diverse. Esporre la propria nudità è dunque un rischio: il non-essere-riconosciuti non è certo infrequente e tutti lo consideriamo uno dei dolori umani più atavici. Ciononostante è un rischio da correre, che può ripagare tutta la posta, e molto di più.
La mediazione, la danza dei profili, il dialogo, sono processi in cui si incarna una forma di relazionalità nuova, inedita, in cui, nella massima apertura di cui siamo capaci, prospettive diverse si incontrano e cercano non già di prevalere, di guerreggiare, bensì di parlarsi, integrarsi, ed eventualmente coesistere e sposarsi in uno spazio che si fa più ampio.
Quando in un testo le individualità si sfumano e diventano una voce sola, è lì che sta silenziosamente crescendo l’embrione di un’umanità sempre più “umana”, che gradualmente si affranca dalla violenza della guerra, a tutti i livelli. Senza troppi proclami, senza rumore e schiamazzi. “Solo” nel coraggio non già delle armi, ma del Dialogo.